The Moody Player

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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7 min readMar 24, 2016

Di recente si è diffusa la notizia che una minoranza della proprietà dei Sacramento Kings non appoggi l’operato di Vivek Ranadivè, indiano fondatore della TIBCO — colosso americano nella progettazione di software — oltre che detentore del 65% della franchigia californiana. Ranadivè nel 2010 è stato co-proprietario dei Golden State Warriors e tre anni dopo è divenuto co-proprietario proprio dei Sacramento Kings, salvando la franchigia da un molto vociferato collocamento a Seattle e ridando anche un po’ di entusiasmo grazie all’annuncio dell’inizio dei lavori per una nuova arena.

D’altra parte, Ranadivè è anche andato a rimpolpare le fila di quei proprietari invadenti e pretenziosi di avere gran voce in capitolo anche per quanto riguarda questioni strettamente “di campo”: famosissima la sua proposta di difendere in quattro uomini per poter sfruttare il quinto uomo in situazioni di contropiede, tattica mutuata dalla sua esperienza vincente da allenatore nella squadra di sua figlia Anjali. Altrettanto controversa è stata la gestione del Draft 2014 che, partendo da buoni propositi come un’analisi attentissima finalizzata ad una scelta mirata, ha portato ad un giocatore non esattamente funzionale per il roster dei Kings come Nik Stauskas.

In linea con tutto ciò, l’indiano ha creato scompiglio sin dall’inizio dal punto di vista manageriale assumendo inizialmente Michael Malone come head coach, ignorando che i Kings erano orfani di un general manager e licenziandolo poco più di una stagione dopo. Emblematiche furono le successive dichiarazioni che lasciarono trasparire la difficoltà di Malone nel comprendere chi avesse preso la scelta di licenziarlo, così come fu difficile instaurare qualsiasi tipo di comunicazione con Vivek Ranadivè dopo tale accadimento. Sentori non indifferenti del modo in cui la gestione dei Kings venga lasciata per lo più al caso.

Ad essere assunto come head coach successivamente è stato George Karl, oggi ancora al timone dei Kings tra rumours di ogni genere, litigi, incomprensioni, sconfitte ed un esiguo numero di gioie. Lo stesso Ranadivè per non farsi mancare nulla pare abbia preso in considerazione l’idea di rimpiazzare Karl nonostante il suo contratto prevedesse altre 3 stagioni (compresa quella corrente).

Fondamentalmente i Kings sono una franchigia tremendamente umorale, perennemente sul filo del rasoio, costretta ad affrontare ogni sorta di problematica e tale condizione trova il suo curioso corrispettivo anche sul campo rivelando una squadra i cui ottimi elementi, numeri individuali e collettivi vengono surclassati da tutti i difetti che la contraddistinguono.

I Kings sono una squadra eccessivamente veloce persino per gli standard odierni della NBA: dal punto di vista offensivo non si riscontrano gravi mancanze, anzi… al momento sono 9° nella lega per efficienza di tiro e 10% per percentuali di True shooting, e sono a metà perfetta nella classifica di Offensive efficiency. I nostri sono anche 5° nella lega per APG con un ottimo 17.8 e salgono al 3° posto se si considera la percentuale di canestri realizzati a seguito di un passaggio considerato assist: 62% circa, meglio di loro hanno fatto soltanto gli Atlanta Hawks e i Golden State Warriors.

I problemi sono prevalentemente difensivi, anche se, la dizione “difensivi” è un po’ stretta: la squadra di Karl non è difensivamente scarsa bensì difensivamente assente e disorganizzata. I singoli giocatori in rotazione hanno anche importanti valori difensivi: si pensi a Rajon Rondo, DeMarcus Cousins e Willie Cauley-Stein; è probabile sia anche l’instabilità della franchigia che non riesce a fornire concentrazione, fattore estremamente più utile nella metà campo difensiva che in quella offensiva. Poco più di un mese fa i Kings al TD Garden hanno subito nel solo primo quarto 46 punti, gli stessi che i San Antonio Spurs subiscono mediamente in un tempo nella stagione corrente: a far riflettere è che in quel quarto i Celtics non abbiano brillato per una grandissima costruzione di manovra. Episodi come questo hanno fatto scivolare la franchigia di Ranadivè al 24° posto per Defensive efficiency (in risalita oltretutto).

In realtà la caratteristica più limpida degli attuali Kings non è lo scarso impegno difensivo ma la frenesia del loro gioco, croce, croce e raramente delizia della squadra: i Sacramento Kings sono la squadra che nell’arco di una partita gioca più possessi di tutta la lega con un 102.2 da brivido se paragonato al magro 93.4 degli Utah Jazz, ultimi in classifica. Più del 40% di tutti possessi vengono bruciati nei primi 9 secondi dell’azione: precisamente 4.7 possessi a partita vengono ultimati nei primi due secondi dei 24 a disposizione, 14.5 possessi con non più di 6 secondi passati dall’inizio dell’azione ed altri 13.7 con almeno altri 14 secondi disponibili.

Se si sommano le tre statistiche, che il sito NBA considera early, solo i GSW giocano più velocemente dei Kings in NBA, i Golden State Warriors però hanno sotto contratto un tizio con la maglia n° 30 ed altre personcine interessanti ed appioppargli l’aggettivo di “frettolosi” non è competenza di bipede senziente alcuno. Di riflesso viene facile immaginare la quantità abbacinante di palle perse collezionate: 14.4 ad allacciata di scarpe, fanno peggio soltanto i Phoenix Suns e la squadra che da qualche anno si iscrive solo formalmente alla NBA.

