Underdogs o morte

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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8 min readFeb 4, 2018

“Ragazzi vi ho già raccontato di varie festività: Natale, Halloween, il Ringraziamento, ma la mia festa preferita era un’altra la domenica del Super Bowl e il Super Bowl del 2007 non lo dimenticherò mai”.

Così parlava Ted Mosby ai suoi ragazzi nella seconda stagione di “How I Met Your Mother”: in effetti il Super Bowl del 2007 fu davvero uno spettacolo, con la vittoria degli Indianapolis Colts in rimonta sui Chicago Bears del povero Jim Belushi, volendo restare in ambiti seriali. Tuttavia, nella fortunata opera creata da Bays e Thomas, non si fa riferimento ai capolavori balistici disegnati da Payton Manning 11 anni fa, ma a tutto il contorno e per questa ragione risultò indimenticabile.

Con questo capolavoro targato Neil Patrick Harris.

Negli Stati Uniti è una festa laica, la più importante. Lo scorso anno, solo in tv, la partita è stata vista da quasi 120 milioni di persone solo in America (e non è stato nemmeno il miglior risultato di sempre), a cui si dovrebbero sommare gli innumerevoli utenti che l’hanno vista in streaming. Per rendersi conto del numero impressionante di persone, basti pensare che Donald Trump è stato eletto con poco più di 60 milioni di voti: la metà.

Il culto della festa della domenica del Super Bowl porta un giro d’affari quasi pari alla somma tra Natale e San Valentino, con un impatto sulla città che ospita la partita di circa 400 milioni di dollari. Ogni americano spende circa 50 dollari per comprare cibo, bevande, gadget o semplicemente scommettere sulla partita, perché durante il Super Bowl si può scommettere letteralmente su tutto (nella sopracitata puntata, Barney si chiede quante possibilità ci siano di perdere il lancio della moneta, perché perde ogni scommessa fatta).

Le famiglie si riuniscono, gli amici si riuniscono e gli Stati Uniti si fermano a osservare forzuti uomini combattere per un centimetro, disposti a morire per un centimetro.

A.D. 2018

Una sfida assurda. Un incontro insperato, imprevisto, una casualità. Questa doveva essere la sfida del 4 febbraio tra i New England Patriots e i Philadelphia Eagles, ma così non sarà.

Il SuperBowl LII che si disputerà in quel di Minneapolis è una sorpresa in una stagione NFL piena di sorprese, cominciata con l’ennesimo smacco alla carriera di Colin Kaepernick, ormai sacrificata sull’altare dei diritti umani spesso calpestati negli Stati Uniti (ne parlammo qui) e proseguita con una sequela di infortuni gravissimi, com’è usuale in uno sport spietato come il football (provate a scaricare l’app della lega: tra maggio e ottobre ogni mattina vi sveglierete con una notifica che comincia con la scritta in rosso e stampatello che recita “Injury Report”).

Per dire delle sorprese: i Buffalo Bills sono tornati ai play-off dopo 19 anni. Senza menzionare Rams, Jaguars e Titans, che mancavano rispettivamente da 14, 11 e 10 anni.

Una delle più tragiche di queste notifiche è arrivata il 10 dicembre, una data che doveva rappresentare la pietra tombale sulle ambizioni dei Philadelphia Eagles. Dopo quattro passaggi consecutivi, Carson Wentz, il formidabile quarterback di Philly, ha visto partir il proprio crociato: stagione finita e buonanotte ai suonatori secondo tutti gli esperti di tutto il mondo, compresi gli ineffabili bookmakers di Las Vegas. In ogni caso, per il 4 febbraio, loro hanno previsto uno dei Super Bowl più scontati della storia: la vittoria degli Eagles è quotata a 2.80 e la vittoria dei Pats quotata a 1.40, con New England che aprono favoriti di 5,5 punti, margine più ampio dal 2009… neanche giocassero in due federazioni diverse.

