Un bagno di sangue

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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6 min readJul 10, 2016

Vincere per sentire il dolce tintinnio di una medaglia d’oro olimpica e avvertire un brivido sul collo, quasi fosse un abbraccio caldo e sensuale, al pensiero di adornarlo con un simile gallone. Vincere per questo, sì, ma anche per riscattare un intero popolo. Vincere come forma di resistenza.

Sono i pensieri che albergano nella testa dei giocatori della nazionale di pallanuoto dell’Ungheria quando, il 6 dicembre 1956, si preparano a scendere in acqua a Melbourne per affrontare l’Unione Sovietica. È la penultima partita del girone che assegna il titolo olimpico, ma finirà per assumere tutt’altra valenza. Per quello che era accaduto un mese addietro e per quanto seguirà poco dopo.

I primi giochi olimpici nell’emisfero australe arrivano al termine di un anno turbolento per il mondo comunista. A febbraio, in occasione del XX° congresso del PCUS, il nuovo primo segretario Nikita denuncia in un celebre rapporto segreto le malefatte del suo predecessore Stalin, deceduto nel 1953.

Apriti cielo: basta una miccia come la netta presa di distanza dal defunto leader georgiano per accendere i primi focolai nell’Europa dell’Est. Come in Ungheria, dove la rivolta anticomunista di Budapest renderà inconsapevolmente ancora più tesa e agitata una partita di pallanuoto.

È il 23 ottobre 1956: gli studenti supportati da operai e persino soldati in servizio. Qui non siamo più di fronte a un corteo, una manifestazione, una protesta: è una rivolta, con tanto di abbattimento del monumento a Stalin.

Il partito comunista sembra incline a cedere alle richieste dei riottosi e nomina Nagy primo ministro, invocando al tempo stesso l’intervento delle truppe sovietiche di stanza in Ungheria. L’ÁVH, la polizia segreta, inizia a sparare sulla folla, causando i primi morti. La situazione sembra degenerare: Nagy sceglie l’arte della diplomazia e riesce a ottenere il cessate il fuoco, il ritiro dei carro-armati e lo scioglimento della polizia segreta. Agli occhi di Mosca, però, Nagy commette un peccato mortale: ha annunciato l’uscita dell’Ungheria dal Patto di Varsavia.

Il 4 novembre l’Armata Rossa invade Budapest con incursioni aeree, bombardamenti di artiglieria, carri e fanteria: i rivoltosi, nettamente inferiori per uomini e mezzi, non hanno via di scampo. Nagy e alcuni compagni trovano rifugio presso l’ambasciata jugoslava: saranno consegnati ai sovietici, in base ad un accordo tra Tito e Chruščёv, che pochi giorni prima si era recato in Jugoslavia a caccia di consensi per l’invasione. Con l’insediamento del governo filo-sovietico del segretario generale del partito János Kádár, poi, la rivolta è definitivamente stroncata.

https://www.youtube.com/watch?v=LVdQ9PK9Q5o

Mentre studenti e operai perdono la vita, la nazionale maschile di pallanuoto è all’oscuro di tutto ciò: i giocatori sono in ritiro su un monte sopra Budapest: da lì riecheggia il rumore degli spari mentre colonne di fumo si librano nell’aria, ma nessuno spiega loro cosa significhi. Lo scopriranno poche settimane dopo, al loro arrivo dall’altra parte del mondo, guardando un notiziario in televisione.

Seppur inattivi da quasi un mese, gli ungheresi sono gli indiscussi maestri della pallanuoto. E nel girone eliminatorio superano piuttosto agevolmente una Gran Bretagna ormai incapace di ripetere i successi d’inizio secolo e gli Stati Uniti. I magiari accedono così al girone che assegna la medaglia più preziosa, dove nelle prime due gare stracciano l’Italia e la rappresentativa che unisce Germania Est e Germania Ovest con altrettante vittorie per 4–0. In lizza ci sono, guarda caso, pure Unione Sovietica e Yugoslavia.

Si arriva al 6 dicembre e alle 15.25 ora locale, quando i campioni olimpici in carica sfidano i sovietici. E no, non è una gara qualsiasi. Lo sanno fin troppo bene i giocatori, lo sanno anche gli esuli tifosi ungheresi assiepati sugli spalti della piscina che incitano i loro beniamini al grido di “Hajrá Magyarok!” (“Forza, ungheresi”). Negli sport di squadra, complice l’assenza della leggendaria Aranycsapat nel torneo di calcio, le speranze di vittoria sono tutte riposte proprio nella pallanuoto.

In acqua le squadre si affrontano in maniera ruvida, ricorrendo senza remore alle maniere forti. P’et’re Mshvenieradze, attaccante e capitano dell’URSS, viene espulso nei minuti iniziali e l’Ungheria va a segno con Dezső Gyarmati e György Kárpáti, l’inventore — così si dice — del tiro con la finta. Nel secondo tempo, i magiari completano l’opera con Antal Bolváry, costretto a uscire per un colpo all’orecchio ricevuto da un avversario, ed Ervin Zádor. A quest’ultimo tocca l’ingrato compito di marcare Valentin Prokopov, colui che ha steso il suo compagno di squadra.

