Un selfie, por favor — Los Sintéticos S1 E03

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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8 min readJun 22, 2015

Più che a una telenovela, questa Copa América somiglia sempre più a Game of Thrones.
Prendiamo Neymar: doveva essere il protagonista; doveva trascinare il Brasile al riscatto come un Robb Stark sudamericano; era l’uomo copertina, il talento cristallino maturato al sole della Catalogna. E in effetti alla prima partita, contro il Perù, ha rispettato il copione. Bravo Neymar. Con un Neymar così, si vince anche senza un attaccante degno di questo nome. Poi c’è stato lo sbrocco contro la Colombia: O’Ney ha perso la testa. Ed è arrivata la squalifica di quattro giornate a sancire il suo definitivo addio alla serie. Neanche George R. R. Martin avrebbe potuto immaginare una roba del genere.
E l’Argentina? Insipida. E l’Uruguay? Bruttino. I colombiani non sanno nemmeno come sono riusciti a qualificarsi (come migliori terzi, insieme agli uruguayani). Poi ci sono gli outsider: il Perù (con l’highlander Claudio Pizarro) e la solida Bolivia (chiudete le porte della hacienda e difendete!).
Per adesso, gli unici che hanno divertito e, soprattutto, si sono divertiti, sono i cileni (sopravvissuti allo schianto della Ferrari del figliol prodigo Vidal). La Roja sembra una seria pretendente alla vittoria finale (unica squadra a non aver vinto una Copa América in tutta la sua storia). Il problema è che, che si tratti di telenovela o di Game of Thrones, il colpo di scena è sempre dietro l’angolo.

#CHLBOL

A Charles non piace la Bolivia

Se dobbiamo parlare di qualcuno che pensa solo a sé stesso, Charles Aránguiz sembra l’uomo adatto. Specie quando incontra la Bolivia. All’ultimo Mondiale si è reso protagonista per delle partite straordinarie e per il gol del 2–0 alla Spagna. In mano ai Pozzo per un po’ di tempo, oggi calca i campi della Série A brasiliana con la maglia dell’Internacional.

Nel 5–0 del Cile alla Bolivia, il mediano segna due gol. Pazzesco vedere il suo score in nazionale: Aránguiz ha collezionato 36 presenze e sei gol con la Roja. Di quelle sei reti, ben quattro sono arrivate contro la Bolivia. Qualcuno si sarà chiesto se dalle parti di La Paz hanno fatto qualcosa di male al ragazzo di Puente Alto.

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Il mago

Se nel bel mezzo della telenovela arriva un mago, allora sconfiniamo subito nel campo del fantasy. E, in effetti, se Gary Medel prima fa un lancio degno di Pirlo (in occasione del primo gol cileno) e poi segna con un pallonetto delicato (“delicatezza” non è certo una qualità associata a Medel), allora sì, siamo proprio dentro a un fantasy. Qualcosa tipo Fantaghirò. Il mago di questa puntata si chiama Jorge Valdivia e non ha la bacchetta, ma una visione di gioco soprannaturale. Entra in quattro dei cinque gol del Cile. In due casi è proprio lui a servire l’ultimo passaggio: uno è per Gary Medel e, insieme alla palla, deve avergli passato anche un po’ di grazia; l’altro è per el Niño Maravilla, con cui chiude un triangolo quasi senza guardare.

Da apprezzare il coraggio di Sanchez, che si butta nonstante l’alto rischio decapitazione

È quasi magia, Gary

La sensazione suscitatami dal gol fatto da Medel ai malcapitati boliviani è ben riassunto dal candido stupore del testo di “Cara” di Lucio Dalla.

Così come una farfalla ti sei alzata per scappare

ma ricorda che a quel muro ti avrei potuta inchiodare..”

Solo che nell’immaginario calcistico zoofilo più che a una farfalla Medel potrebbe essere più un tafano, o una Mosca asinina. Il suo sombrero è la goccia di splendore (speriamo che non mi denunci Fossati) che manda la sua classe operaia in paradiso. Bien Hecho Gary!

#GaryMedelFacts

Gary Medel sta diventando uno dei protagonisti di questa Copa América. Contro la Bolivia non si è limitato alle randellate in mezzo al campo.

E già el Pitbull. Sì, Medel sfida l’impossibile. E vince, sempre.

#MEXECU

La partita tra Messico ed Ecuador è l’unica di questo turno finale dei gironi a svolgersi tra due squadre eliminate. Nessuna delle due lo sa, ma entrambe salutano anticipatamente la competizione. Colpo duro sopratutto per l’Ecuador, che si è qualificato per l’ultimo Mondiale e ora esce un po’ a sorpresa già prima della fase a eliminazione diretta.

