Tutto ancora da scrivere, o quasi: il meglio dell’andata dei quarti di Champions

Crampi Sportivi
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8 min readApr 16, 2015

Porto — Bayern Monaco

Alzi la mano chi ci avrebbe scommesso. Fatto? Bravi. Ora alzi la mano chi ci ha scommesso veramente, perché dovrà come minimo pagare da bere a tutti. Il risultato di ieri tra Porto e Bayern Monaco ha dell’incredibile, senza nulla togliere alla squadra di Lopetegui, perché anche con tutti gli infortuni per cui può recriminare Guardiola la sua squadra rimane di un altro pianeta. Ma la sfida del Do Dragao tra campioni e campioni in potenza l’hanno vinta, e con merito, questi ultimi.

«Pacioccone lui!»

Partiamo dal Bayern: quella di ieri è, dal punto di vista tecnico, la peggior partita di una squadra di Guardiola che si sia mai vista. Le squadre di Pep hanno uno e un solo modo di giocare, al di là dei vari moduli che possono assumere, e questo modo di giocare dà i suoi frutti solo e solamente se dal punto di vista tecnico ogni elemento del sistema è ineccepibile. Se avete mai visto gli allenamenti del Bayern in questa o nella passata stagione, molti sono incentrati sulla tecnica in situazioni di intensità, il cui possesso consente di saper agire lucidamente in situazioni in cui gli avversari portano pressione, eludendola e creando superiorità numerica nelle varie zone del campo. Vuoi per una questione di presunzione, o per un momento di condizione fisica non brillante, ieri il Bayern tecnicamente si è comportato malissimo, e non mi riferisco solo ai due episodi nei primi 10’ per cui prima Xabi e poi Dante hanno regalato due gol a Quaresma, ma a tutta la gestione della partita, durante il quale giocatori come Muller, Boateng, Thiago, lo stesso Xabi Alonso hanno sbagliato tanto e male proprio sui fondamentali. Il Bayern non è mai stato in grado di reagire all’energia dei portoghesi, si è anzi impaurito e ha sbagliato sempre di più rischiando (offensivamente) sempre di meno.

Passaggi nel terzo offensivo del Bayern: mai visto così tanto rosso.

Dopo aver trovato il gol su una delle poche azioni in cui il Porto è stato lento a scalare lateralmente (l’azione parte da un calcio d’angolo e finisce con un cross sul lato opposto), il Bayern non ha proposto più nulla di buono in avanti. Nella ripresa non hanno aiutato tanto nemmeno i cambi di Guardiola: dentro Rode per Goetze, cioè meno qualità/più legna con Thiago a fare il trequartista, e poi con Badstuber al posto di Xabi, cioè basta qualità/solo legna con Boateng a fare il mediano. Certo, una scusante potrebbe essere quella degli infortuni, con Robben, Ribery, Schweinsteiger, Alaba e Benatia fuorigioco (valore complessivo dei cartellini: 160 milioni); però quella che scende in campo è comunque una signora squadra, con Dante e Boateng a proteggere Neuer, Xabi in regia, Lahm e un ritrovato Thiago in mezzo al campo e in attacco due campioni del mondo più Lewandowski.

Ora il Porto. La squadra di Lopetegui ha vinto con le qualità di una grande: mentalità, atletismo e cinismo. Non male per una squadra di 24 anni di media e un allenatore alla prima esperienza europea. Il Porto ha interpretato la partita con coraggio e fiducia nei propri mezzi, portando sin dalle prime battute un pressing furibondo che in 10’ l’ha premiata due volte.

Sul controllo rivedibile di Dante, Quaresma si mangia il campo, ruba palla e va a segnare

Ok, così non si marca, ma poi quella palla bisogna controllarla e metterla dietro Neuer.

La forza ipergalattica del Bayern Monaco le permette di andarsene a casa dopo un 3–1 sonoro ed essere ancora ampiamente in corsa per qualificarsi alla semifinale. Perché? Innanzitutto tornano Ribery e probabilmente Schweini, e questo non vuol dire che il Bayern ha perso perché mancavano loro, ma che inevitabilmente con loro potrebbe essere un’altra storia. In secondo luogo il Bayern all’Allianz non è esattamente la stessa cosa che si vede in trasferta, per conferme citofonare Lucescu. Ultima considerazione: una squadra di Guardiola che perde 3–1 la gara d’andata in trasferta in Champions League, ma resta favorita per il ritorno, ricorda qualcosa? Nel 2010 il Barcellona probabilmente più forte mai visto perde a San Siro contro l’Inter con lo stesso risultato. Nella settimana che precede la gara di ritorno Pep e tutto l’ambiente si caricano a palla. Remuntada — in tedesco sarebbe oberleder — che al Barcellona non riuscì perché Mourinho decise di entrare in campo con tutto il pullman e di parcheggiarlo ai sedici metri, perdendo anche un uomo nella ressa, ma riuscendo a perdere solo uno a zero e passare il turno.

