Una settimana da Dio — Intervista ad Andrea Dossena

Crampi Sportivi
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5 min readDec 1, 2016

Odiare l’avversario è facile, fin troppo. Fraternizzare con lui fino a trovarlo simpatico è molto più complicato. Se siete tifosi del Milan, vi sfido a provare simpatia per il Liverpool dopo Istanbul. Eppure, con uno come Steven Gerrard dall’altra parte, è stato tutto più semplice anche per me, undicenne all’epoca del 25 maggio 2005.

Il 24 novembre Stevie G ha detto basta con il calcio giocato e io lo confesso: se durante l’ultima partita ad Anfield avevo versato qualche lacrima, lo stesso non è successo invece giovedì scorso, d’altronde la magia era finita ormai da un pezzo. Ma ho ripensato al Liverpool, a quel Liverpool odiato e amato a distanza di pochissimi anni, alla squadra che fu anche di altri due miei pallini, Fernando Torres e Dirk Kuyt, e di un italiano che ha avuto la fortuna di giocare con loro.

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Andrea Dossena, professione terzino sinistro, al momento è svincolato dopo una stagione nel Chiasso, in Svizzera. Ha 35 anni e non sente ancora vicino il momento in cui gli scarpini andranno appesi al chiodo, tuttavia non è stato ispirato dalle richieste che ha ricevuto quest’estate. Vive bene a Cernobbio, sul lago di Como, con la moglie e il figlio. Aspetta altre chiamate, ma intanto dice:

«Sto pensando di diventare allenatore, mi piacerebbe partire dal settore giovanile».

Dossena e il Liverpool: un anno e mezzo, due gol. Ma che gol. E contro chi, poi. L’ho sentito al telefono e tra una cosa e l’altra sono arrivato anche a chiedergli cosa si prova ad aver giocato con Steven Gerrard.

10 marzo 2009

Andrea Dossena è nato a Lodi l’11 settembre 1981, è cresciuto nel romantico Fanfulla — la squadra della sua città — e nel Verona e con i gialloblu ha esordito in Serie A nella stagione 2001–2002. Nel 2005–2006 ha vissuto l’unico anno del Treviso nella massima serie, poi è passato all’Udinese dov’è sbocciato nel 2007–2008. Il 17 ottobre 2007 ha debuttato in Nazionale: Italia-Sudafrica 2–0 a Siena. Quindi è passato al Liverpool nel luglio 2008, un trasferimento che ricorda così:

«A gennaio mi voleva il Tottenham, ma l’Udinese aveva deciso di non fare mercato in uscita. Poi da marzo è iniziato l’interesse del Liverpool e di altre squadre, ma la mia voglia di provare un’esperienza fuori dall’Italia e la loro insistenza hanno permesso di chiudere presto l’affare. Ero abituato, in estate, ad andare in ritiro in montagna. Invece appena arrivato siamo partiti per una tournée. Le preparazioni in Inghilterra sono molto più soft».

Dossena corre, e Rafa Benitez, allenatore dei Reds, va matto per chi corre.

«Mi aspettavo un periodo di adattamento per conoscere meglio il calcio inglese, invece ho giocato bene fin da subito, e pure tanto», dice Andrea. Si arriva a martedì 10 marzo 2009, ad Anfield il Liverpool ospita il Real Madrid per il ritorno degli ottavi di Champions League. L’andata era finita 0–1 con un colpo di testa all’indietro di quell’essere magrissimo chiamato Yossi Benayoun.

«Eravamo in vantaggio, ma anche molto preoccupati. In quel periodo Benitez metteva i difensori centrali sulle fasce e io entrai come ala sinistra nel 4–4–2. Ci aiutò l’atmosfera di Anfield, comunque eravamo una grande squadra. Segnò subito Torres, il Real Madrid si scoprì troppo e per le squadre di Benitez il contropiede è sempre stato l’arma migliore».

