Una storia al fulmicotone — Fenomenologia della Lazio di Stefano Pioli

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
Published in
10 min readApr 17, 2015

Nel 1845 Christian Friedrich Schönbein si chiuse nel suo laboratorio e cominciò una serie sconfinata di esperimenti al fine di creare la miscela esplosiva perfetta. Poi una sera poggiò il grembiule sul forno per farlo asciugare e per poco non saltava in aria con tutta la sua bella casetta.

Cosa era successo? Il cotone di cui era fatto il grembiule, a contatto con il calore, aveva incendiato istantaneamente gli schizzi di acido nitrico e solforico di cui era intriso. Ed ecco la chiave di volta dunque: tanto sbattimento da laboratorio che sarebbe stato inutile senza un reagente decisamente casuale, ma giusto. Visto l’utilizzo di quella fibra tessile, il potente esplosivo — scientificamente designato come nitrocellulosa — venne chiamato volgarmente “fulmicotone”.

Ecco, la parabola di Stefano Pioli alla Lazio può essere fantasticamente accostata a quella del chimico crucco: tanto lavoro sperimentale e qualche reagente decisivo, vincente.

I. Evoluzione tattica ovvero “del dinamismo”

Se mettiamo a confronto la rosa di Reja della scorsa stagione con quella di Pioli di quest’anno si rilevano degli innesti che sono indiscutibilmente preziosi. Eppure quello che si cercherà di dimostrare è che probabilmente non avrebbero fruttato così tanto senza la rivoluzione tattica, improntata su dinamismo e spregiudicatezza, che il tecnico ha messo in pratica sul campo.

Rispetto alla vecchia rosa Pioli può contare su: Basta, De Vrij, Cataldi, Parolo e Djordević. Sono omessi in questa lista giocatori come Braafheid, Perea (in rientro da prestito), Gentiletti e Mauricio in quanto — bisogna essere onesti — non decisivi nell’evoluzione tattica di Pioli. Il terzino olandese perché, a dispetto di un discreto esordio ha mostrato alcuni limiti di versatilità, per così dire. Stesso discorso vale per Perea, utile magari ma non decisivo.

Riguardo Gentiletti e Mauricio invece va ricordato che il primo si è rotto il legamento a inizio anno (davvero un peccato non poterlo vedere crescere accanto a De Vrij) e il secondo lo ha sostituito, ma soltanto dopo il mercato di gennaio.

Rispetto alla vecchia rosa Pioli ha perso Biava (un veterano della Serie A), Gonzàlez e Floccari. Si trova però a fare i conti con un vuoto ben più determinante di questi, è quello di Hernanes, che nonostante fosse passato all’Inter già nella stagione precedente al ritorno di Reja, lascia un’eredità a dir poco irrisolta in quello che possiamo definire il metabolismo della squadra negli ultimi anni.

Nella Lazio infatti non c’è più un fantasista, non c’è più gioco, è una squadra che non gira e si arrocca sui bastioni tattici di Reja, ben allestiti ma quanto mai stanchi e incapaci di sferrare una controffensiva credibile.

Queste cose Pioli sembra averle ben chiare al suo arrivo: decide di abbandonare completamente l’assetto tattico di Reja — raccogliendo l’unico vero testimone nel mantra della “concentrazione” — e di tirare al limite massimo quella spregiudicatezza che aveva inaugurato Petkovic, poi involutasi in un ingranaggio inceppato. Vediamo come.

[caption id=”attachment_12142" align=”aligncenter” width=”570"]

Sì, un attimo. Ci arriviamo.[/caption]

Fin dall’inizio Stefano Pioli si rende conto che deve sperimentare, il dinamismo che vuole imprimere alla squadra ha bisogno di un rodaggio continuo e inevitabilmente rischioso. La partita che la Lazio perde col Milan a inizio stagione ne è una prova inconfutabile: c’è un’idea di gioco ma che ancora fatica ad esprimersi, il centrocampo è più vivo, dialoga con l’attacco ma è troppo scollato dalla difesa e in quei metri ci si infilano con facilità disarmante giocatori come El Sharaawy e Menez.