Oggi magari ci sarebbe un #hashtaggino

Ora, non voglio dire che il Porto ha l’unica chance di chiudersi dietro e pregare, però una buonissima fase difensiva, ordinata attenta e senza sbavature a mio parere potrebbe non bastare.

Il Porto, per le caratteristiche della sua rosa, potrebbe non essere una squadra capace di chiudersi a difendere il risultato, e questo potrebbe essere sì una gran dote, ma pure un grosso limite. C’è da considerare anche che a Lopetegui mancheranno pedine importanti (Tello e Adrian rotti, Danilo e Alex Sandro squalificati) e il tecnico spagnolo dovrà ridisegnare quasi totalmente la sua linea difensiva.

Quindi non sono sicuro che martedì prossimo all’Allianz si assista allo stesso spettacolo del Do Dragao, anche se il bello del calcio, e della Champions League in particolare, è che fa perdere una marea di schedine. E io non ne gioco mai.

Paris Saint-Germain — Barcellona

Ci sono due o tre aggettivi che si potrebbero utilizzare per descrivere l’applicazione alla partita da parte del Barcellona di Luis Enrique. Il primo che mi sento di dire è quello, inventato, di messistico, ma non in senso antico di messi-dipendente: sembra piuttosto che Luis Enrique abbia provato a studiare ciò che rende grande Messi e abbia applicato queste stesse caratteristiche inumane all’intera squadra, o perlomeno al super mega reparto offensivo che si ritrova. Come diceva Simone Vacatello in quest’articolo, la prerogativa di Messi è quella di fare cose sovrumane in tempi tecnologici. Se si va a vedere il gioco del Barcellona di ieri sera la maggior parte non era fatta di magie trascendentali oscure: giocavano semplice, di sponde, uno-due, dribbling secchi; però facevano tutto ad una velocità maggiore rispetto a quelli con le maglie blu, imprendibili, impensabili con quel tempo.

Poi Messi sì, vede quello spazio per Neymar che è una cosa abbastanza messistica.

Cosa stava marcando Andrade la sotto? Noi non lo sappiamo

Il secondo aggettivo è coraggioso. Per un quarto d’ora circa ho creduto che il Barcellona giocasse in casa. L’attitudine e il posizionamento in campo degli uomini di Luis Enrique non ha smentito questa mia convinzione, ho dovuto guardare in alto a sinistra sullo schermo del televisore: controllo totale, rischi minimi e calcolati, gioco arioso come se tentassero di far divertire il pubblico del Camp Nou, baricentro alto e spavalderia nella metà campo avversaria. Sicuramente si è divertito Eto’o.

“Quando finisce, ché devo andare al provino per gli Outkast?”

Il terzo aggettivo è bestiale. La doppietta di Suarez è bestiale per la sua pesantezza e importanza e per gli anni di psicanalisi ai quali costringerà il povero David Luiz dopo quel doppio tunnel. Il secondo gol in particolare è di una violenza fisica e psicologica fine: dopo il tunnel subito, Luiz tenta di riacchiappare Suarez muovendo il braccio destro senza convinzione, ma oramai il pistolero è andato e sta già spostando il corpo per scoccare il tiro. Dal replay si vede Luiz che neanche prova a correre, mentre il pallone di Suarez si incurva e va a definire il “tiro a giro” e Sirigu si accascia da tutt’altra parte.

Come bonus track, una notizia che non vi sarà nuova: internet è pieno di persone malvagie e senza scrupoli. Non sappiamo cosa faremmo senza di loro.

Juventus — Monaco
Al sorteggio di Montecarlo erano tutti contenti per la Juventus. L’unica italiana in corsa aveva avuto la fortuna di beccare la squadra meno rognosa tra le altre sette, ovvero il Monaco di Leonardo Jardim. Baci e abbracci tra i tifosi juventini, che sognano la prima semifinale dal 2003, l’anno della Champions persa a Manchester contro il Milan.

L’unico che non si è lasciato andare a sorrisi è stato Massimiliano Allegri. Che non si è nascosto prima della gara («Siamo favoriti ma sarà difficile»), ma ha anche ricordato cos’è stato il Monaco di quest’anno. E la gara d’andata allo Juventus Stadium ha dimostrato che il Monaco è tutt’altro che sfavorito.

Un rigore controverso ha deciso il primo incontro tra le due squadre (trasformato da Vidal, ieri decisivo ma comunque fallace sotto rete), ma bisogna evidenziare tutto ciò che c’è stato al di là di quel tiro vincente dagli 11 metri.

