Tutta la dignità dell’autogol

Crampi Sportivi
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5 min readOct 13, 2014

Cos’è un autogol se non lo strenuo tentativo di difendere la propria porta unito ad una paura atavica di vedere l’avversario gonfiare i fili della propria rete? Eppure quello che in molti chiamano troppo semplicemente “infortunio” è, forse, uno dei gesti più duri da riuscire a digerire: puoi bloccarti per minuti interi, senza possibilità di salvezza o redenzione.
L’autogol è una sorta di castigo di Dio, un frustrante accadimento da cui è difficile riprendersi; ma mettersi la palla nella propria porta è anche una sorta di avvenimento livellatore della scala gerarchico/sociale calcistica. Nessuno è immune di fronte alla possibilità di auto infliggere ai propri compagni e tifosi un dolore crescente, tanto più grande in proporzione alla portata rocambolesca dell’avvenimento. Se portieri e difensori sono le vittime predestinate per antonomasia, non ne escono illesi nemmeno campioni come i madridisti Bale e Cristiano Ronaldo.

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Bale e Ronaldo. Nemmeno le stelle sono immuni

Tragedia e commedia si fondono in maniera inesorabile nella costruzione di una storia dell’autogol, il dramma sportivo e quello extra-sportivo come nel caso di Andrès Escobar che in un’afosa giornata di un giugno americano del 1994 segna per sempre il destino della sua Colombia e quello personale di uomo; distrutto prima psicologicamente nelle settimane post mondiale e poi fermato per sempre dai colpi di Humberto Munoz Castro.
La Colombia aveva cominciato male la Coppa del Mondo negli States, sconfitta dalla Romania nella partita d’esordio, condannata da tre gol di un Raducioiu che in Italia aveva mostrato ben altri lati del suo talento. La Colombia si trova a dover battere a tutti i costi i padroni di casa. La gara, naturalmente, non può che essere un match spigoloso. Alla mezzora del primo tempo circa, il centrocampista statunitense Harkes si libera sulla fascia sinistra e crossa basso nella nemmeno troppo affollata colombiana; la difesa è leggermente sbilanciata e Andrés Escobar interviene in scivolata più o meno all’altezza del dischetto. Il tentativo di liberare la propria area, di fermare l’azione avversaria, gela la Colombia intera. Escobar rimane a lungo steso a terra, impietrito.

Ma la nemesi di Escobar, da eroe nazionale ad antieroe drammaticamente sfortunato, uno da romanzo nero, da cronaca di morte in stile Gabriel García Márquez o di quelle storie che tanto piacciono all’agente letterario Andrea Montejo, non è che una faccia della medaglia. Dall’altro lato ci sono i goffi calci nella propria rete, i recidivi da arresto, quelli che dell’autorete hanno quasi fatto un culto, il motivo per cui essere ricordati per sempre. Dagli indimenticati sforzi del cagliaritano Niccolai, al record imbattibile di Riccardo Ferri (8 le reti realizzate nella propria porta), anche signori del calcio come Franco Baresi, Ciro Ferrara o Paolo Maldini si piazzano ai primi posti della speciale classifica, a dimostrazione che l’autorete è gesto tanto nobile quanto imparziale, colpisce tutti senza differenze.

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Anche gli dei alle volte cadono

Dal Mondiale di Francia ’98 la regola è cambiata, la Fifa ha deciso di premiare maggiormente le giocate offensive rendendo un po’ meno amare alcune deviazioni fortuite nella propria porta, che poi poco importa se il tiro d’origine sarebbe finito in curva nord, l’importante è che il pallone si muova verso la porta avversaria.
Proprio in quel Mondiale il calciatore sudafricano Pierre Issa si rese protagonista di una doppia autorete nel match che vedeva i bafana bafana affrontare i padroni di casa.

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Pier Issa, assolutamente indimenticabile

Nella speciale classifica dei recidivi in uno stesso match c’è anche una vecchia conoscenza dei tifosi del Milan: il 5 settembre 2009, in un Georgia — Italia valevole per le qualificazioni alla coppa del mondo sudafricana, Kakhaber Kaladze regalò ben due reti alla nostra nazionale. Il cuore rossonero non smetteva di battere evidentemente.

