Ubiquità di Adani e Diana

Crampi Sportivi
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6 min readSep 3, 2016

Devo ammettere che il mio ruolo è niente male. Sono un’anima ubiqua, nel senso che mi sdoppio. Di tanto in tanto mi prospettano qualche buon incarico e, se non altro per cortesia, non mi sento di rifiutare. Ora, per esempio, mi hanno offerto di interpretare ad un tempo le volontà di un neo-allenatore, tale Oddo, e le giocate del terzino Dodò, ma non so se accettare: c’è in ballo anche quell’altro ingaggio, un po’ più difficile, in cui mi chiedono di vedere che succede tra D’Anna e Adnan. Non stanno capendo cosa fare di quell’apostrofo: a me, da professionista, la loro chiamata è sembrata un bel riconoscimento. Non sono propriamente dei super-poteri, i miei: io sono, come dire, il sesto senso di qualcuno. Sono un essere immateriale, un’essenza intangibile, che sotto forma di combinazione alfanumerica determina le infinite possibilità degli incroci a sua disposizione. Mi diverto ancora, ma non più come un tempo. Forse, tra un po’ smetterò di avere a che fare con i calciatori e mi dedicherò, come consulente esterno, ad anagrammi più rari.

Nulla da togliere a questa vita, ma sono al punto di staccare. Mi piace ricordare, tra gli intangibles da me orchestrati, il famoso caso di Diana e Adani. In sede di consiglio, tra colleghi, avevamo votato per una retrocessione del Brescia, che a nostro avviso meritava di essere bacchettato: è eccessivo per tutti vedere una squadra così dipendente dal proprio centravanti. Dunque Hubner si sarebbe salvato per volere generale, ma c’erano in ballo le sorti di molti cartellini davvero in rampa di lancio.

Quando scelsi di curare gli interessi di Adani e Diana, il lavoro fu perfetto. Fui in grado di garantire a entrambi una lunga carriera tra i pro, pur conciliando le loro prestazioni con il disastro compiuto dal resto della squadra. I Filippini, giù ubiqui di loro, si salvarono a vicenda per questioni di grinta, sacrificio e sostegno reciproco. Noi due, più o meno colleghi di reparto, ci distinguemmo. Come Aimo Stefano fui prolifico, con due reti nelle mie tante discese a destra; come Daniele segnai addirittura quattro reti e misero in molti gli occhi su di me. Finii addirittura a Firenze, poi a Milano.

Ora che li vedo adulti, non posso non sorridere. Aimo, che come amavo dire era forse il più citrullo tra i due, ha smesso non senza difficoltà a lasciare il campo. Forse gli anni a Verona ne hanno scalfito la personalità, ma in fondo si è comportato sempre bene. Di Daniele…beh, vado fiero. Ogni volta, per me, è un’emozione sentirlo parlare: i riconoscimenti che sta avendo, come “commento tecnico”, mi inorgogliscono nel profondo. Non so che farà, il mio Daniele, ma sono felice.

Lasciare in fondo è anche un dovere. Forse, addirittura, del tutto. Sarà il calcio moderno, saranno questi miei giovani colleghi che sbavano per casi come Pjaca / Pajac e trovano interessante roba molto più banale di quella di un tempo. L’ultima che ho sentito, poi, non si può sentire: creare a tavolino un “R. Ronaldo” a partire dal ritiro di Larrondo. Poveri noi, come ci siamo ridotti.

EUROPA LEAGUE 2012–2013 — Palermo-Karpaty: sulla fascia è Avelar vs. Varela

In un inizio di stagione senza punti di riferimento il Palermo arremba, costretto com’è ad affidarsi a Varela in qualità di esterno destro di attacco. Il fatto è che se Ilicic è rotto, sostituirlo degnamente diventa piuttosto difficile. Dall’altra parte, a spingere con analoghe mansioni e con molta più fiducia in se stesso, Danilo Avelar da Paranavai. Quest’ultimo imposta con nonchalance, senza prestare la minima considerazione al rivale di fascia: è un uruguagio qualunque, in una squadretta qualunque. In realtà, in segreto, sta studiando i difetti di Varela nel tornare a difendere, perché non si sente di escludere una qualche incursione da quel lato. Dopo tutto, pensa Danilo, è ordinaria amministrazione: i ragazzi sanno che per coprire lui fa il possibile, ma non può avere troppe colpe se i compagni non lo aiutano nei raddoppi.