All’88' il punteggio è di 3–0. La partita è già chiusa, il discorso qualificazione anche. Il Liverpool perderà poi ai quarti contro il Chelsea di Didier Drogba (1–3 e 4–4), a sua volta estromesso in semifinale dall’Iniestazo del primo Barcellona di Pep Guardiola. Andrea Dossena è in campo da quattro minuti ed è ammonito da tre. Javier Mascherano fa l’ala destra e gli serve un cross rasoterra perfetto. Lui, con il piattone sinistro, segna il 4–0 sotto la Kop. Batte la mano sul cuore e sullo stemma del Liverpool. Ricorda: «Ho segnato in Champions League, al Real Madrid e a Iker Casillas. Non male».

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14 marzo 2009

Quattro giorni dopo c’è un altro pezzo di storia del calcio europeo, il Manchester United capolista della Premier League davanti al Liverpool. Le due squadre più titolate d’Inghilterra, il derby nazionale, la rivalità più sentita. Cristiano Ronaldo Pallone d’Oro in carica, Sir Alex Ferguson in panchina. Questa volta tutto a Old Trafford.

Su Manchester c’è un insolito sole e Dossena parte ancora dalla panchina. Al 23' è CR7 a segnare su rigore, 1–0. Cinque minuti dopo Torres approfitta di una dormita di Nemanja Vidić e lo anticipa con la punta del piede: la risata del difensore è una sorta di sportiva resa nei confronti di colui il quale, in quel momento, è il miglior centravanti del mondo.

Pareggio. Poi Gerrard raddoppia dal dischetto. Quando al 77' Fábio Aurélio fa 1–3 su punizione, Dossena è entrato da dieci minuti al posto di Albert Riera.

«Era stato espulso Vidic e la partita ormai l’avevamo ribaltata. Al 90' Reina rinviò dal fondo e intuii che i due difensori dello United potessero lisciare la palla. Così iniziai a correre e mi trovai a tu per tu con Van Der Sar al limite dell’area. D’istinto mi venne l’idea di fare il pallonetto. Che orgoglio battere 4–1 il Manchester in trasferta, anche se poi perdemmo il campionato per quattro punti».

La mano batte ancora su cuore e stemma.

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«Il più completo di tutti»

Questi due sono stati gli unici gol di Andrea Dossena con la maglia del Liverpool in 31 presenze complessive. Li ha segnati in grande stile, con scalpi notevoli e nella stessa settimana. E li festeggia più adesso che allora:

«Fa molto più piacere rivederli, perché ai tempi pensavo solo alla partita successiva. Ero sempre in tensione. Ricordo che poco dopo la trasferta di Old Trafford dovetti andare con l’Italia a Bari per sfidare l’Irlanda».

L’amarcord è quasi finito, restano due curiosità: come erano Steven Gerrard e Fernando Torres?

Il primo «di poche parole, ma con un carisma eccezionale. Bastava guardarlo, guardare la sua tranquillità, per ricevere l’equivalente di qualsiasi incoraggiamento. Aveva tutto: è il giocatore più completo che abbia mai visto. Nessuno è stato come lui. Era un centrocampista, ma avrebbe potuto fare benissimo anche il difensore o l’attaccante. Aveva personalità, carisma, tecnica e un enorme senso di appartenenza alla squadra».

Sul secondo, quando gli dico che è il mio calciatore preferito, lui sorride e mi confessa:

«Io ho conosciuto il Torres più grande. In quel periodo era fenomenale, Messi non era ancora al top e lui se la giocava con Kakà, Cristiano Ronaldo e Ronaldinho come più forte del mondo. Aveva una forza bestiale: nei primi tre passi sembrava una pantera. Segnava di destro, di sinistro, di testa e in rovesciata. Come lo marcavi uno così? E i difensori lo picchiavano pure. Purtroppo ha sempre sofferto molto a livello muscolare ed è stato condizionato dagli infortuni».

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Come ultima cosa gli chiedo se è ancora un tifoso del Liverpool.

«Once a Red, always a Red, si dice», risponde.

A cura di Francesco Caligaris

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