Undici campioni d’Europa che non t’aspetti

Crampi Sportivi
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9 min readJun 8, 2016

Piccola deviazione, immediata. 20 giugno 2013, post Gara-7 delle Finali NBA. A parlare è LeBron James, reduce dal secondo titolo di fila con i Miami Heat. Dopo un anno difficile e una serie sfibrante, The King si lascia andare a un commento più sincero che mai di fronte alle pressioni che sembrano sempre metterlo all’angolo:

«Sentite, non posso preoccuparmi di tutto quello che viene detto su di me… Sono LeBron James da Akron, Ohio, dall’inner city: non dovrei nemmeno essere qui».

Parliamo di uno che — al di là dei titoli che avrà in bacheca quando smetterà — rimarrà nella storia del gioco.

Che cosa c’entra LBJ con gli Europei di calcio? In teoria nulla, ma qualcosa possiamo legarlo. Se LeBron James, il giocatore più famoso della galassia per diversi anni (Steph Curry gli contende questo titolo negli ultimi tempi), arriva a dire una cosa del genere, allora questa sensazione d’inadeguatezza di fronte a un trionfo di proporzioni cosmiche può esser stata provata anche da qualcun altro.

È possibile che qualcuno di quelli che ha effettivamente fatto parte di una spedizione vincente a un Europeo abbia pensato le stesse identiche cose, senza però avere la fama e il peso nella storia del gioco di un LBJ nel basket. Abbiamo provato a trovare i “miracolati” in queste rose con il giusto equilibrio. Troppo facile puntare il dito sulla Grecia 2004, troppo difficile pescare nella Spagna del tiki-taka e bi-campione d’Europa o nella Francia del Mondiale ’98, poi vittoriosa agli Europei del 2000.

Al tempo stesso, è difficile fare una selezione su squadre come l’Unione Sovietica vittoriosa nel ’60 o la Spagna dell’epoca franchista nel ’64. Tuttavia,una formazione da schierare l’abbiamo ricavata. Magari rapportandoci anche con l’apporto che questi undici hanno dato con la loro nazionale e quello che hanno combinato nella loro carriera con i club.

Portiere — 1. Fanis Kategiannakis

Qui la scelta è facile. Ok, la Grecia non avrà avuto dei fenomeni in porta, ma dei tre portieri, l’intruso è certamente lui.

Se ci pensiamo, il titolare Nikopolidis è stato una leggenda del calcio greco. Oltre al fatto di esser il titolare della nazionale a lungo tempo (e assomigliare a George Clooney), comunque ha giocato spesso in Champions League, difendendo i pali di Olympiacos e Panathinaikos. In fondo, anche Chalkias ha avuto una buona carriera, giocando anche a Euro 2012.

Katergiannakis, invece, qualcuno se lo ricorderà qui in Italia. Già, perché Fanis — dopo aver vinto l’Europeo — arriva in Serie A con la maglia del neo-promosso Cagliari di Arrigoni. Del resto, l’invasione ellenica riguarda anche Zagorakis (capitano di quella Grecia, una stagione incolore a Bologna) ed Eleutheropoulos (non convocato all’Europeo, ma che ha fatto la spola tra Messina, Ascoli, Siena, Roma e persino Milan!).

Nella squadra allenata da Arrigoni, Katergiannakis parte da titolare: l’obiettivo è scalzare Nikopolidis in nazionale. Peccato che la sua avventura sarda finirà dopo 15 partite, quando Arrigoni opterà per il più rodato Gennaro Iezzo.

Potere dei pali, vieni a me!

Verrà ricordato per un episodio finale. La sua ultima gara in rossoblu è un Lazio-Cagliari di Coppa Italia. Un avversario abbatte un piccione con una pallonata e Katergiannakis chiede l’interruzione di gioco per soccorrere il volatile esanime, prima di abbandonarlo nelle mani sapienti dei fotografi. Unico.

Terzino destro — 2. Claus Christiansen

Personaggio curioso per almeno tre motivi.

Il primo: è inserito nella Hall of Fame del calcio danese. Claus Christiansen viene infatti convocato per l’Europeo ’92 in tutta fretta, visto che la Danimarca non doveva neanche esserci in quella competizione. Sarebbe toccato alla Yugoslavia, dilaniata dalla guerra e quindi impossibilitata a partecipare. I danesi devono preparare l’Europeo in 10 giorni. Sul perché Christiansen sia nella Hall of Fame, ci torniamo tra poco.

Il secondo: è la versione danese di Henrique, il mediano che passò il pallone a Maradona prima che El Diez vergasse la rete più bella del secolo. Allo stesso modo, nella seconda apparizione in quell’Europeo, Christiansen appoggia di testa la palla a Kim Vilfort, che realizza un gol meno bello, ma fondamentale per la storia danese.

Il terzo: la sua carriera non è durata molto. Appena cinque presenze in nazionale, quasi trecento match di campionato danese con il Lyngby. Ritiratosi a 28 anni, Kuno si è dato al marketing con la Nike per poi lavorare nel negozio del padre:

«Ho giocato solo cinque gare con la nazionale, ma ho vinto un Europeo… non mi sono mai pentito del mio ritiro: ho avuto più di quello che il mio talento poteva darmi».