Nonostante ciò la rivoluzione in atto è chiara e visibile: il modulo passa dal 4–1–4–1 di Reja al 4–3–3, alla falange macedone si sostituisce la cavalleria cosacca. Ledesma e Onazi vengono rimpiazzati da Biglia che — diversamente dalla gestione precedente — diviene titolare inamovibile insieme a Parolo.

Quello che vuole Pioli è lampante: più velocità, più dinamismo. La richiesta di pressing diviene asfissiante ma diversamente a quello di Reja che era in funzione di contenimento, rottura e ripartenza, questo è per tenere sempre alta la squadra e proporre azioni d’attacco fulmineo.

Non a caso accanto alla fisicità di Biglia e Parolo c’è sempre l’ispirazione di Mauri e il terminale offensivo è costituito da Candreva, Anderson e Djordević o Klose (con il primo a sopperire i cali di forma del secondo). La difesa è schierata in maniera classica, i centrali salvaguardano e portano poco il pallone che deve essere scaricato subito su chi imposta il gioco. E su questo “chi” a breve ci torneremo.

Anche i terzini cambiano il loro ruolo da tamponatori a stantuffi offensivi, non a caso Basta è preferito a Konko — bel piede ma poca sostanza nel seguire l’avanzamento della squadra — e Braafheid può giocarsi la sua carta sulla base dei medesimi accorgimenti (anche se Radu e Cavanda rimangono più affidabili).

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=KxOjWopriOw[/embed]

Se guardiamo le azioni offensive della seconda giornata di campionato, e siamo ai primordi, contro il Cesena, quanto detto si coglie al volo. I terzini salgono, tutto il centrocampo sale, tutti i centrocampisti si inseriscono — guardate Lulic, Parolo e Djordević che in linea dritta entrano nell’area avversaria e calamitano tutti i difensori per lasciare spazio a Candreva -. Nell’azione del secondo goal stessa storia, Klose si allunga sulla sinistra ma in contemporanea tutti si infilano in area accanto a Mauri che poi conclude in rete. Dopo le macchinazioni di Reja, lente e compassate, questo è dinamismo allo stato puro sia anche in una fase embrionale.

Nell’avvio della stagione Petkovic-Reja i marcatori principali sono Klose e Candreva, nella seconda parte si aggiungono Lulic, Mauri e le reti singole di tutti i difensori (segnano Dias, Biava, Radu, Cana e Ciani).

Ciò significa che nella prima parte di stagione Petkovic non sapeva più inventare molto, lo schema era palla a Candreva o filtrante per Klose. Nella seconda parte Reja innesta prudenza e quadratura, la squadra si accorcia fino a rattrappirsi e infatti si segna soprattutto su calci piazzati e tapin di difensori e centrocampisti, mentre il terminale offensivo punge progressivamente di meno. A fine stagione la differenza reti è pari a 0.

Nella formazione di Pioli i difensori non segnano o segnano pochissimo. Questo perché le reti — a parte qualche bella punizione — si fanno su azioni di gioco. Segnano tutti i centrocampisti e segnano tutti i tre del terminale offensivo: Biglia Parolo e Mauri, Anderson, Candreva e Klose. Alla venticinquesima settimana del campionato la differenza reti è + 30.

II. Picchiare come un martello sull’incudine, essere Lucas Biglia

Velocità e dinamismo, però, si poggiano ineludibilmente sulla fisicità. La Lazio di Pioli è forte fisicamente: Basta, Biglia, De Vrij, Parolo, Lulic e Candreva hanno fisicità come Keita. Sono grossi insomma, spesso dotati di lunghe leve, con una capacità toracica fuori dalla norma, in grado di reggere ritmi alti e al tempo stesso di dettarli. Gonzàlez e Onazi passano in panchina da subito come anche Ledesma che per Reja era inamovibile.

Parentesi romantica: a Ledesma non gli si può rinfacciare nulla, l’indio dagli occhi di ghiaccio che mai molla un centimetro, però quando arriva l’ora di fare un po’ meno bisogna accettarlo. Per Pioli Ledesma non è più titolare, al suo posto deve giocare Lucas Biglia.

