Questione di linguistica

Crampi Sportivi
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7 min readJun 21, 2018

Sin dai primi studi linguistici, si pensava che il senso di un enunciato potesse essere ricavato esclusivamente dalla composizione dei significati delle varie parole che si succedono al suo interno. In seguito, questo principio — detto appunto di “Composizione” — venne in parte smentito da Pustejovski, che mise in luce come in realtà le parole siano “permeabili” fra di loro e possano far riferimento l’una all’altra, generando di volta in volta significati diversi. La definizione del contesto, quindi, determina il senso che avrà una combinazione di elementi ed è su questo concetto che la stagione degli Oklahoma City Thunder è totalmente naufragata.

Con la scelta di affiancare a Westbrook due star come Paul George e Carmelo Anthony, Sam Presti deve aver seguito la regola non scritta vigente fra i general manager Nba per cui prima si pensa ad accumulare il talento, e solo in seguito ci si pone il problema di massimizzarlo. Un esempio su tutti di questa filosofia è la trade che ha portato DeMarcus Cousin a New Orleans: anche nell’era dello small ball, anche con già a roster uno dei lunghi più forti della lega, se hai la possibilità di mettere le mani su un talento di quel calibro… lo fai. Al resto si pensa dopo. La bontà del risultato poi dipenderà, come detto, dal contesto e da come le caratteristiche delle star reagiranno entrando in contatto fra di loro.

Nonostante non siano mancati lampi sporadici che potevano far ben sperare (Okc è stata una delle poche squadre ad aver battuto Golden State due volte in stagione), lentamente ha cominciato a nascere la consapevolezza che la stagione dei Thunder sarebbe potuta finire solo in maniera deludente.

Fin da subito è stato evidente come il nuovo terzetto di star avrebbe avuto grossi problemi nell’integrarsi. La tanto auspicata versione “Olimpic” di Carmelo Anthony, pronta a sfruttare gli spazi creati dai suoi talentuosi compagni, non si è mai veramente palesata nel corso della stagione: l’ex New York Knicks ha continuato a cavalcare gli ormai anacronistici isolamenti dal mid-range, finendo per isolarsi più frequentemente anche di Westbrook. La capacità di adattare il proprio gioco al fisiologico calo di atletismo è un parametro che pesa tantissimo nel bilancio finale di una carriera. Purtroppo è evidente come Melo non sia riuscito a fare quel cambio mentale, prima che tecnico, necessario per poter mantenersi ad alti livelli nonostante la perdita delle piene potenzialità atletiche. Non essere più in grado di battere nettamente il suo uomo ha causato un drastico calo delle sue percentuali al ferro, lasciandogli come unica arma un inefficiente mid-range-jumper che le difese avversario sono ben contente di concedergli. Le statistiche riguardanti i suoi isolamenti non fanno che confermare questa tendenza: nonostante, come detto, la percentuale sul totale di possessi giocati sia maggior a quella di Westbrook — 18,1% contro 17,5% — , si posizione soltanto nel 48° percentile in termini di efficienza.

Tra le altre cose, questa è la stagione in cui Melo è diventato ufficialmente un elemento deleterio per la difesa della sua squadra. Nella clip vediamo come non riesca fisicamente nemmeno a contenere marginalmente Harden e, cosa molto più grave, come non accenni nemmeno ad aiutare dopo che The Beard ha battuto il suo compagno.

Del resto, se è vero che ogni elemento concorre a definire il contesto, è evidente come la totale inesistenza di un sistema offensivo che vada oltre le iniziative personali dei singoli non abbia aiutato Anthony a mettersi nelle migliori condizioni per reinventarsi in una veste più equilibrata. I numeri in questo caso sono impietosi: in questa stagione Oklahoma è stata la squadra a giocare il numero di isolamenti più alto dopo Houston, posizionandosi nel 24° percentile (!); percorrendo meno miglia di chiunque altro ad eccezione di Milwaukee, e, infine, registrando il totale più basso di assist — sempre dopo Houston. Proprio i Rockets hanno dimostrato come l’esasperazione degli isolamenti non debba essere per forza una cosa negativa, a patto che venga sistematizzata e supportata da una folta schiera di tiratori capaci di garantire lo spazio per le iniziative personali dei ball handler; tutti elementi che sono totalmente mancati ai Thunder.

