Tim Cahill e la Lega Filosofale

Crampi Sportivi
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6 min readOct 4, 2016

Lo scorso 11 agosto Tim Cahill, ex-stella dell’Everton, anunciava dal campo d’allenamento del New York City F.C. il suo passaggio al Melbourne City conseguente la sottoscrizione di un inusuale, a queste latitudini, contratto triennale così strutturato: primi due anni da giocatore e terzo da allenatore. Dopo un lungo periodo di corteggiamento, timido ma determinato, l’A-League convola a nozze con il giocatore più amato dagli australiani; ad officiare il rito Khaldoon Al Mubarak, personaggio chiave del primo palese esperimento di “calcio globale”: il City Football Group.

Visto così, sembra il tentativo del pugile di proseguire su quel Viale del Tramonto che, dopo esser passato da U.S.A. e Cina, lo vede approdare sulle coste natali, regalandogli in questo modo un ultimo momento sotto i riflettori.

Cambiando un minimo la nostra prospettiva eurocentrica però, ecco svelarsi la chiave di lettura ermetica.

Istintivamente, guardando questa foto, viene da chiedersi perché “Timmy”(e il suo staff), abbiano scelto non solo New York per dare l’annuncio del passaggio in Australia ma, nello specifico, la sponda sbagliata dell’Hudson. Nel suo periodo yankee infatti, Cahill ha giocato per i New York Red Bulls, squadra legata al New York City F.C. da quella che è forse la rivalità dalla più forte eco mediatica nella MLS.

Quando l’Abu Dhabi United Group nel 2012 fonda il City Football Group e ne mette a capo Ferran Soriano, ex Vice Presidente del Barcellona, l’idea non è quella romantica di creare “squadre sorelle” in giro per il mondo, ma lanciare un vero e proprio franchising, e l’effetto sul delicato ecosistema calcistico australiano, che già di per se è in piena palingenesi, è catalizzatore.

Nigredo

L’A-League, la massima serie australiana infatti, nasce nel 2004 ma, la Grande Opera che la porterà ad essere un “cosa” è ancora in corso e, probabilmente, l’arrivo di Tim Cahill è l’ingrediente alchemico che potrà portarla alla fase successiva.

Il nigredo della lega in questione però, lo si ha nel 2004, quando viene fondata dalla ceneri della National Soccer League. La prima stagione, quella del 2005, parte all’ombra della politica “one-city, one team” volta a creare un senso di identità univoco tra i vari target geolocalizzati e le nuove squadre. Per Melbourne e Sydney però, vengono previsti dallo statuto due “slot” aggiuntivi oltre quelli impegnati dal Melbourne Victory e Sydney F.C., “casa” di Alessandro Del Piero dal 2012 al 2014, che potranno ospitare due franchigie ulteriori a seguito di manifeste “expressions of interest”.

Nel frattempo “Tiny Tim” passa dal Millwall all’Everton, realizzando 11 goal nella sua prima stagione e venendo eletto “giocatore dell’anno” dai tifosi dei Blues di Liverpool. L’unico richiamo calcistico che percepisce dalle terre “Down Under” è la convocazione di Frank Farina per la Confederation Cup del 2005 dove, all’ombra del fallimento della spedizione, cominciava a manifestarsi il passaggio di consegne tra lui e i vecchi leader dei “Socceroos”, primo tra tutti Mark Viduka a cui scippa il posto da titolare. Posto, che Viduka si riprende l’anno successivo grazie al 4–4–2 a rombo che Hiddink sceglie per la prima partecipazione mondiale degli australiani dal 1974, che non lascia spazio al lavoro di raccordo tra centrocampo e reparto offensivo, a cui è dedito Cahill in quegli anni.

Qualcosa non va però, almeno fino a 6 minuti dalla fine della partita d’esordio, quando Cahill, subentrato una mezz’ora prima a Mark Bresciano, ribalta l’1–0 giapponese con un uno-due che premia la retorica, mandando al tappeto i nipponici guidati da Hidetoshi Nakata. La doppietta del “Boxing Aussie” per antonomasia, costituisce anche il primo e il secondo goal australiano nella storia della competizione mondiale.