Ah, sì: quel passaggio per Vilfort è l’assist per il 2–0 nella finale dell’Europeo contro la Germania.

Centrale destro — 5. Juanito

La carriera di Juanito è legata al Betis, con cui ha trascorso una decade. Una volta retrocesso il club della sua vita, si è trasferito all’Atlético Madrid e ha concluso la sua carriera con il Real Valladolid.

Nonostante fosse una presenza fissa della Liga e la Spagna del tiki-taka dovesse ancora maturare, Juanito ha giocato solo 26 gare con la Spagna, segnando tre reti (una persino al Mondiale 2006) e dimostrandosi un ottimo colpitore di testa sulle palle inattive.

Quando non fu convocato dalla nuova gestione Del Bosque per il Mondiale 2010, la mossa potrebbe esser stata paradigmatica: l’addio a un certo tipo di giocatori, che c’erano nella vittoria del 2008 e che in quella Coppa del Mondo, ormai, non servivano più.

Centrale sinistro — 4. Wim Koevermans

Questo roccioso difensore e il suo commissario tecnico nell’Europeo 1988 condividevano lo stesso inizio: un nome di origine romana. Lui si chiama Wilhelmus Jacobus Koevermans (detto “Wim”), il suo allenatore è stato uno che ha gettato delle discrete basi calcistiche all’Ajax negli anni ’70: Marinus Jacobus Hendricus Michels (soprannominato “Rinus”).

Ci sono state due grandi selezioni Oranje: la prima è quella del ’74, del “calcio totale” e del Mondiale sfiorato in Germania. La seconda è quella del 1988, che porta a casa il primo (e finora unico) titolo internazionale.

In quella squadra da 20 giocatori, cinque giocavano all’estero. Dei 15 rimanenti, 12 facevano parte delle tre grandi realtà del calcio olandese (Ajax, PSV e Feyenoord). Ne rimanevano tre. Se Wilbert Suvrijn del Roda JC ha avuto anche un’esperienza in Francia e Hendrie Krüzen del Den Bosch ha poi avuto chance per crescere, per Wim le cose sono andate diversamente.

Lui è sostanzialmente rimasto al Fortuna Sittard e ha giocato una sola gara in nazionale, ritirandosi a trent’anni. Venti più tardi, si è poi ritrovato in India per allenare la nazionale. Ha un Europeo in bacheca, ma quel nome da console romano non gli ha portato chissà quale gloria personale.

Terzino sinistro — 3. Jean-François Domergue

Caso strano quello di Domergue. Parliamo di un giocatore con 445 presenze in Ligue 1 tra anni ’70 e ’80, eppure in nazionale ha giocato appena nove gare, condite da due gol.

Troppa concorrenza nel ruolo? Può darsi. Magari ha sofferto lo stesso complesso di un suo connazionale che scopriremo più avanti. Fatto sta che quelle due reti sono state fondamentali, perché hanno lanciato le basi per il primo trionfo francese.

È la prima Francia degna di nota, quella di Platini che due anni prima aveva spaventato la Germania Ovest nella semifinale del Mondiale. Con un biennio di esperienza in più e l’Europeo in casa, i transalpini sembrano inarrestabili.

L’ostacolo più insormontabile sembra in semifinale, dove i portoghesi portano la Francia ai supplementari. A segnare i gol che tengono in vita la selezione di Michel Hidalgo è proprio Domergue. Uno nei regolamentari per l’1–0, un altro nei supplementari per pareggiarla 2–2. Sarà poi Le Roi Michel a vincerla al 119’.

Mediano — 4. Jens Todt

Ruolo attuale? Direttore sportivo del Karlsruhe. Carriera? Havense, Friburgo, Werder Brema, Stoccarda. Trofei? Una seconda divisione vinta e una Coppa di Germania in bacheca.

Todt conta così poco che festeggia il titolo in borghese: manco l’hanno fatto cambiare. Lo vedete a destra, sotto Oliver Kahn.

Che c’entra Jens Todt con l’Europeo vinto nel ’96 allora? In teoria nulla, se non fosse che Berti Vogts perde tutti in vista della finale di quell’Europeo. Come la finale?

Già, perché all’epoca l’UEFA consentiva di chiamare giocatori in vista della finale se ci fossero stati troppi indisponibili. La Repubblica Ceca, sana e arruolabile, rifiutò questa gentile offerta. I tedeschi approfittarono, visto che Vogts non aveva a disposizione Bobic, Freund, Klinsmann, Kohler e Basler.

Così Todt si schierò in panchina quella sera a Wembley. Non entrò, ma bastò per assicurargli un posto nella storia. Solo negli anni ’90…

Mezzala destra — 8. Vasilis Lakis

Nella Grecia campione d’Europa del 2004, Lakis rappresentava il meno nobile dei centrocampisti. La sua carriera l’ha poi confermato: l’unica grande per la quale abbia mai giocato è l’AEK di Atene. Ci sono due anni al PAOK, ma il tempo trascorso in giallonero non si dimentica.