Come avrebbe potuto, quindi, un giocatore con determinate abitudini, cambiare sé stesso in un contesto simile? Lo stesso Paul George, per motivi diversi, ha risentito della situazione che partita dopo partita veniva a crearsi.

La stagione di “PG” si presta a molti livelli di lettura e il bilancio andrebbe fatto pesando ognuna di queste sfumature. Al solito lavoro ineccepibile nella sua metà campo, ha contrapposto una stagione altalenante al tiro, arrivando lui stesso ad ammettere di “avere un problema che va risolto”. Pur essendo sempre stato un portatore di palla di alto livello, dal suo approdo a Oklahoma City sembra aver risentito della totale mancanza spaziature che il quintetto titolare dei Thunder offriva: con il pallone nelle mani di George e in campo Roberson (22%), Westbrook (29%) e Adams (mai tentato una tripla in carriera), l’unico tiratore affidabile rimaneva Carmelo, che ha però tirato il 22% in stagione nelle situazioni di spot up. La totale immobilità dell’attacco, unita a questa mancanza di spaziature, hanno letteralmente ucciso il ritmo offensivo dell’ex Indiana Pacers, che ha continuato a essere un ottimo tiratore da tre punti, ma ha visto calare le sue percentuali dal campo sia nei pressi del ferro (dal 63% della scorsa stagione al 61%) che soprattutto dalla media distanza (dal 45% al 33%).

Un esempio di come la totale mancanza di spaziature abbia costretto George a prendere tiri a bassa percentuale. AL netto della buona difesa di Wiggins, Teague può permettersi di ignorare completamente Roberson, chiudendo così le possibilità di PG di arrivare al ferro lasciandogli come unica opzione un complicato fade away.

A tutto questo, va aggiunto quanto Zach Lowe ha scritto qualche mese fa. La penna di ESPN rifletteva sul fatto che Russell Westbrook non può più essere l’intero sistema offensivo di Okc semplicemente perché, nel momento in cui lui riposa, l’intero attacco collassa. Il compito di George era quello di guidare la second unit e — rubando sempre le parole a Lowe − il fatto che non ci sia riuscito è una testimonianza della grandezza di Westbrook, ma anche della mancanza di una coerenza all’interno della costruzione offensiva dei Thunder. Questa stagione sembra aver messo in chiaro come Paul George non faccia parte di quella ristretta cerchia di super star capaci di spaccare le difese colpendole esattamente dove se lo aspettano. Per dirla in altre parole, non è al livello degli Harden, dei LeBron o dello stesso Westbrook.

Giocatori di questo livello possono tagliare in due la difesa avversaria anche con spaziature non ideali, possono rendere efficienti i tiratori mediocri e permettersi di prendere sulle spalle carichi offensivi talvolta spropositati, se necessario — George, a oggi, no. Nell’ipotesi in cui lui e Melo dovessero rimanere, l’unico via per cui questa squadra può assumere un’identità offensiva coerente passerà dalle mani del suo leader. C’è un motivo se Russell è uno dei giocatori più controversi e divisivi degli ultimi anni. Con lui funziona così: per ogni volta che avrà dimostrato di avere dentro di sé un fuoco inestinguibile, ce ne saranno altre due in cui scaricherà il pallone al primo compagno per poi ignorare totalmente lo sviluppo del possesso. È quasi incredibile come riesca a far convivere dentro di sì due anime così distinte, quella del cannibale disposto a qualsiasi cosa pur di vincere e quella del divo indolente.