Pioli vuole uno che viene a strappare la palla alla difesa e la porta in alto, vuole uno che sappia essere orizzontale e verticale insieme, fare diga e martellare per aprire la breccia. Queste cose Ledesma non gliele può più garantire, lo si vede nelle partite d’inizio anno, quando inizia ad avere il fiato corto, è debole e poco concentrato, aspetta il gioco invece di creare e aggredirlo, non è in sintonia con quello che chiede l’allenatore.

Biglia per Ledesma è un cambio risolutivo, è forse il pilastro portante della rivoluzione tattica indetta da Pioli. Per chi ha visto le partite della Lazio sa bene che senza Biglia la squadra gira la metà.

Nella partita contro la Fiorentina c’è il massimo esempio di quanto detto. Biglia fraseggia in difesa, rompe il gioco a centrocampo con contrasti a tenaglia, muove le fila offensive con filtranti al bacio e tiri da fuori che si insaccano o si infrangono sulla traversa. È un martello continuo che batte sull’incudine del gioco e plasma, affila a puntino il gioco della squadra fino a renderlo tagliente e imprevedibile. Contro un veterano come Pizarro è il movimento che si oppone all’arresto, è il dinamismo che si oppone alla stasi.

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=f6QYQMmD5Mw[/embed]

III. Eureka! Cotone fulminante, Felipe Anderson

Torniamo per un attimo all’incipit metaforico sugli esperimenti di Schönbein. Se l’innesto di Biglia — con tutte le altre relative modificazioni di gioco — corrisponde alle miscele nuove di acidi, quello che veramente funziona da svolta nel laboratorio di Pioli è il reagente perfetto, frutto di una scommessa che almeno per ora sembra essere azzeccata. Parecchio telefonato ma stiamo parlando di Felipe Anderson, il cotone fulminante che a contatto con la miscela tutta nuova del centrocampo e il calore prodotto dal dinamismo del gioco divampa in maniera fulminea.

Segna undici reti e realizza più o meno altrettanti assist. Nel match contro la Sampdoria si può avere un assaggio della sua energia dilagante, se volete saltare le giocate andate almeno al minuto 1.24 e godetevi la turbo-accelerazione dalla propria area a quella avversaria.

Felipe Anderson rimane ancora una grande incognita perché sei mesi non bastano per decidere la stoffa di un giocatore, ma se non altro il suo potenziale si è rivelato finora alto ed estremamente variabile, fondamentale per l’economia stagionale della squadra.

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=iUxNqGfMsk4[/embed]

IV. Fantasmi ungheresi e ostinati gregari

Accanto agli innesti e le rivoluzioni di gioco sono da segnalare alcune eredità pressoché inalterate e poste al servizio del nuovo assetto. Prima fra tutte l’ormai ever-green Stefano Mauri. Chi ha seguito la sua parabola in serie A sa bene che Mauri non è un giocatore in carne e ossa ma un fantasma. Egli appartiene — per ritmo di gioco — a un’altra epoca, ormai scomparsa. Ricorda vagamente il calcio ungherese prima della sua dissoluzione: è lento, a tratti spaesato come di chi si chiede perché sia venuto al mondo in un’epoca così frenetica, così lontana dal suo essere. Eppure la sua tecnica è cristallina.

Il risultato è di un giocatore borderline che agisce nell’ombra ma in maniera chirurgica. Guardate i due assist a Biglia (che scaglia sulla traversa) e a Klose (che va a segno). Sono tocchi semplici e perfetti come anche i suoi inserimenti. È evidente che il fantasma Mauri si stia sparando le sue ultime cartucce ma con Pioli — a differenza, come già detto, di Ledesma — ha ancora parecchio da dire e per niente da comprimario.

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=yQ_8Kyv_q1Y[/embed]

assist a Biglia

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=hHA4zNfKH8Q[/embed]

assist a Klose

Altra conservazione è quella degli ostinati gregari ma di fattezze decisamente diverse da quelli della gestione precedente. Parliamo di centrocampisti che fanno della sostanza il loro punto forte, eppure sono anche capaci di impostare il gioco e andare a segno. Cataldi è un gregario di classe che prova a fare il vice-Mauri basso, quando entra lui la squadra gira diversamente ma è un’alternativa interessante per spiazzare gli schemi di gioco.