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Kaladze e il suo doppio favore agli azzurri

Chris Nicholl detiene un altro piccolo, grande record: in un Aston Villa-Leicester City, gara di First Division del 1976 il difensore inglese dell’Aston Villa riuscì nell’impresa di siglare tutte e quattro le reti che servirono a fissare il risultato sul 2–2 finale.
Imbattibile, invece, è l’impresa di Staf Van Den Buys capace di realizzare ben tre autoreti in un solo match con la maglia del Germinal Ekeren contro l’ Anderlecht in un match di Jupiter League annata 1995–96.
Su tutti svetta la figura di Iñigo Martínez, calciatore spagnolo della Real Sociedad capace non solo di imprimere il record dell’autorete più veloce della storia della Champions in un Manchester United — Real Sociedad dello scorso anno, ma anche detentore del premio (in senso figurato s’intende) per l’own goal più bello di sempre: un tocco di tacco da trenta metri realizzato con la maglia della Spagna U-21.

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Iñigo Martínez è il principe dell’autogol

Gli autogol hanno deciso campionati e derby, come quello del povero Paolo Negro su tocco non proprio ineccepibile di capitan Nesta. Quell’autorete ha consegnato Negro alla storia della Roma calcistica imprimendogli un marchio a fuoco difficile da cancellare.

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Paolo Negro entra per sempre nella storia di Roma

Autoreti Mondiali come quella di Marcelo durante la competizione brasiliana o il nostro Zaccardo che trafigge Buffon nel poi fortunato Mondiale 2006 sono squarci feroci, tanto più complessi da dimenticare in quanto sofferenza collettiva di una nazione intera.

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Qualcuno salvi il povero Marcelo

Spettacolari, bellissimi, con coefficienti di difficoltà elevata, sono troppi per essere riassunti in un unico pezzo gli autogol memorabili ed indimenticabili.

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Materazzi quasi da casa sua

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Cicinho e una torsione di testa meravigliosa

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Torosidis decide di spaccare in due la propria porta

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Autogol dell’altro mondo

Ma l’autogol non può essere motivo di sberleffo, ridicolizzare il povero malcapitato è gesto vile e codardo. Non so se vi è mai capitato di mettervela dentro in una gara ufficiale, a me è successo in un match dal risultato già chiuso e definito, una vittoria per noi anche abbastanza agevole. Ma l’autogol è comunque sofferenza, personale e di squadra, un lancio dalla fascia opposta, una svirgolata con il pallone che ruota contro ogni legge della fisica e finisce la sua corsa nell’angolo opposto, dietro le spalle di un portiere incredulo e infastidito. Una cosa del genere ti gela le gambe per un tempo lunghissimo, oltre a fermare il pensiero che rimanda in loop quanto accaduto poco prima.
L’autorete è la variante impazzita del calcio, quell’avvenimento che ferma il tempo per dei brevi, ma al tempo stesso lunghissimi, secondi, alle volte sono interi minuti di silenzio agghiacciante. Non bastano pacche sulle spalle o grida di incitamento, battere il proprio portiere vuol dire battere se stessi, azzerare gli sforzi fatti fino a quel momento per mantenere la porta chiusa ed imbattuta.

Eppure le ultime giornate dei maggiori tornei europei ci hanno detto che l’autorete è immortale, che continuerà ad esistere finché esisteranno attaccanti che cercano caparbiamente la rete e difensori che provano a difendere la propria area fino allo stremo delle forze. Chiellini, Sepe, De Sciglio, Pisano, Miranda, John Terry, Kane, Ignashevich sono solo gli ultimi baluardi di una stirpe lunga e alle volte sfortunata; nulla è più triste dell’infliggere al proprio pubblico un’ennesima, ineluttabile, sofferenza. Ma c’è tutta la dignità di chi tenta in ogni modo di salvare la propria squadra in un gesto come l’autogol.

Capolavoro

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