Sommate questa bipolarità al fatto che abbia mantenuto una percentuale di possessi di squadra utilizzati spropositata (38%, il più alto di tutta la lega) nonostante gli siano stati affiancati due All Star, e avrete il quadro completo della situazione: un giocatore con a disposizione dei mezzi illimitati ma di cui, per ora, non sembra averne ancora pieno controllo.

La trasformazione in una versione di sé stesso più efficiente, dovrebbe partire dalla selezione di tiro. Quei terribili jumper dalla media andrebbero scambiati con conclusioni al ferro o con — ricalcando il pick and roll Harden-Capela — un lob per Adams. Uno stile offensivo più equilibrato potrebbe portarlo ad avere più energie nella metà campo avversaria, dove ha già dimostrato di poter essere il miglior difensore nel ruolo nei momenti in cui è coinvolto.

Sperare che questa metamorfosi avvenga pienamente nel giro di un’estate non è realistico. Tuttavia, la consapevolezza di essere ormai vicino al giro di boa dei 30 anni potrebbe accendere in lui la scintilla della risolutezza e dargli quel tanto di equilibrio che gli basterebbe per accedere ad uno status ancora più alto di quello in cui si trova già. Quale sarebbe il limite per una versione più efficiente di Westbrook? Sarebbe così lontano dalle prime due o tre posizioni in un’ipotetica classifica dei migliori giocatori della lega? Il semplice fatto che possa applicarsi maggiormente in difesa, potrebbe annullare per lunghi tratti di partita gli attacchi avversari.

Del resto, il più grande paradosso di questa squadra è stato quello di non essere riuscita a capitalizzare su di una difesa che, per un tratto di stagione, ha potuto schierare contemporaneamente tre difensori d’élite come George, Adams e Roberson a cui si aggiungeva, se in serata, lo stesso Westbrook.

L’apertura del mercato dei free agent ormai alle porte ci dirà se George e Anthony decideranno di restare o se eserciteranno l’opzione che entrambi hanno all’interno dei loro contratti per svincolarsi. È ragionevole pensare che Melo, avendo dimostrato di essere in evidente calo fisico, potrebbe decidere di beneficiare dei 28 milioni garantiti per il prossimo anno. Paul George, invece, visto il finale di stagione deludente, avrebbe la possibilità di usare la player option per uscire dall’accordo che lo lega ai Thunder ed esplorare il mercato estivo. Quello che deciderà di fare sarà influenzato, oltre che dalle scelte degli altri free agent (ovvero da dove andrà LeBron James), anche da quanto e se Sam Presti sarà in grado di rinforzare il roster. Se l’idea continuerà ad essere quella di continuare a cavalcare un attacco a base di isolamenti ripetuti (e la permanenza di Billy Donovan sulla panchina sembra confermare questa ipotesi), sarà fondamentale ricalcare totalmente il modello di Houston, cercando di aggiungere tiratori perimetrali capaci di spaziare il campo.

Nel caso in cui il general manager dei Thunder riuscisse a dare una struttura coerente alla sua squadra e a convincere le due star a rimanere, a quel punto sarebbe tutto sulle spalle di Westbrook.

Nel tentativo di formalizzare la sua teoria semantica, Pustejovski ha evidenziato come alcune parole all’interno di una frase possano forzare le altre ad assumere un significato diverso. Assumendo il pieno controllo delle sue capacità, Westbrook diventerebbe quell’elemento capace di dare un senso diverso al contesto attorno a sé. Con ancora nella memoria l’ultima partita in cui ha segnato 46 punti tirando 43 volte (!), risulta difficile credere che in un’estate possa trasformarsi in un giocatore sotto controllo, ma sperare non costa nulla e, dopotutto, anche la versione attuale non è poi così male.

Articolo a cura di Davide DuranteNato a Treviso, studio a Bologna. Scrivo di basket Nba su TheShotMag. In camera ho un quadro di LeBron James.

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