Unico per caso

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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4 min readJul 17, 2016

Un dialogo immaginario in un centro sportivo.

«Ven, are you sure?».

«Certo».

«Sei molto gentile, ma è una follia…».

«Non credo. Anzi, penso sia giusto così».

«Capisco… credo che non potrò mai ringraziarti abbastanza».

«Figurati. Anzi, che ne sai? Magari ne esce qualcosa di buono da questo cambio».

Nella storia dei Giochi Olimpici estivi, quasi tutti le nazioni partecipanti hanno avuto il loro momento di gloria. Se escludiamo il povero Liechtenstein e San Marino (senza alcuna medaglia olimpica), ogni paese ha avuto un frammento di festa.

Ancora più rari sono quei casi in cui l’unica medaglia olimpica è un oro (appena tre). Figuriamoci quando questa grande occasione arriva con un cambio dettato non solo dalla generosità, ma soprattutto da una motivazione tecnica. Il Burundi può fregiarsi di un oro proprio grazie a questo modus operandi.

E il protagonista di questa storia non è un uomo qualsiasi, ma un tutsi (o vatussi, come venivano impropriamente chiamati) arrivato da Vugizo, la parte meridionale del paese. In quell’area del mondo, così dimenticata dalla storia, gli anni ’90 hanno presentato un conto salatissimo alla storia: alcuni si ricordano di come il Ruanda abbia visto migliaia di morti, ma il Burundi spesso non viene menzionato. A torto.

Vénuste Niyongabo sembrava destinato a una formidabile carriera nell’atletica, in particolare negli 800 e nei 1500 metri. Tra il ’94 e il ’95 era uno dei favoriti per portarsi a casa una medaglia, se non fosse che il destino stava per decidere qualcosa di diverso.

Dopo un bronzo ai Mondiali di Göteborg, Niyongabo si prepara con incertezza alla rassegna olimpica. Nel 1996, nella spedizione del Burundi, c’è anche Dieudonné Kwizera. Quest’ultimo passerà alla storia come uno dei partecipanti di Atlanta ’96, ma in realtà era lì per fare il coach. Finché Niyongabo non cambia idea, preoccupato oltretutto dal colpo di stato e dai tumulti che hanno colpito la sua patria.

Ottocentista con un discreto passo, Kwizera non ha potuto correre a Seoul ’88 e Barcellona ’92 perché all’epoca Burundi non aveva un comitato olimpico. Così Niyongabo decide di lasciare il suo posto nei 1500 metri al compagno-coach, mentre lui si presenta per i 5000, corsi solo due volte prima di Atlanta. La motivazione, però, non fu solo altruistica. Anzi, il calcolo era stato discreto:

«Sapevo che sarei andato ad Atlanta, e che avrei potuto portare a casa una medaglia, ma quale? Ero il numero tre nei 1500, ma se fosse arrivato qualcun altro, magari una sorpresa come spesso capita in certe finali importanti? Qualcuno crede che la scelta di correre i 5000 sia stata improvvisata, ma non è così».

Riguardando la finale, viene quasi da ridere. La corsa sembra dominata dai keniani, finché una sagoma esile dalla leggera casacca rosso-verde sprinta via. Niyongabo fa un ultimo giro irreale, ricordando a tutti che la sua natura è quella di mezzofondista.

A 22 anni, Vénuste regala la prima medaglia olimpica al suo paese — in piena guerra civile — in una disciplina con la quale non aveva praticamente mai fatto esperienza. Il tempo finale di Niyongabo — 13.07.97 — è a soli due secondi dal record olimpico, il sesto in assoluto della storia per l’epoca. Una follia completa.

A fine gara, gli chiedono se questa vittoria sia per i Tutsi o per gli Hutu. Lui, candidamente, cerca un messaggio d’unità:

«Questa medaglia è per il Burundi. Tutto quello che voglio è la pace per il mio paese».

Più tardi Niyongabo confermerà questa versione:

«Non ho mai provato, né mai proverò odio nei confronti di una qualsiasi etnia diversa dalla mia. Prima della colonizzazione, in Burundi non c’erano questioni etniche: quelle sono state create per scopi politici. Io ho tantissimi amici da una parte e dall’altra: così dev’essere».

Neanche le Olimpiadi hanno fermato il corso brutale della storia (300mila morti), ma Niyongabo ha tentato di dimostrare come la rassegna a cinque cerchi possa (e debba) provare a riportare l’armonia in paesi disagiati e protagonisti di conflitti.

Come tutte le favole, non sono destinate a durare in eterno. Niyongabo soffre per diversi infortuni e non riuscirà mai a ripetersi: basti pensare che a Sydney 2000 arriva 15° nella semifinale dei 5000 metri, non riuscendo così a difendere il proprio titolo.

Ritiratosi, Niyongabo ha lavorato in Italia per la Nike e ha vissuto diverso tempo a Bologna, dopo otto anni trascorsi a Siena, dove arrivò nel 1993. Durante la prima stagione di Mourinho all’Inter, andò addirittura in visita ad Appiano Gentile, con tanto di foto e scambio di opinioni con il portoghese.

Recentemente ha ricordato quella medaglia d’oro:

«Nonostante qualcuno sostenga che la mia vittoria sia stata inaspettata, sono pochi gli atleti che vincono a sorpresa. Se si fissa l’obiettivo di battere un collega, si studiano i suoi punti di forza e le sue debolezze».

Articolo a cura di Gabriele Anello

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