Uno di loro

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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4 min readNov 26, 2016

Go on, son! — di Luca Manes

Per noi aveva già chiuso con il “calcio vero” un pomeriggio del maggio 2015 quando, accompagnato dalle sue tre bimbe, fece per l’ultima volta il suo ingresso ad Anfield Road. Quel giorno c’era gente che aveva pagato ai bagarini un migliaio di sterline per vederlo avvicinarsi con un pizzico di mestizia alla Kop, fermarsi a guardare la sua curva e ascoltare You’ll Never Walk Alone. Quell’inno immortale che “il capitano” ora continuerà a cantare da semplice tifoso, non più da calciatore professionista, ora che ha deciso di appendere le scarpette al chiodo dopo la fugace esperienza ai Los Angeles Galaxy.

Una bandiera come Steven Gerrard a noi piace ricordarla nel suo momento di estasi massima. Quando con i suoi Reds si ritrovò a giocare la prima finale di Coppa dei Campioni, o Champions League che dir si voglia, da quel tragico 29 maggio 1985.

L’avversario era ancora italiano, il Milan, che mentre il Liverpool pagava il conto per i fatti dell’Heysel di coppe con le grandi orecchie in bacheca ne aveva messe quattro. E dopo il primo tempo era già pronto a trovare posto per la quinta, ovvero la settima in totale, contando anche quelle degli anni Sessanta.

Gerrard dirà che si sarebbe aspettato di essere spernacchiato dai suoi tifosi. Si sarebbe aspettato un oceano di boo — perché gli inglesi non fischiano — di insulti, di improperi, di maledizioni. Benedetti figlioli, ci avete fatto venire fino a Istanbul e dopo nemmeno un minuto avete già preso un goal? E come se non bastasse vi siete fatti infilare come mammolette altre due volte. Anzi, quasi quasi è un miracolo che il primo tempo stia terminando solo 3–0 per gli altri, ne avreste dovute raccogliere altre, di sfere in fondo al sacco. Infatti i ragazzi in rosso non vedevano l’ora di prendere la via degli spogliatoi. A capo chino, con la sconfitta dipinta sui loro volti guardavano quelli del Milan mentre celebravano la rete di Crespo giunta a pochi secondi dall’intervallo. Rossoneri che già pregustavano l’ennesimo trionfo nella competizione più importante a livello di club.

Però nella mente dei 30mila che erano all’Atatürk a sostenere il Liverpool alle 21.30 del 25 maggio 2005 passò un altro pensiero. Bisognava rivitalizzare la squadra. C’era solo un modo, l’unico che i Kopites conoscessero: You’ll Never Walk Alone. Allora dalla metà scouser dello stadio si innalzò il coro, in un tripudio di sciarpe e bandiere che avrebbe fatto pensare che erano loro, non gli altri, a vincere con tre reti di scarto. Noi non ci arrendiamo, siamo qui per incitarvi fino alla fine, accada quel che accada, date il 110%, poi si vedrà, era il messaggio della Kop, trasferitasi in massa nella Curva Nord dell’arena turca. Messaggio recepito. Si possono fornire innumerevoli chiavi interpretative di quel match. Il Milan prese sotto gamba il secondo tempo, forse anche inconsciamente, perché si sentiva già appagato, mentre il Liverpool giocò alla garibaldina, tanto non aveva più nulla da perdere. Tutto giusto. Però guai a sottovalutare quanto detto da Gerrard.

You’ll Never Walk Alone aveva dato la carica giusta, aveva cancellato la spessa patina di paura che accecava gli undici di Don Rafa, aveva donato una dose inaspettata di energia. You’ll Never Walk Alone ha rappresentato la pozione magica che cura tutti i mali. Pare che negli spogliatoi non ci fu nemmeno bisogno di uno discorso degno di Winston Churchill o Martin Luther King da parte di Benitez, i giocatori erano calmi, pensavano alla ripresa delle ostilità ben sapendo in cuor loro che non tutto era perduto. Avevano ragione. Il capitano diede l’esempio segnando con un colpo di testa preciso quanto forte. La partita era riaperta. Furono sufficienti altri sei minuti e la partita era incredibilmente sul 3–3. Prima Smicer, poi Xabi Alonso spazzarono via tutte le certezze dei milanisti. Poi il più improbabile dei protagonisti assunse le fattezze del portiere polacco Jerzy Dudek, un pasticcione che di papere in carriera ne aveva combinate parecchie e che in quell’estate perderà il posto da titolare a vantaggio del fedelissimo di Benitez Pepe Reina.

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Poi nel 2007 lascerà il Liverpool per fare la riserva al Real Madrid. Praticamente quella in Turchia è stata la sua ultima partita vera, al di là di qualche rara comparsata con la Casa Blanca. Però che partita! A tre minuti dalla fine dei tempi supplementari indovinò uno degli interventi più pazzeschi e fortunati della storia su un tiro a botta sicura di Shevchenko da pochi passi. Ai rigori ipnotizzò Pirlo e ancora il campione ucraino, mica due novellini. In quella gara è sembrato un incrocio tra Yashin, Buffon e Banks. Mentre guardava negli occhi i giocatori del Milan che titubanti si apprestavano a tirare i penalty Dudek stava sicuramente ripensando a quegli ultimi minuti del primo tempo, alla carica che gli avevano donato quei 30mila che cantavano You’ll Never Walk Alone. Lui e i suoi compagni prima della roulette russa dei rigori volevano sentire ancora quei versi così evocativi. Ma questa volta doveva essere una sorta di auto-celebrazione dei tifosi, che avrebbero pianto sì, ma di gioia. E avrebbero sventolato sciarpe e bandiere ebbri di passione per un miracolo sportivo e non per incoraggiare la squadra sull’orlo del baratro. Glielo dovevano, quella era anche la loro Coppa. E di tifosi del Liverpool che piangevano, mentre forse nemmeno si accorgevano di declamare per la milionesima volta la loro preghiera laica, ce ne erano migliaia, sugli spalti dello stadio Atatürk, dopo che Dudek aveva sbarrato la strada a Shevchenko per l’ennesima volta. Quella decisiva.

Intanto uno di loro, il capitano di mille battaglie, alzava al cielo la coppa più ambita, la quinta della storia dei Reds.

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