Così non è stato però. Con l’infortunio di Wentz — che era uno dei favoriti per l’MVP dopo aver superato numerosi record di franchigia — , è salito in cattedra Nick Foles, che molti dimenticano essere forse il QB di riserva più forte dell’intera lega e che nelle due partite di play-off è stato a dir poco perfetto.

Il Caso Foles

Passo indietro: Nick Foles è tutt’altro che una riserva. Lo è diventato ai Rams, allenati da Jeff Fisher, passato da poco a St. Louis dopo ben 17 stagioni ai Titans e che nella città del Gateway Arch ha raggiunto il primato negativo di Dan Reeves per il maggior numero di sconfitte nella storia della stagione regolare per un allenatore con 165, venendo licenziato il giorno successivo dopo cinque stagioni, in nessuna delle quali ebbe un record positivo di vittorie.

Il resto della carriera di Foles è tutt’altro che da riserva, tant’è che nel curriculum ha anche un premio di MVP del Pro Bowl (l’All Star Game della NFL). In questo finale di stagione ha dimostrato di poter fare grandi cose anche su palcoscenici molto più importanti, portando gli Eagles a dominare la propria Division e conquistare la National Football Conference. Da quel 10 dicembre, pur avendo dominato la stagione regolare, gli Eagles hanno però una nuova mascotte. Non più un’aquila, bensì un cane, un pastore tedesco per la precisione, perché da quel momento nella città dell’amore fraterno è nato un sentimento di rivalsa e di unione.

Riserva a chi?

Ciò ha fatto nascere il movimento degli Underdog, ovvero quell’espressione che negli Stati Uniti si usa per indicare chi è particolarmente sfavorito. Allo stadio in molti si sono presentati con delle maschere da cani e gli stessi giocatori in campo hanno cominciato a indossarle. Quest’ossessione dei tifosi per l’aggettivo ha creato anche un sistema di beneficenza, che ha portato la raccolta di 100mila dollari donati alle scuole di Philadelphia, niente male. Gli underdogs con un QB underdog.

La reginetta del ballo

Ma chi affronta Foles? La reginetta del ballo, appunto, e non solo perché più di qualche male lingua in America insinua che Tom Brady abbia delle particolari tendenze nella sua vita privata. Tom Brady è quello che più di tutti rappresenta il simbolo della reginetta del ballo, perché è perfetto.

Una macchina da passaggi con un cervello così fine da far paura. La strategia dei Jacksonville Jaguars in finale di Conference per battere i Patriots era restare più a lungo possibile in campo per tenere Tom Brady fuori, strategia riuscita fino a un certo punto: una volta che il nativo di San Mateo è entrato in ritmo, ha compiuto l’ennesima grande impresa della sua carriera, trascinando la propria squadra all’ennesimo Super Bowl.

Brady arriva a questa partita da leader della regular season per yards passate e secondo nei play-off a pochi metri da Drew Brees. Ci arriva da favorito che più favorito non si può; ci arriva affamato, arrabbiato e con un’unica variabile che non è nemmeno confermata dai diretti interessati, ovvero un rapporto arrivato al capolinea tra lui e il suo leggendario coach, Bill Belichick.

Brady è comunque l’uomo in più, nonostante una mano malconcia che non ha influito sul risultato della partita con i Jaguars. Quella mano, però, ha il peso della storia con cinque titoli, quattro trofei di MVP e sette Super Bowl giocati da titolare, a cui verrà aggiunto un ottavo che lo farà entrare ulteriormente nella storia.

Lui, che il 3 agosto compirà 41 anni, sarà tra i più vecchi ad aver mai giocato un match del genere.

Non si vede motivo per smettere, tanto che lo stesso Brady — dopo la gara con i Jaguars — ha chiesto perché si chieda così insistentemente del suo ritiro.

Parola al campo

A questa partita non ci arrivano solo due giocatori, perché il football è uno sport complesso in cui conta anche un centimetro. Spesso proprio quel centimetro permette alla squadra di avere una vittoria in più o una sconfitta da digerire, come dice Al Pacino nel più famoso dei film sul football.