La locomotiva del calcio australiano resta sicuramente la federazione con la sua gestione della nazionale legata al sistema delle “Soccer Academy”. La dimensione dei club invece è ancora embrionale ma i due vasi divengono ben presto comunicanti. Uno dei primi transfughi illustri sarà Tony Popovic che, cedendo il passo alla “Golden Generation” oro-verde proprio nel 2006, inizia quella carriera da allenatore che nel 2012 lo porterà sulla panchina dei neonati Western Sydney Wanderers. Mentre il Melbourne Heart, il secondo extra-team previsto dall’A-League, opta per la scelta sensazionalista di ingaggiare un Harry Kewell a fine carriera, a ovest di Sydney si sceglie di essere più “europei”. È l’alba dell’A-league.

Popovic, da ex difensore ed incontrista del Crystal Palace, è abituato a badare solo alla sostanza e, per la sua squadra non vuole “stelle” anche se riesce ad assicurarsi la qualità di Shinji Ono. Chiede ed ottiene inoltre un ragazzotto che a diciannove anni ha già sprecato l’occasione della vita in Premier League, Aaron Mooy, ed un ex-Treviso dal gioco molto simile a quello del “Mr.”: Iacopo La Rocca. Completamente sconosciuto alla Serie A, La Rocca prende parte alla rapida ascesa del team che, dopo appena due anni dalla sua nascita, arriva a disputare il Mondiale per Club del 2014 dove Iacopo va a iscrivere il suo nome in un tabellino così elitario che tra gli italiani annoverava solo Pippo Inzaghi ed Alessandro Nesta: segna in una fase finale della FIFA Club World Cup.

Nel frattempo “Timmy Boy” ha lasciato prematuramente il calcio europeo, trasferendosi nel 2012 dall’Everton ai New York Red Bulls. Sembra l’inizio della parabola discendente di una meteora OZ, ma a rilanciarne la traiettoria è questo sinistro da antologia che il numero 4 della nazionale scocca verso la porta olandese; uno dei più bei goal del mondiale del 2014.

Viene in mente Verdone.

Rubedo

Ma il vero avvicinamento alla Pietra Filosofale del calcio australiano, il vero inizio della fase di sublimazione alchemica, coincide con una fine: quella della stagione 2015/16 dell’A-League. Cahill sta rimbalzando tra un club cinese e l’altro, mentre Bruno Fornaroli — ex promessa blucerchiata, che si è persa tra i cambi di proprietà della Sampdoria — approda in quella che per il calcio che conta è ancora la Terra Australis, infrangendo tutti i record di marcatura precedenti, anche grazie alle sponde di Mooy.

Il Melbourne però non vince nulla, facendosi soffiare il titolo dagli outsiders dell’Adelaide United, dove si è trasferito Iacopo La Rocca e ci si produce in un tiqui-taqa importato da Mr. Guillermo Amor; per giustificare il fallimento, serve ancora un colpo di teatro globale. Il Melbourne City così, tra lacrime di sangue, annuncia la cessione a effetto di Aaron Mooy, niente meno che al Manchester City. Basta una settimana per mettere il silenziatore alla girata in prestito all’Huddersfield Town nella serie cadetta inglese, ma intanto l’attesa cresce per sapere quale sarà mai il nome che, sulla sponda emiratina dello Yarra, andrà a compensare una tale assenza.

Ed eccolo il “protagonista” che, dall’amica o meglio sodale New York, si spara un selfie con Pirlo, Lampard e quel David Villa, che l’anno prima aveva fatto il percorso inverso scalando al Melbourne City per quattro partite, prima di aggregarsi alla nuova squadra della Grande Mela.

Facendo di Melbourne il suo quartier generale, Cahill trasforma la “world’s most liveable city” nella cabala ermetica del calcio australiano. Con due anni di contratto come giocatore infatti, ha tutto il tempo per dirigere sia la qualificazione della nazionale al prossimo mondiale, sia assistere l’ascesa del City che sembra ormai fisiologica per l’A-League. Naturalmente il tutto al netto delle sue prestazioni in campo e fuori, vista già la previsione della conversione del suo ruolo a quello di allenatore.

Per ciò che riguarda la strada verso la Coppa del Mondo russa, il prossimo 11 ottobre, a 10 anni dalla storica vittoria che lui stesso ispirò, gli australiani ritroveranno, esattamente a l’Etihad Stadium di Melbourne, il Giappone. Sembra il primo regalo del Caso alla mitologia in divernire di “Tiny Tim”. Del “Caso” o, a questo punto, dell’Universo.

Articolo a cura di Fabrizio Venturini

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