Va detto, per inciso, che Avelar umilia Varela. Al 15’ lo supera in tunnel, ma il suo cross non viene raccolto. Due azioni più tardi, lo ferma in scivolata e butta in fallo laterale. Per finire, al 40’, lo dribbla e fa ripartire l’azione. Il problema per il Karpaty, però, è che gli incontenibili non mancano. Miccoli, per dire, ne segna uno allo scadere del primo tempo. E al 55’ Avelar è costretto a stenderlo, beccandosi un giallo. Varela, per carità, è inoffensivo, tanto che il mister decide di provare a insistere sull’altra fascia. Lo spagnolo Lucas perde palla davanti, regalandola di fatto a Balzaretti. L’azione con cui il bel terzino si accentra è maestosa, almeno quanto il pallonetto con cui Miccoli supera Bogatinov.

Danilo Avelar, sul 2–0, sta marcando Varela. Nell’istante in cui l’uruguagio qualunque azzecca il primo passaggio del match, pescando Miccoli libero ai venti metri, Avelar si sente perso. Corre verso il salentino, che ha tutta l’aria di voler mettere a sedere il difensore. Il quale non vuole rischiare, e interviene a piedi uniti sull’attaccante in rosa. Per Avelar è solo una grande, devastante sensazione di impotenza. Esce dal campo, proprio mentre Pioli cambia Varela con Zahavi tra una pacca sulla spalla e un cinque alto. Si, pensa Danilo, è proprio una giornata di merda.

FA CUP 2016–2017 — Derby County-Leicester City 1–1 (5–4 dcr): Vardy è la nemesi di Vydra

È il re-match di un’andata scialba (0–0), che ha visto un menomato Leicester non approfittare delle (poche) occasioni create. Gli altri, niente da perdere, hanno difeso con ordine e ora sono in casa.

Quando Bent si sfracella contro Drinkwater, Pearson sta già facendo scaldare Matej Vydra da un po’: nei piani, l’idea non è quella di sostituire il buon Darren, ma di appesantire l’attacco affiancandogli un collega. Il Leicester è passato in vantaggio da una buona mezz’ora, perché Vardy ha piazzato un diagonale dei suoi. Darren ci prova, ma ha preso un colpo all’anca troppo doloroso anche per lui. Carson s’incazza, Forsyth è nervoso, Mahrez una minaccia insidiosissima.

Mancano venti minuti, e Vydra inizia a proporsi. Prima qualche fraseggio, nel quale intuisce che Ranieri sta un po’ allentando la pressione. Basta un attimo, e Tom “Talis Pater” Ince si trova favorito da un rimpallo da cui avvia il contropiede. Vydra riceve e diagonalizza pure lui, con il suo piede peggiore. Schmeichel nulla può. Minuto 81. Supplementari, in sostanza, non giocati.

La sequenza dei rigori, dopo tre tiri a testa, è questa: Slimani Gol; Forsyth Gol; Drinkwater Gol; Martin Gol; Mahrez Gol; Bryson Gol; Huth Gol; Baird Gol. Vardy si avvicina al dischetto con, negli occhi, un equo misto di pixel e stelline. Sente qualcosa di strano, avverte il senso di colpa della tracotanza. Prende una rincorsa di pochi passi, puntando a metterla alta e centrale, proprio sotto la traversa. è un rigore perfetto, per tecnica ed esecuzione, che Carson nemmeno vede partire. Ma è un’illusione, perché il tiro va alto.

Tocca a Vydra, l’ultimo dei cinque previsti. Ha lo sguardo fermo, respira piano e si sgranchisce la schiena. Decide, senza pensarci troppo, che mirerà dritto ai capelli di Schmeichel, contando sul fatto che il portiere si sposti anche solo di poco. E ha ragione, perché Schmeichel abbocca come un pesce alla sua finta di corpo e riesce solo a sfiorarla con le dita. La botta del ceco, centrale e ben calibrata, infiamma il Brian Clough. Il turno, per volere degli dèi, è stato superato.

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