Bolaños curioso!

La Copa América di Miller Bolaños è stata croce e delizia. Nella gara d’apertura contro il Cile, i suoi compagni stavano strappando un buon pareggio finché una sua ingenuità non ha regalato il rigore dell’1–0 a Vidal. Poi ha provato a farsi perdonare con due gol contro Bolivia e Messico, ma non sono serviti per la qualificazione dell’Ecuador. In ogni caso, noi ve lo segnaliamo: quattro reti in sette presenze con l’Ecuador, Bolaños sta facendo cose stupende in questo 2015 anche con la maglia dell’Emelec.

E poi sembra furbo. Qui punta a emulare Dublin e Chevanton, ma l’arbitro lo ferma prima che la rubata sia portata a termine.

Herrera-show

Diciamoci la verità: il Messico è spesso invitato alla Copa América e non esita a portare la squadra-B. L’ha fatto sopratutto stavolta, visto che la Gold Cup sarà tra 20 giorni e c’è da riportare il titolo in patria. Tuttavia, qualche spunto positivo c’è stato. Sicuramente il migliore è stato il ct, il vulcanico Miguel Herrera. Prima dell’inizio del torneo si era sbilanciato: «Voglio vincere la Copa», poi dopo l’eliminazione ha persino litigato con un giornalista messicano. Andato a casa dopo i gironi, lo ringraziamo lo stesso per lo spettacolo.

#ARGJAM

Non gioco più

Il mio amore per Dwayne Kerr sta assumendo forme spasmodiche e inattese (ne avevo già parlato qui): dopo la papera contro il Paraguay, il nostro eroe poteva fare la figura del più indefesso degli scemi.

E c’ha provato: dopo il numero di Di Maria battezza il pallone fuori, come per dire: «O Raga tranquilli, l’ho vista io».

Risultato? Traversa. Magari pensava alla regola de “l’alto salva”, come quando da ragazzino giocava a tedesca.

Rabonite

Nella puntata precedente, avevamo lasciato Marcos Rojo in un fight club con Muslera. Contro la Jamaica, invece, è tornato a giocare a calcio. E ci ha regalato una rabona.

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Dal colpo proibito contro l’Uruguay, al colpo di classe contro la Jamaica: evoluzione del personaggio, pagina 75 del manuale di sceneggiatura.

La solitudine del gol #1

Anno di sofferenza per El Pipita. A Napoli non sono bastati i 53 gol in 102 gare ufficiali per convincere i napoletani che, no, non c’è da rimpiangere Cavani. Troppi i momenti decisivi in cui si è sentita la mancanza di un leader non solo tecnico (su quello non si discute), ma soprattutto psicologico. Per ultimo, l’errore con la Lazio non sarà cancellato a breve dalla mente dei tifosi.

Improvvisamente, la nuvoletta nera che accompagna Higuaín si è trasferita anche in nazionale. Protagonista con qualunque allenatore dell’Argentina negli ultimi quattro anni, all’improvviso si è ritrovato in panchina. Appena un quarto d’ora contro il Paraguay, neanche subentrante contro l’Uruguay. La vita cambia presto ed El Pipita lo sa.

Sarà per questo che contro la Giamaica ha dato tutto. Ha segnato come solo lui (e pochi altri al mondo) sa fare: controllo in mezzo all’area, movimenti spalle alla porta e destro all’angolino. Quando ha esultato, non c’era la solita gioia negli occhi: solo un velo di tristezza mista a rabbia agonistica e la bocca crucciata. Forse perché l’Argentina stavolta ce l’ha in pugno, ma l’attaccante dovrà resistere. Niente selfie celebrativi per lui.

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«Sì, sono contento». Ma il tono della voce è tutt’altro che felice.

#URUPAR

Altro pareggio, altra Larissa?

Non vogliamo fare i maliziosi: serviva un pareggio a Uruguay e Paraguay. Indovinate un pochino cosa è uscito sulla ruota della Copa América? Un bussolotto recante la scritta 1–1, terzo risultato consecutivo negli ultimi due incontri tra le due nazionali.

In compenso lo spettacolo della Copa è stato garantito sugli spalti (come la perdita di diottrie progressiva, non dovuta agli orari di messa in onda delle partite qui da noi…).

L’erede

I tifosi dell’Uruguay stiano tranquilli per i loro difensori centrali. In origine fu José Nasazzi, capitano dell’Uruguay vincitore del primo Mondiale. Siamo partiti da Obdulio Varela, condottiero (capitano è poco…) nel Maracanazo del ’50, fino a Paolo Montero. Poi ci è toccato Diego Lugano. Poi è stato il turno di Diego Godín.