Lo insulta in russo, lingua che molti ungheresi della sua generazione sono stati costretti ad imparare sui banchi di scuola. Poi, a un certo punto, Zádor viene distratto da un fischio e perde di vista il diretto marcatore. Che emerge improvvisamente dall’acqua e gli sferra un colpo secco sul sopracciglio.

Zádor esce dall’acqua proprio sotto le tribune: tutti vedono un rivolo di sangue sgorgare dal suo volto. Inferociti, i tifosi ungheresi scavalcano i cordoni di sicurezza e iniziano a ricoprire di sputi i giocatori sovietici: la polizia è costretta a intervenire per placare i più facinorosi e scortare gli atleti fuori dalla piscina. Il cronometro segna ancora diversi minuti da giocare, ma è più saggio fermarsi qui: viene omologato il 4–0 in favore dell’Ungheria. “Blood in the pool match”: così titola un quotidiano australiano che, inconsapevolmente, ha coniato un’espressione destinata a sopravvivere negli anni avvenire.

Nemmeno il tempo di metabolizzare e le due squadre sono di nuovo in acqua il giorno seguente: i sovietici sconfiggono 6–4 la Germania unita, ma non è sufficiente a conquistare almeno l’argento. Quello finisce sul petto dei giocatori della Jugoslavia, battuti di un nonnulla (2–1) dall’Ungheria che si conferma così campione olimpica. Ma non è un vittoria da festeggiare, questa: molti giocatori piangono al momento della cerimonia di premiazione. E anche nelle foto che scatteranno dopo essere scesi dal podio i sorrisi latitano.

Zádor, assente in finale perché infortunato, mantiene fede alla parola data: non farà più ritorno in madrepatria. Ripara in California, dove diventa l’allenatore di un ragazzo che ha un talento innato per il nuoto: il suo nome è Mark Spitz, ne sentiremo riparlare.

A Mosca la notizia della medaglia di bronzo viene accolta con freddezza (eufemismo). Anzi, l’insoddisfazione è tale che a nessuno dei giocatori verrà assegnato, come il protocollo prevede in questi casi, il titolo di Maestro dello Sport. Si salvano appena il capitano Mshvenieradze e il portiere di origini ebree Boris Gojchman, ma solo perché gli era già stato precedentemente conferito.

Anche i sovietici, però, hanno la loro versione dei fatti. Erkin Shagaev, futura medaglia d’oro ai Giochi di Mosca del 1980, racconta che i giocatori erano stati preventivamente messi in guardia riguardo possibili provocazioni da parte degli ungheresi e come lo stesso Mshvenieradze fosse stato ripetutamente colpito al volto dal diretto marcatore.

https://www.youtube.com/watch?v=ORjIONFd8cU

Nel 2006, in occasione del cinquantesimo anniversario della ricorrenza della rivoluzione ungherese, vengono girati due film che ricostruiscono quel travagliato incontro di pallanuoto tra Ungheria e Urss. Al Festival di Tribeca, a New York, viene presentato il documentario “Freedom’s Fury” che può contare su due produttori d’eccezione quali Lucy Liu e Quentin Tarantino, il quale definisce il film “la miglior storia mai raccontata di sempre”. Anche il narratore in off è un nome altisonante: è Spitz che descrive le grandi gesta del suo allenatore, stella dell’Ungheria.

Proprio il 23 ottobre nelle sale cinematografiche ungheresi esce “Children of glory”, una pellicola di marca locale diretta da Krisztina Goda: qui le vicende (reali) vengono filtrate attraverso la storia d’amore (romanzata) tra un giocatore della nazionale e una studentessa, leader dell’insurrezione. Tra gli attori figurano veri pallanotisti ungheresi — Péter Biros, István Gergely, Gergely Kiss e Zoltán Szécsi.

https://www.youtube.com/watch?v=MLoA5yLZ4l4

In lingua originale, il film si chiama “Szabadság, szerelem!” (“La libertà, l’amore!”) e il titolo trae ispirazione dai versi del poeta Sándor Petőfi, figura di spicco della rivoluzione del 1848. Lo stesso Petőfi che prestò il proprio nome a quel circolo culturale di studenti che scese in piazza quel 23 ottobre 1956.

Simone Pierotti | Viareggino, classe 1985, collabora dal 2002 con il giornale ‘Il Tirreno’ ed è tra i fondatori del quotidiano online Versiliatoday. Laureato in Sports Journalism alla Sheffield Hallam University, è appassionato di calcio e Carnevale e trova nel Torneo di Viareggio, su cui ha recentemente scritto un libro come co-autore, il perfetto connubio. Adora i libri di Eduardo Galeano e Simon Kuper ed è alla costante ricerca delle ripercussioni politiche, sociali ed economiche dello sport. Giornalista pubblicista fumettista (ex) pallanotista, ha recentemente pubblicato l’ebook in inglese “History of water polo at the Olympics”.

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