Una stagione indimenticabile
A essere sinceri, per scrivere del Benevento Calcio 2017/18 servirebbe (oltre a una sana attrazione verso tutto ciò che sfugge alla logica più spiccia) un bicchiere di scotch (o di bourbon in base ai gusti) e un pezzo di Post Malone in sottofondo. Ora faremo finta che chi sta scrivendo non sta usufruendo di tali stimolanti creativi.
Ancora meglio, ora faremo finta che il direttore sportivo del Benevento, sul quale torneremo più tardi, non si sia concesso durante la sessione invernale di mercato i sopracitati strumenti per provare a ribaltare la situazione dei campani, ultimi che più ultimi non si può.
D’altronde la retrocessione del Benevento non penso venga più quotata da nessuna agenzia di scommesse; bella favola, ma adesso vai a dormire. Niente di impronosticabile: il Benevento veniva da una stagione di Serie B culminata con un play-off che ha sconfessato tutto ciò che avevamo visto durante la regular season, premiando alla fine i campani in finale contro il Carpi. Nello starting eleven di quella partita c’erano anche Letizia e Venuti, ovvero gli unici reduci tra quegli undici che attualmente militano ancora nella squadra giallorossa (ci sarebbe anche Lucioni, coinvolto in una strana vicenda di doping della quale non vogliamo sapere di più). Escludendo il portiere Cragno, tornato al Cagliari, le altre epurazioni derivano dalla sensazione che quella squadra sarebbe stata fatta a brandelli al piano di sopra.
Mister Baroni si ritrova in mano una rosa sicuramente più competitiva rispetto alla scorsa stagione, ma del tutto priva degli automatismi tanto cari al tecnico fiorentino. È un massacro senza eguali nella storia moderna della Serie A. Dopo nove partite e altrettante sconfitte (tra le quali un 6–0 a Napoli e un 4–0 in casa contro la Roma), la prima testa a cadere è proprio quella di Baroni, sostituito da De Zerbi, il quale ci metterà altre sei partite per ottenere il primo pareggio e altre dieci per festeggiare la prima agognata vittoria in Serie A. Una storia destinata a finire nell’album Panini, ma non altrove. Falso.
Se la logica, o comunque la normalità delle cose, imporrebbe una certa dose di lassismo in queste circostanze (una squadra destinata alla retrocessione, salvo Empoli di turno a dare una mano, retrocederà nove volte su dieci) — accompagnato da un’atmosfera festante per ogni partita disputata in un campionato in cui la maggior parte di giocatori e tifosi non metteranno più piede — , il Metodo Benevento™ risponde con la consapevolezza che ci sono tanti modi per rimanere nella mente di chi guarda.
Non tutti ortodossi, ma l’ortodossia è terribilmente noiosa.
Diventare una squadra di culto
In un’epoca in cui la prima notizia nel nostro feed è una spider che fluttua nello spazio grazie alle visionarie ed eccentriche idee di un miliardario di nome Elon Musk e la seconda flirta con un revisionismo becero appigliato alla retorica del “Ahhh come giocava Filippini” (male, e giocava male pure l’altro), il concetto di “cult” rischia di diventare fin troppo inclusivo.
Per esempio una squadra di culto è stata il Venezia 1949/50, capace di inanellare ben otto sconfitte nelle prime otto partite. Una partenza niente male se si considera quella del Benevento di Baroni/De Zerbi. Il record iniziale delle streghe recita 0–14. QUATTORDICI sconfitte nelle prime quattordici partite. Meglio (o peggio che dir si voglia) anche del Manchester United 1930/31 (fermatosi a 12), dato che conferisce al Benevento la palma di Luca Badoer della storia del calcio™ (l’uomo che il Time ha definito la risposta dell’uomo alla Fiat Duna).
Ancora più “cult” di queste squadre, se non altro perché più recente nella memoria collettiva, è l’Ancona 2003/04. I marchigiani ottennero il primo punto dopo appena tre partite, ma ce ne vollero VENTINOVE per registrare la prima W. Alla fine i 13 punti accumulati in un campionato a 18 squadre sono il record negativo nella storia della Serie A. Considerando che a oggi i punti del Benevento sono già 10 quel record sembra inavvicinabile, ma la bellezza intrinseca di una serie negativa risiede nel quando e soprattutto nel come questa serie viene spezzata. Per il Benevento è una giornata indimenticabile.
Il Sun si interroga in maniera manzoniana su “Brignoli, chi era costui?”, il Guardian riporta le parole di un incredulo portiere giallorosso autore del più improbabile dei gol, la BBC ci ricorda che l’ultimo portiere ad aver segnato in un match di Serie A fu Massimo Taibi in un Reggina-Udinese del 2001, ESPN la butta sul romantico: “Sometimes football really does take your breath away”.
Siamo di fronte alla deificazione dell’assurdo, un incredibile vortice mediatico da ogni parte del mondo coinvolge il più impronosticabile dei protagonisti. Alberto Brignoli, portiere classe ’91 di proprietà della Juventus alla sua ottava presenza stagionale (nona in serie A), ha interrotto la striscia negativa del Benevento grazie a un colpo di testa un po’ Van Persie e un po’ Trezeguet, che inchioda il Milan sul 2–2 e regala ai campani il primo punto nella massima serie.
Cosa c’è di più cult di un portiere che spezza una maledizione con una zuccata a centro area? Niente, se non fosse che quello stesso portiere si trovava lì quasi per caso. Non intendo in area di rigore, ma proprio in campo dal momento che il nostro eroe non è proprio fenomenale tra i pali o comunque non è ritenuto tale dal suo allenatore che gli regala altri 90’ minuti contro l’Udinese (2–0 in favore dei friulani as usual) per poi panchinarlo in favore di Belec.
