Un giorno questo dolore ti sarà utile
Sapevamo che sarebbe stato difficile, soprattutto perché oltre ad essere una seria candidata alla coppa l’Irlanda arrivava con le ferite di Murrayfield ancora fresche, ma quella presentatasi all’Olimpico è stata un concentrato di corsa, tecnica e rabbia agonistica in maglia verde impossibile da gestire.
Poche modifiche dal match contro il Galles per l’Italia: torna Esposito all’ala, Favaro si riappropria del suo numero 7, Van Schalkwyk parte dall’inizio in seconda linea e Ghiraldini si riprende il suo posto da tallonatore. Fino a non molto tempo fa al suo fianco combatteva anche un certo Martin Castrogiovanni, praticamente un bambino al quale dopo aver portato via le caramelle mostrano un negozio di dolciumi. Vederlo lì a bordocampo diventa l’immagine più umana del guerriero vichingo al quale si era affezionato un pubblico non necessariamente rugbistico.
Eppure nel primo quarto d’ora l’idea è che un guerriero in più farebbe comodo. La tenacia con la quale la marea verde si infrange sul muro azzurro non ammette repliche. La brutta partita contro la Scozia ha reso i giocatori irlandesi in debito con il proprio pubblico, un debito che noi siamo costretti a pagare. Dopo 12’ di assedio senza soluzione di continuità arriva la marcatura di Earls. È il preludio di una valanga a più ondate che non abbiamo i mezzi per arginare.
La punizione di Canna è una dolce illusione. L’obiettivo numero uno degli irlandesi è raggiungere il bonus, il nostro sarebbe quello di provare a togliergli il pallone dalle mani per più tempo possibile. Peccato che la squadra costruita da coach Schmidt tracima di ballcarrier, in particolare i tre uomini della terza linea, in particolare C.J. Stander. Il manto erboso dell’Olimpico diventa il suo playground; semplicemente ara ogni centimetro d’erba che calpesta. Chiuderà con tre mete e 22 carries (miglior dato della partita). Sua la seconda meta irlandese, che mi obbliga ad accendermi la prima sigaretta che spesso lascio per gli ultimi cinque minuti del primo tempo.
Serve un’altra marcatura di Earls per convincere i nostri a premere sull’acceleratore, fino alla meta tecnica che finalmente sembra dare un senso alla nostra partita. Quando l’Italia riesce a costruire una maul nei 22 avversari sembra in grado di marcare ad ogni azione. Purtroppo questa organizzazione non si riflette in mischia chiusa dove obiettivamente soffriamo troppo (al netto di un pack irlandese di primissimo livello).
Il punteggio al termine dei primi quaranta minuti non è così impietoso per l’Italia. Il 28–10 (altra meta di Stender) con cui si va al riposo mi lascia fiducioso, dal momento che gli irlandesi sono già in bonus e magari potrebbero anche alzare il piede dal gas. In realtà il ritmo infernale tenuto dai nostri avversari nei primi 20 minuti non si ripete nella seconda frazione. Il problema è che la lancetta della benzina azzurra è già in riserva. Nella prima parte di gara siamo stati costretti a difendere incessantemente, senza mai vedere il pallone, ad un ritmo che toglie una montagna di energie fisiche. Forse il piano degli altri era proprio forzare l’avvio di partita, costringerci alle corde ed infliggerci il break prima che noi potessimo dire “A”. Sarà questo o sarà altro il secondo tempo non ha mai realmente storia.
Dopo cinque minuti c’è la terza meta di Stender che chiude la partita e la reazione azzurra, beh, è la solita. Tonnellate di buona volontà farcita da un numero troppo elevato di errori nella “zona rossa” avversaria. Nel secondo tempo non abbiamo marcato né contro il Galles né contro l’Irlanda e la cosa comincia ad assumere un contorno preoccupante. Batterie scariche? Ricambi non all’altezza? Più la prima che la seconda il che ci porta alla conclusione che dobbiamo trovare il modo di abbassare i ritmi inferociti che anche l’Inghilterra tra due settimane ci imporrà nel suo stadio. Come dicevo il secondo tempo non ha granché da raccontare, a parte un Ringrose che nelle praterie concesse dalla stremata difesa italiana prova ad o’driscoleggiare con risultati accettabili. Certo vestire quella maglia è una pressione con cui il ragazzo dovrà convivere a lungo. Buona fortuna a lui.
Indossare la 13 dell’Irlanda è come indossare la 10 dell’Inghilterra o la 9 dell’Australia.[/caption]
Anche Campagnaro si dimostra pronto per un posto nello starting XV dell’Italia. L’idea è che lì in mezzo ci manchi un ballcarrier affidabile e le qualità del trequarti dell’Exeter potrebbero convincere O’Shea ad assegnargli uno spot tra i centri. Decisione dell’allenatore, non questioniamo. La partita si chiude con un inglorioso 63–10, la sconfitta più pesante mai subita per mano degli irlandesi. Il punteggio è sicuramente viziato da un’applicazione mentale inesistente negli ultimi 10 minuti (che ci può stare nonostante le inattaccabili parole di Favaro), però sottolinea un divario tecnico e atletico difficile da colmare in due settimane. Per entrare nel grande rugby servono anche queste batoste, da tifoso mi dispiace ma soltanto andando avanti si può crescere.
Testa a Twickenham quindi, il tempio del rugby mondiale, dove ad aspettarci ci sarà la favorita numero uno di questo Sei Nazioni. Inutile dire che la montagna da scalare è parecchio impervia, ma come dice Raimondi prima di ogni partita: “mai paura”!