Una poltrona per due

Simone Nebbia
Crampi Sportivi
Published in
3 min readMay 10, 2018

TAPPA 6— CALTANISSETTA — ETNA
10 MAGGIO 2018–169 KM

Vincitore: Johan Esteban Chaves Rubio

Maglia Rosa: Simon Yates

Tremilatrecentoquarantatrè. È a quell’altezza che il “nevoso” Etna di Pindaro mescola al freddo dell’altitudine con il cuore caldo di lava. È un paradosso, un vulcano. In cui convivono insieme sensazioni in contrasto, le stesse di quando giù a Catania un gruppo infuocato di attivisti boicotta il Giro partito da Israele e prende le cariche gelate sulla schiena, senza che se ne capisca bene chi abbia ragione, se un Giro D’Italia è davvero un territorio di scontro oppure forse c’era bisogno di andare a protestare dove davvero, c’è da protestare. Eh già perché tra un po’ fanno i Mondiali nella civilissima Russia di Putin, per non parlare dei prossimi in Qatar. E allora, insomma, mentre si bombarda la Siria e si cercano alleanze più per economia che per occorrenze politiche, forse occorre andarci cauti e fare una battaglia per volta. Nei luoghi opportuni. E forse lo sport, sarebbe il caso che restasse sport.

Non erutta che sono anni, l’Etna. E allora non è strano che ci metta tanto, la tappa, ad incendiarsi. Ma poi ci vuole un attimo e ci pensa un tipo smilzo che si chiama Giulio Ciccone, di quelli che te li ritrovi sempre davanti, che scatta dieci volte e appena impara a farlo al punto giusto, poi, dopo, sono dolori per tutti. Uno di quelli che poi, un giorno, ti fanno innamorare. Ma intanto si guarda altrove, là dove gli uomini di classifica pare che in ogni tornante stiano lì a giocare a nascondino, quando dopo tutte le curve devi chiederti se lì dietro ci sono tutti o qualcuno s’è nascosto, qualche secondo più indietro. È quella la volta che ti perdi Froome, altre Dumoulin, altre persino Fabio Aru e quella sì è una delusione, ché sulla prima salita te lo aspettavi avanti, mica indietro. Fuori dai radar dell’altitudine. Ma il Giro è lungo, una salita non fa primavera ma questa è una stagione breve che dura appena tre settimane. Si sente sulle gambe, si sente quando Pozzovivo parte ai tre km con un rapporto senza senso e si porta dietro giusto Pinot, Bennett e qualche sasso dentro scarpe troppo strette. Si sente anche in Colombia, la sensazione di primavera. E non porta nessuna allergia alla vittoria. Quella che Chaves prima di un incidente maledetto ha solo sfiorato, nel Giro di Nibali, due anni fa. E che adesso torna, come ogni anno, torna, una stagione.

Così gli pare quasi fatta e niente, la storia è sempre quella: c’è aria di montagna e un colombiano si ambienta in fretta. Ma è l’ultimo chilometro e non ti aspetti che a Yates venga in mente di partire, con quel colombiano lì davanti, compagno di squadra. No aspetta Simon questa la vinco io, Sì ma io mi prendo la maglia, Va bene ma poi vediamo ché magari poi un altro giorno la porto io, No ma non è la tua taglia, Guarda che io vesto morbido, Ok dai senza stare su a pensarci adesso fai così, adesso andiamo, poi stasera ci pensiamo, a proposito, chi vince? Ce la giochiamo? No che ti vuoi giocare già una fatica arrivare fino a qui, Va bene allora senti se la maglia me la prendo io tu adesso con quel sorriso mi dispiace, vuoi vincere tu? Guarda che io posso vincere uguale, Ok, dai, lasciamo stare, te l’ho detto, litighiamo stasera. Vinci e facciamo contenti tutti, Ok dai, spostati mezzo metro, Simon? Che c’è, Ma tu non eri un pistard che ci fai qui in montagna? Chavito, senti dai, passa ma fai in fretta, Ok…Simon? Che c’è! Ma stasera, poi, me la fai provare?

Simone Nebbia

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