Ma perché rovinare una bella storia con la verità? (cit.). Perché in questo caso la verità restituisce ancora più un senso di realismo magico alla vicenda. Il Grande Sceneggiatore non voleva consegnare alla Serie A un grande portiere, bensì voleva regalare a noi tutti un momento catartico in cui anche il meno indicato a risolvere la situazione riuscisse nell’impresa.
Brignoli è tutti noi e, con buona pace di Andy Warrhol, i suoi minuti di celebrità sono stati ben più di quindici.
L’ineluttabile ritorno all’anonimato fa parte del gioco: è per questo che ci innamoriamo degli eroi per caso, perché sono lì senza un apparente motivo logico eppure risolvono la situazione. Brignoli non è l’eroe che Benevento merita, ma senza dubbio è quello di cui aveva bisogno. Poi appena ci si è resi conto che nemmeno Belec avrebbe funzionato, si è ricorsi al mercato invernale pescando Puggioni, a sua volta panchinato dal ritorno di Viviano a difesa della porta doriana.
Un piccolo ritocco come ogni sessione invernale di mercato impone. Giusto? GIUSTO??? Sbagliato.
Benevento Fever
Qualsiasi testata giornalistica, ufficiale o meno, ha scritto sul mercato invernale del Benevento. Il motivo è che il pezzo di Post Malone e la bottiglia, pardon, il bicchiere di bourbon di cui sopra diventano di stretta attualità quando si aprono le danze della sessione invernale di mercato.
Il direttore sportivo del Benevento è Pasquale Foggia. QUEL PASQUALE FOGGIA. A inizio stagione però non era lui a occupare quella poltrona. Nel momento in cui è stato deciso l’allontanamento di Marco Baroni si è optato per un repulisti generale che ha coinvolto anche l’allora d.s. dei campani, tale Salvatore Di Somma. Per sostituirlo ha prevalso la soluzione interna e la conseguente promozione di Foggia da direttore del settore giovanile a direttore sportivo.
Evidentemente i festeggiamenti devono essere durati più a lungo del previsto, dal momento che il redivivo Foggia (io in realtà pensavo fosse tra i deferiti per calcioscommesse, ma a quanto pare no) deve aver scambiato la sua carriera su Football Manager con l’A.S.D. Pasquale Foggia (perché ovviamente un personaggio così possiede una sua squadra dilettantistica, ci mancherebbe altro) per la reale campagna acquisti del Benevento. Sarà così, sarà in un altro modo, fatto sta che nel capoluogo campano vivono una delle sessioni di mercato più psichedeliche degli ultimi anni di Serie A.
Arrivano nell’ordine (casuale): Jean-Claude Billong dal Maribor, Cheick Diabaté dal Osmanlispor, Alin Tosca dal Betis Siviglia, Guilherme dal Legia Varsavia, Djuricic e Puggioni dalla Sampdoria (un imperdibile prendi due paghi zero), Sandro dall’Antalyaspor (il fil rouge Benevento-Turchia mi pare evidente), Nii Nortey Ashong — che si fa una panchina in Serie A e poi viene girato in prestito allo Sliema Wanderers squadra che milita nella Premier League maltese della quale detiene il maggior numero di titoli vinti (è tutto bellissimo) — e Bakary Sagna, ciliegina finale raccattata sempre dal pletorico mercato degli svincolati.
Con un mercato del genere (spiegato dettagliatamente in questo articolo), qualsiasi calciofilo d’Italia mette in pausa la sua fede, alza in cuffia “Rockstar”, e si fa assalire dalla Benevento fever.
I giornali provano a spingere la rivoluzione di Foggia ancora più in là, riportando che fino alle ultime ore di mercato c’era un interesse concreto anche per Song e Nasri. Trattative sfumate, Nasri al Vigorito sarebbe stato troppo. Rimane una delle sessioni di mercato più spumeggianti degli ultimi anni, un gigantesco dito medio alla realpolitik che di solito accompagna queste realtà di provincia, destinate a una fugace e dimenticabile apparizione nella massima serie. Il passaggio del Benevento sarà pure fugace, ma di dimenticabile non c’è praticamente nulla.
Mancherebbe soltanto la consacrazione di una promessa, chiaro segnale che non stiamo qui a pettinare le bambole. Che problema c’è? Con la cessione di Ciciretti al Parma si aprono le porte della prima squadra per Enrico Brignola, elettrico esterno classe ’99 che fa della rapidità e della tecnica in conduzione le sue armi migliori, capace di scardinare le impreparate difese avversarie quando gli viene concesso spazio. Per lui due gol e un assist in otto presenze e la sensazione che ben presto la maglia del Benevento gli andrà stretta.
Poi? Manca altro? Non sono già abbastanza epici così? Chiaro che nel 2018 serve anche un Social Media Manager con un po’ di brio e allora ecco la miglior grafica anni ’90 non pensata negli anni ’90.
Tra qualche anno alzeremo la testa e guarderemo questa stagione del Benevento Calcio come un reboot calcistico di “Noi Siamo Infinito”, un inno alla vita vissuta stralciando le regole canoniche e godendosi appieno il viaggio più bello. La posizione in classifica è solo una noiosa somma di numeri, un costrutto algebrico pensato per imprigionare la fantasia dei dirigenti sportivi. Un giorno guarderemo la stagione del Benevento un po’ come Diabaté guarda i suoi compagni allenarsi.