Parolo è sinonimo di tanta quantità, doti fisiche, tanta perseveranza e anche qualche goal. Lulic infine è la perfetta sintesi dei due, un purosangue che fa “le vasche” su e giù per il campo e si reinventa — con l’ironia di un Paul Gascoigne al retrogusto balcanico — uomo della Coppa Italia. Dentro e fuori lo spogliatoio inutile dire come sia diventato un idolo per questo.

(sì, quello che vedete è Marchetti che inaugura la strana corrente di meta-tifo psicotico)

V. Cose che scricchiolano forte

Siamo arrivati ai titoli di coda. È una Lazio diversa, al fulmicotone, rivelazione e bla bla bla. Solo questo? Direi proprio di no. Pioli ha avuto il relativo vantaggio di arrivare dopo un anno deludente e quindi il rischio che si è sobbarcato è stato compensato dal fatto che le strade erano lapalissianamente due: si poteva fare di meglio oppure affossarsi nel baratro.
Lui ha lavorato bene, di tecnica e psicologia, sul lungo andare è riuscito a colmare la distanza tra difesa e centrocampo e ha dato alla formazione dinamismo e concentrazione. Quanto può durare questo bel sogno? Francamente non lo sappiamo. E non è per parlare da grulli col senno del poi.

Il punto è la Lazio in queste otto vittorie consecutive ha girato veramente bene, sempre consapevole di poter chiudere la partita. Nonostante questo ci sono ancora parecchie cose che scricchiolano forte e potremmo dire che sono agli estremi opposti. In difesa la baracca è retta da De Vrij che è un difensore completo e di altissimo spessore. I suoi colleghi però sono molto meno attrezzati e con limiti tecnici disarmanti. Cana e Mauricio non si sono dimostrati altrettanto affidabili in termini di rendimento (stesso discorso per Ciani e Novaretti).

Basta è l’unico che dà sicurezza mentre Radu comincia a calare di forma e lucidità, la coppia Braafheid-Cavanda sorprende ma non garantisce. Per il terminale offensivo il discorso è diverso: c’è qualità ma c’è anche precarietà. Klose è indiscutibile ma il suo tempo glorioso volge al termine. Djordević è un giocatore utilissimo ma non è un bomber. Keita è potenzialmente un fuoriclasse ma è ancora acerbo e sbaglia tanto, troppo, sotto porta e non.

Infine, concedetemelo, la panchina della Lazio è corta come un pisello a -10 gradi.

[caption id=”attachment_12140" align=”aligncenter” width=”750"]

Ecco, figurati se era d’accordo.[/caption]

Il mercato estivo potrebbe essere anticipato — stando alle ultime indiscrezioni — da due arrivi parecchio interessanti: l’inglese Morrison (compagno di Pogba al Manchester United) e l’olandese Hoedt. Il primo dovrebbe essere un pazzoide dal piede caldo, almeno così lo descriveva Ferguson, l’altro un onesto difensore centrale che potrebbe rinsaldare il reparto a fianco del suo connazionale.

Nel frattempo però c’è un campionato da concludere e una finale di Coppa Italia da giocare. Gli infortuni di De Vrij e Parolo sono spie d’allarme importante che esasperano le “cose che scricchiolano” di cui sopra, soprattutto se tra gli avversari che si profilano all’orizzonte ci sono Juventus, Sampdoria, Inter, Roma e Napoli.

Solo il tempo ci saprà dire se il fulmicotone inventato da Pioli sarà destinato a perdere la sua carica esplosiva o si potrà evolvere in qualcosa di ancor più incendiario e letale, come la nitroglicerina che surclassò la miscela di Schönbein. Di sicuro, nel calcio odierno, le sperimentazioni contano. Ma soprattutto giocare bene paga.

Articolo a cura di Adriano Masci

--

--