Innanzitutto a due tecnici particolari. Il sopracitato Belichick è a quota 10 Super Bowl addirittura, con le prime due partecipazioni da assistente. Un carattere difficile e una leadership mostruosa, ma dall’altro lato c’è Doug Pederson: dopo un lunghissimo apprendistato, si è conquistato la fiducia di una città intera, dopo aver fatto innamorare il popolo di Green Bay a cui regalò, nel 1996, il Superbowl XXXI proprio contro i New England Patriots. Un titolo che arrivò non per le qualità in campo (era la riserva di Brett Favre), ma per la coesione del gruppo a cui lui contribuiva attivamente. Le doti da uomo-spogliatoio sono rimaste e infatti la forza degli Eagles è anche l’unione di squadra.

Agli Eagles mancheranno Carson Wentz, Darren Sproles, Jason Peters, Jordan Hicks e Chris Maragos. Una lunga lista di assenze, che fa sì che l’ex offensive coordinator dei Chiefs possa anche perdere senza dispiacersi più di tanto: è comunque un miracolo essere arrivati qui.

La squadra ha giocatori molto atletici anche sulla linea di scrimmage, che permette loro di creare un ottimo gioco di corsa, soprattutto se il gioco si sviluppa sul lato destro. Tuttavia, gli Eagles affronteranno una delle migliori difese della lega, coordinata da un genio che prende il nome di Matt Patricia, che ha finalmente accettato — dopo anni da collaboratore — il ruolo di Head Coach, il prossimo anno ai Detroit Lions.

La strategia del giovane allenatore prevede uno schema 3-4 con molti uomini sulla linea pronti ad andare in blitz sul quarterback avversario (primi nei playoff per sacks: 11 in sole due partite). Un fondamentale passaggio della lettura del gioco si avrà nella sfida personale tra Kyle Van Noy e i running back degli Eagles, perché Foles cerca spesso e volentieri i RB con i passaggi e Van Noy è uno dei migliori interpreti nella lettura dei giochi che l’NFL abbia visto da anni a questa parte.

Se i Pats hanno faticato un filo contro i Jaguars, gli Eagles hanno dominato i Vikings nella finale di Conference.

Il punto a favore di Philly è però il plurale: mentre le squadre di solito hanno un RB al massimo due di livello, gli underdogs si presenteranno almeno con tre running back di altissimo livello. Il primo è Blount, l’ex di turno che lo scorso anno ha perso il titolo di MVP del Superbowl solo perché Brady ha deciso di scrivere ulteriormente il nome nei libri di storia, ma il prodotto di Orgeon è stato a dir poco dominante. C’è poi Corey Clement e soprattutto c’è Ajayi: se troverà una buona combinazione tra i giochi di Nick Foles e le corse personali, potrà essere la sorpresa di questa partita.

I Patriors dalla loro hanno invece il quarterback più forte della storia e il wide receiver più in forma del momento, ovvero l’italo-americano Amendola. Coach Belichick spera di avere tra i suoi anche Rob Gronkowski, uscito con un trauma cranico nella sfida con i Jaguars, ma arruolato per questa sera.

Importante sarà anche vedere come la linea resisterà e proteggerà Tom Brady, perché la line degli Eagles è la migliore di tutta la NFL e sarà fondamentale per Philly mettere pressione fin da subito a Tom Brady. Una strategia per fargli affrettare le decisioni e per farlo colpire duro, anche se nel corso della carriera TB12 ha più volte dimostrato come sia del tutto immune a situazioni di pressioni che siano interne o esterne dal rettangolo verde.

Non si prevede una partita bellissima a dirla tutta, ma non è così scontata come sembra, nonostante i bookmaker e nonostante il peso della storia. I New England Patriots sono la squadra nettamente favorita, ma occhio agli underdogs.

Com’è andata nel 2017.

Articolo a cura di Leonardo CiccarelliGiornalista de “Il Mattino” e Tele Club Italia, nonché match analyst: una passione smodata per il calcio, il cinema e gli sport americani. Il tutto unito a ciò che correda il mondo a stelle e strisce.

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