La Juventus ha giocato la sua solita gara: ha mostrato i muscoli, pressando forte e sperando in qualche disattenzione clamorosa degli avversari. Tanto giro palla, che però ha creato meno di quanto ci si aspettasse. Poi l’abbaglio dell’arbitro Kralovec ha girato la gara al momento giusto (c’è anche da dire che il rosso a Carvalho sarebbe stato da regolamento).

Tanta pressione, ma alla fine le occasioni sono state più o meno le stesse.

Dal canto suo, Leonardo Jardim ha fatto quello che ha fatto per tutto quest’anno. Sono stato il primo a sottovalutare il Monaco in Champions e il primo a farne ammenda, elogiando il tecnico portoghese per l’enorme lavoro. L’eliminazione dell’Arsenal negli ottavi (l’Arsenal reduce da otto vittorie consecutive in Premier League) lo conferma.

Il Monaco si è presentato allo Juventus Stadium senza pressioni. Il più è già fatto, la top 8 è tanto per la squadra monegasca. Jardim ha messo in campo il giusto mix di giovani ed esperti, capitanato da chi — qualche anno fa — faceva la panchina in A. Andrea Raggi ha giocato in Italia con Palermo, Sampdoria, ma nessuno gli ha dato fiducia come al Louis II.

Esser cinici e cattivi è un’arte, Jardim il maestro supremo.

I monegaschi escono bene da questa gara perché sanno bene cosa significhi la concretezza. Magari a Torino è mancato il gol, ma Ferreira-Carrasco ha avuto subito due palle gol nei primi dieci minuti. Bernardo Silva nella ripresa ha impensierito ulteriormente Buffon e anche Berbatov ha sfiorato la rete.

Jardim non è un incosciente e non se l’è sentita di rischiare il bulgaro dall’inizio contro una compagine che si mangia le squadre che giocano in maniera troppo spregiudicata (vedi Lazio-Juve 0–3 e Napoli-Juve 1–3). L’1–0 lascia alla Juve il pallino della qualificazione: con un gol al Louis II, tutto sarà più facile.

Tuttavia questo Monaco non va sottovalutato. E già questa è una prima vittoria per l’uomo di Barcellona.

La grande partita di Aymen Abdennour: praticamente perfetto.

p.s. Subasic comunque la cosa del rigore se l’è segnata.

Atletico Madrid — Real Madrid

Lo scontro tra le due squadre di Madrid potrebbe tranquillamente essere una serie HBO.
Ancelotti lo facciamo fare a Kevin Spacey, che può fare facile il finto buono che sotto sotto è un mezzo diavolo. Io a fare Simeone ci metterei Tom Waits, così, non perché più somigliante (per farlo ci sarebbe il tipo di Son of Anarchy che ora non mi viene il nome), ma sai con Tom quante sfumature del personaggio?

In questa puntata il Real ha deciso che bisognava prendere il toro per le corna e tirare in porta. Per farlo, Ancelotti, ha allargato molto il gioco della sua squadra per contrastare la voglia di stare uniti e stretti dei giocatori di Simeone, questo ha creato un discreto spazio per i terzini, soprattutto a destra con Carvajal (special guest Diego Luna).

Tanto lavoro sugli esterni.

Soprattutto nel primo tempo l’Atletico ha risposto agli assalti del Real Madrid in modo tranquillo e sereno, senza dover per nulla ringraziare il suo portiere Oblak (magistrale interpretazione di Damien Lewis).

Il portiere sloveno è stato fondamentale per portare la sua squadra a riposo sullo 0–0. Negli spogliatoi Simeone/Waits deve essersi fatto sentire (gliele ha cantate…) perché nel secondo tempo l’Atletico è salito di colpi. Su tutti è salito di livello Arda Turan (Gerald Butler dopo il rifiuto di Tom Hardy) che insieme al solito gioco di rottura è riuscito ad incidere a livello offensivo, soprattutto nei dribbling, riuscendo a giocare il pallone con Koke (Emile Hirsch).

Questa è Spartaaaaaa.

In conclusione è stata una buona puntata, sicuramente non la migliore della stagione, ma che apre scenari interessantissimi per la prossima, dove il Real dovrà cercare di trovare il gol, senza però rischiare di esporsi alle ripartenze dell’Atletico che se dovesse segnare poi vai a superare Godin (Adrien Brody).

Mandzukic (qui interpretato da Dominic West) vi da appuntamento a mercoledì.

A cura di Gabriele Anello, Mattia Pianezzi, Matteo Gustavo Serra, Marco D’Ottavi.

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