Ognuna delle statistiche finora riportate può essere più o meno direttamente ricollegata ad un fattore che possiede un nome ed un cognome: Rajon Rondo. Ad NBA2K, il miglior videogioco di pallacanestro in circolazione, Rajon Rondo è uno dei pochi giocatori alla cui dizione di ruolo porta la scritta “PM” e non la molto più diffusa “PM/G” fattore che lo differenzia da vari John Wall e Damian Lillard. Tale concetto, per quanto semplicistico, è molto tendente al reale e disegna bene come Rondo sia un giocatore in parte anche anacronistico in quanto difensore di un ruolo stretto e definito all’interno di uno sport i cui principali interpreti sono ormai supereroi che ogni sera con le loro gesta sgretolano la definizione di ruolo che lo sport in generale ha costruito da quando esiste.

Rajon Rondo non solo è anacronistico, ma è anche la profonda incarnazione di un playmaker, dove tale circoscrizione sta proprio ad identificare “who making plays”. Pensare che DeMarcus Cousins sia il leader o il giocatore più rappresentativo della squadra oggi è diventato erroneo: i Sacramento Kings vanno nella direzione in cui va Rondo, alla velocità con cui va Rondo e nei tempi che Rondo detta, o per lo meno ci provano. Il problema è che i ritmi di Rondo sono ingestibili ed altalenanti: Federico Buffa qualche anno fa lo ha definito “anarchico” e trovare aggettivo più preciso risulta compito difficoltoso.

Tuttavia, per quanto il n°21 sia fondamentale un anarchico, oggi stargli dietro è più facile rispetto a qualche anno fa, o anche rispetto alla scorsa stagione, anzi, in gran parte oggi è Rondo, da un certo punto di vista, a star dietro ai suoi compagni: dopo la stagione fallimentare in Texas, il playmaker ex Kentucky ha voluto fortemente i Kings perché credeva di poter dare una direzione più delineata ad una franchigia che, come visto, brancola letteralmente nel buio in ogni sua figura istituzionale. Ma soprattutto il compito che il ragazzo di Louisville ha voluto è stato quello di aiutare DeMarcus Cousins a diventare un giocatore dominante da ogni punto di vista cercando di limitarne alcuni degli atteggiamenti risaputi ma soprattutto pesantemente criticati. I risultati per il momento non sono esattamente brillanti ma una bocciatura al momento sarebbe comunque prematura.

Il processo di maturazione che Cousins sta intraprendendo insieme a Rondo è figlio di un altro rapporto di questo genere che anni fa ha visto protagonista lo stesso Rondo ed ha permesso la sua “crescita” sotto l’ala protettiva di Kevin Garnett. Al suo arrivo in NBA con i Boston Celtics, Rondo era caratterialmente un giocatore molto dissimile dalla sua controparte odierna: a detta di Garnett parlava poco, faticava a prendere l’iniziativa con i suoi compagni, tendeva ad isolarsi per la maggior parte del tempo e probabilmente soffriva di insicurezza, prigioniero del continuo dovere di dimostrare agli altri qualcosa.

Garnett ha fatto in modo che Rondo diventasse ciò che oggi conosciamo, senza alcun dubbio nel suo inconfondibile modo. Oggi Rondo e Cousins sono innanzitutto degli amici e solo successivamente compagni di squadra; lo stesso playmaker ha recentemente detto del suo centro: “Ha i suoi momenti, a volte sbaglia ma so che non è cattivo” e, pur avendo ridotto all’osso tale questione, ha ragione.

Cousins si è ovviamente espresso positivamente riguardo il suo amico ammettendo “Per me è impossibile trovarmi in disaccordo con lui. Ogni sera facciamo di tutto per portare a casa la vittoria, so quanto ci tiene a vincere ed è per questo che per è impossibile trovarmici in disaccordo”. Successivamente ha aggiunto: “Non puoi farlo smetterlo di parlare, durante la giornata mi arriva sempre la sua voce all’orecchio a volte è noioso ma è importantissimo”. I frutti di questo rapporto stanno pian piano maturando, per quanto il masochismo dei Sacramento Kings lo permetta ovviamente.

https://twitter.com/NBAonTNT/status/675158832079859712

La voce di Rondo — che ha oltretutto stabilito il record per i Kings di oltre 40 partite con almeno 10 assist in una stagione — non arriva soltanto a DeMarcus Cousins e lo stesso Cousins non è l’unico ad ascoltarlo: il 21 gennaio a Sacramento hanno fatto visita gli Atlanta Hawks, con i Kings in vantaggio 91–88 ad 1.9 secondi al termine gli Hawks avevano a disposizione l’ultima rimessa, ecco quello che è successo:

Rondo sa perfettamente che gli Hawks hanno bisogno di un tiro dall’arco velocissimo e denotando lo spazio in angolo libero manda Cousins ad occuparlo per marcare un eventuale tiratore. Il risultato è ben visibile: gli Hawks non riescono neanche a tirare. Tutto ciò è simbolo di come e quanto Rondo sia diventato fondamentale nel bene e nel più frequente male per questa squadra, al di là dei suoi errori e dei suoi limiti è fuori da ogni dubbio che oggi sia lui e poca altra roba il volto dei Sacramento Kings.

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