Per necessità noi lo schiereremo come mezzala, sebbene il suo soprannome — Turbo — faccia intuire che il suo mestiere era quello d’ala. A differenza dei suoi compagni in quella spedizione, non ha vinto tanto. Anzi, poco. Forse è proprio per questo che va inserito in questa fantomatica formazione.

Difesa approssimativa, eh, ma Turbo c’è.

Mezzala sinistra — 6. Ruben de la Red

Qui dobbiamo chiamare in causa la sfortuna. Dobbiamo per forza, perché de la Red avrebbe potuto fare ben altra carriera.

Non parliamo di un carneade qualsiasi, ma di un ragazzo costretto a interrompere la sua carriera per via di problemi cardiaci. Classe ’85, de la Red aveva trovato spazio nell’ultimo Real Galactico, quello con Beckham, Ronaldo, Owen, Figo e Zidane tutti insieme.

A 22 anni passa in prestito al Getafe, dove cresce a dismisura e raggiunge persino i quarti di Coppa Uefa. Non ha ancora esordito in U-21 quando Luis Aragonés lo chiama per andare all’Europeo. Giocherà solo tre partite con la Spagna, ma nell’unica apparizione ufficiale de la Red segna contro la Grecia campione d’Europa uscente.

Quando torna a Madrid, Pellegrini sembra volerlo provare. Purtroppo, il centrocampista collassa durante una gara di Copa del Rey. A un anno dalla morte di Puerta, c’è troppa paura: si aspetta il ragazzo, ma non riprenderà mai a giocare. Si ritira nel 2010, a 25 anni. Chissà che carriera avrebbe potuto avere.

Trequartista — 10. Johan Micoud

Altolà. So già cosa sta pensando chi legge il nome di Johan Micoud tra questi. Ma come Micoud?! Ma quel Johan lì? Quello magnificente del Bordeaux di fine anni ’90? Lo stesso venuto a svernare a Parma e poi a giocare un calcio sopra la media a Brema? Sì, lui.

Non so mica se ce ne siano tanti così, oggi.

C’è un motivo però se Micoud può stare in questa squadra. Purtroppo, quel 10 dalle movenze eleganti non è mai stato particolarmente amato dalla nazionale francese. Una nazionale troppo forte per far spazio a uno “normale” per l’epoca.

Soprattutto, nel suo stesso ruolo giocava uno niente male. Di nome faceva Zinedine Zidane, una maledizione per Micoud. Quando era un ragazzino nelle giovanili del Cannes, Micoud vedeva Zidane in campo. Quando andò a Bordeaux, fu proprio per sostituire Zidane, passato alla Juventus.

Seconda punta — 11. Sergio García

Cresciuto nel vivaio del Barcellona e passato per tutte e tre le squadre blaugrana (persino il Barca-C!), Sergio García ha poi comunque trovato asilo in Catalogna, ma nell’Espanyol, di cui è diventato anche capitano.

Di lui si diceva un gran bene, visto che aveva fatto parte anche dell’U-19 campione d’Europa nel 2002: nella stessa squadra c’erano Fernando Torres, Iniesta e Reyes. Seconda punta o ala, Sergio García non ha mai avuto medie realizzative straordinarie. Basti pensare che la sua miglior stagione in Liga è arrivata a 31 anni, l’unica in doppia cifra (12 reti).

Eppure a Luis Aragonés piaceva tanto. Così tanto che il tecnico spagnolo lo chiamò per Euro 2008, nonostante non avesse neanche mai esordito. Alla fine, Sergio García ha accumulato appena due presenze con la Spagna: la prima in un’amichevole, la seconda durante l’Europeo.

Meglio è andata con la rappresentativa della Catalogna: 13 presenze, 8 gol. Un successone.

Prima punta — 9. Christophe Dugarry

Ci sarebbe da fare una riflessione più ampia. La domanda vera è cos’abbia mai fatto Dugarry per meritarsi la carriera che ha fatto e i trofei che ha vinto.

Vale la pena ricordarlo: 55 presenze e otto gol con la Francia, Dugarry ha giocato per Bordeaux (due volte), Milan, Barcellona, Olympique Marsiglia, Birmingham City e Qatar SC. Conosciuto per la sua tecnica e l’abilità aerea, il francese non è mai spiccato per fiuto sotto porta.

Specie nella finale di un Mondiale.

Tra gli addetti ai lavori, è famosa la leggenda per cui Ariedo Braida fosse andato dal Bordeaux per prendere Zidane e sia tornato con Dugarry. Che comunque ha un ruolino-gol parecchio scarno: 98 gol sparsi in 16 anni di carriera. Se fate la media, è di 6,13 reti a stagione.

Eppure Dugarry ha fatto parte di quella generazione che ha portato a casa un Mondiale, un Europeo e una Confederations Cup. Ha giocato due Coppe del Mondo e altrettante competizioni continentali. Oggi fa il commentatore per Canal+ e ci lascia ancora attoniti sul perché sia riuscito a far parte di un gruppo così vincente.

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