Ora il candidato in linea di successIoNE è José María Giménez, che a vent’anni ha la personalità di un veterano. E comincia pure a segnare.

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#COLPER

Miracolo tra le ande

Alzi la mano su chi avrebbe scommesso sul Perù qualificato. Io manco mi sforzo, perché nel girone C pensavo proprio che La Blanquirroja sarebbe stata l’eliminata del raggruppamento. Invece, gli andini hanno fatto faticare il Brasile, hanno vinto con il Venezuela e hanno resistito senza troppe sofferenze agli assalti di una Colombia spuntata.

Il merito va al grandissimo Ricardo Gareca, ct del Perù. Tecnico argentino, El Flaco è succeduto idealmente al regno di Sergio Markarián, uruguayano che ha portato il Perù al terzo posto nell’ultima Copa América. Non vogliamo portar male a Gareca, ma il quarto di finale a Temuco con la Bolivia è un’ottima occasione per provare a ripetere quel viaggio magico.

Io ci vedo un filo di Mick Jagger.

La solitudine del gol #2

Si è tagliato i capelli da Sansone. Si è allontanato dall’Inghilterra (solo per ora, il Chelsea lo vuole). E ha sperato che la nazionale potesse esser un’isola felice.

A proposito di centravanti tristi, Radamel Falcao appare ancora più abbattuto e meno Tigre di quanto poco lo già è stato a Old Trafford nell’ultima stagione. Dopo un anno passato soprattutto a far svalutare il suo cartellino, il centravanti forse confidava nella sua Colombia, di cui è diventato top-scorer di tutti i tempi a marzo scorso.

Invece, niente. La Colombia fa fatica: è teoricamente impenetrabile (solo un gol preso: miglior difesa del torneo), ma non segna praticamente mai (l’unico gol l’ha segnato un difensore su palla inattiva). E lui? Lui non tira, non ammazza gli avversari come qualche estate fa, quando ridicolizzava quelli che probabilmente saranno i suoi nuovi compagni di squadra.

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Se pensate che questo è l’highlight più importante della sua gara, capite il momento…

Il James violento

Quando non son rose, ma cardi a fiorire a giugno, la stagione si può definire arida. Per James questo 2015 continua a essere terribilmente complesso e i suoi Cafeteros sono finora la vera delusione della competizione. I nervi tesi vengono a galla sul povero Advincula: il peruviano è steso da un Flying Elbow che farebbe onore a Ricky “The Dragon” Steamboat.

https://twitter.com/kopafootball/status/612777490331906048

Gli Smiths verdeoro

“William, William, it was really nothing” cantava Morrissey. Cambiando la consonante finale, vale lo stesso: Willian, Willian, non è stato davvero nulla: un’accelerazione sulla fascia, un difensore venezuelano lasciato di sasso. Cambio di passo, cross in mezzo e gol: really nothing.

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L’uomo più forte al mondo

Credo che nessuno abbia ancora rimosso il Minerazo dello scorso luglio, il crollo del Brasile e le lacrime dopo i suoi tifosi dopo la partita contro la Germania. In quella gara, mancavano due elementi fondamentali per il Brasile di Scolari: uno era Neymar (infortunato), l’altro era Thiago Silva (squalificato). Sul 7–0 finale, traete voi le vostre conclusioni. Nessuno mi toglie il dubbio che in quella gara l’assenza di due così abbiano determinato un crollo psicologico clamoroso.

Quando Dunga è tornato a essere ct, la mossa che nessuno si sarebbe mai aspettato: via la fascia di capitano dal braccio di Thiago Silva, va a O Ney. Il ct motivò così la scelta: «Questo gruppo ha bisogno di leader». Thiago non ha mai accettato la cosa di esser stato scalzato da uno dei giocatori più forti del mondo, ma che rimane un ragazzo di 23 anni. E che ha dimostrato di non avere almeno il carisma per gestire quella responsabilità (vedi la squalifica di quattro giornate che gli ha già fatto lasciare il ritiro). Thiago non l’ha ricevuta nemmeno contro il Venezuela, con Neymar assente e Miranda (!) capitano al suo posto.

Eppure Thiago Silva ha dimostrato ancora una volta di esser un grande uomo. Partito come riserva in questa Copa América, ha deciso la gara con il Venezuela con un bel gol su corner. Una volta finita l’esultanza, ha indicato 10 con le dita. Non si è capito subito a cosa si riferisse. Poi l’inquadratura si sposta su Neymar ed è tutto chiaro. Nonostante tutto, prima di tutto viene l’unità di squadra. Un maestro di vita, non c’è che dire.

https://twitter.com/casadelfutbol/status/612738377784426497

A cura di Gabriele Anello, Sebastiano Bucci e Sebastiano Iannizzotto

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