Vincere tutto

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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13 min readSep 29, 2015

Nell’arco di una vita, sono rari i frangenti in cui un uomo può affermare di essere davvero riuscito, lì e in quel momento, ad esprimere la totalità delle proprie aspirazioni e delle proprie peculiarità in modo compiuto, così da poter dire: “Ecco, questo sono io. Io sono questa poesia che ho scritto, io sono questo paesaggio che ho dipinto, io sono questa risata che ho provocato, io sono questo abbraccio che ho ricambiato.” Oltre ad essere infrequenti, queste sequenze magiche e benedette spesso non sono riconoscibili mentre accadono, sicché capita di ripensarci solo dopo, quando hanno perso parte della loro freschezza e, quindi, della loro potenza esistenziale.

Analogamente, anche il compito di identificare uno sportivo in un singolo gesto, in una sola impresa, può essere missione ingrata e, nel peggiore dei casi, mistificante. Altre volte, invece, tutto sembra estremamente più chiaro, e si ha la certezza di aver assistito ad una signature exhibiton, ad una vittoria paradigmatica. L’azione devastante con cui Peter Sagan ha demolito la concorrenza sul circuito di Richmond, in Virginia, andandosi a prendere il suo primo titolo di campione del mondo di ciclismo su strada, rientra a pieno titolo in questa seconda categoria.

Uno guarda una cosa così e realizza: “Ecco, questo è Peter Sagan.”

La potenza dello scatto sullo strappetto della Ventitreesima Strada; l’efficace follia nella discesina successiva; la resistenza sicura al ritorno degli inseguitori; la disinvoltura nel recuperare istantaneamente la pedalata. C’era tutto Peter Sagan nei dieci minuti scarsi in cui è apparso come un miracolo della meccanica e ha riempito di senso le sei ore di corsa precedenti, in cui aveva lavorato nel segreto del gruppo.

Un lavoro preparatorio che è lo stesso che Peter fa praticamente da sempre, da quando è nato 25 anni fa in Slovacchia, quarto figlio di un’umile coppia di ristoratori, e poi in maniera più specifica da quando, piccolissimo, ha imparato ad andare in bicicletta, unico tra i fratelli a farlo senza il sostegno delle rotelle. Sagan, da allora, ha necessitato di un faticoso lavoro di continenza, di continua limatura, di paziente attesa, con lo scopo di dare forma e direzione ad un’esuberanza psicosomatica mai vista. “Perché”, sostiene Peter, “io non sono bravo con la tattica. Io so fare solo quello che faccio.”

@petosagan animato da Daniele Cavalieri

Fase 1 — TERMINATOR

Durante i lunghi e freddi inverni di Zilina — 200 km da Bratislava, paesone diventato quasi di confine dopo la fine della Guerra Fredda e la conseguente disgregazione della Cecoslovacchia — tenere a casa il piccolo Peter tutti i pomeriggi deve suonare come una specie di tortura per i signori Sagan, che decidono di assecondare l’irrequietezza dell’ultimo nato facendogli fare tutti gli sport che gli passano per la testa. Calcio, nuoto, skateboard, karate, anche contemporaneamente. Per tre mesi, Peter segue persino un corso di ballo insieme a mamma Helena, adepta di Dirty Dancing.

È una domenica di aprile, però, a cambiare le cose per sempre. Peter si convince ad andare a vedere una corsa in bicicletta di suo fratello Juraj, promettente ciclista di 18 mesi più grande. Juraj vince, ma Peter passa tutto il tempo ad immaginare come l’avrebbe festeggiata lui, una vittoria; allo show che avrebbe messo su, e a quanto si sarebbe divertito a sentire il suo nome urlato dallo speaker. Tornato a casa, rivela a suo padre di voler cominciare a pedalare anche lui. Ha 9 anni.

“Sarà un altro capriccio dei suoi, gli passerà presto”, è questa l’opinione comune di Milan e Danka, fratello e sorella maggiori. Peter un mese dopo prende parte alla sua prima corsa, in sella a una bicicletta comprata in un supermercato e con sulle spalle il numero 1, assegnatogli del tutto casualmente. Vince per distacco, ed è un colpo di fulmine.

Comincia a correre ovunque e con qualsiasi mezzo, alternando con eguale successo strada, ciclocross e mountain bike: arriva praticamente sempre primo. A 13 anni decide di voler passare al downhill, ed è solo uno schiaffone ben assestato di papà Lubomir a fargli cambiare idea: troppo costosi i materiali, troppo pericolose le gare.

Durante gli ultimi due anni di liceo, l’unica scuola che frequenta con costanza è quella di recitazione, a conferma di una propensione innata per lo spettacolo: “Se avessi più tempo libero, mi piacerebbe diventare una star di Hollywood”, ha dichiarato una volta.

Alle lezioni di lettere e matematica, invece, non ci va praticamente mai. Ogni mattina, uscito di casa, dirige in realtà la sua bicicletta verso le strade pietrose della campagna slovacca, attraverso tre diversi parchi naturali. Il diploma riesce a prenderlo lo stesso, perché a scuola se la cava, ma ormai è chiaro a tutti che una carriera da ragioniere nella fabbrica Ford di Zilina o in una delle cartiere della zona, no, non fa proprio per lui.

Nel 2007, durante il mondiale juniores su strada in Messico (vinto da Diego Ulissi), viene notato dall’italiano Gian Enrico Zanardo, che lo consiglia immediatamente a Roberto Amadio e Stefano Zanatta, della Liquigas: “Non lasciatevelo sfuggire, questo ragazzo ha una luce diversa negli occhi.” Inizia per Peter un lungo ed intenso legame con l’Italia, che è durato, almeno a livello di squadre, fino a pochi mesi fa, quando è passato ai russi della Tinkoff-Saxo.

Appena diciottenne, Peter è diventato un fenomeno assoluto della mountain bike: da juniores, si laurea campione nazionale, europeo e mondiale nello stesso anno, il 2008. “Ricordo che quell’anno migliorai molto nelle discese. Il segreto è non guardare ai lati, anzi non guardare niente. Sono caduto tante volte, ma non mi sono fatto mai nulla”.

Sagan mostra una determinazione e una superiorità disarmanti, che lo rendono praticamente imbattibile, e portano in dote il primo nickname di una lunga serie: Terminator.

Ma la MTB è un mondo piccolo e poco remunerativo, e allora Peter decide di dedicarsi esclusivamente alla strada: dopo un 2009 di transizione, trascorso a San Donà di Piave tra tostissime lezioni di italiano e interminabili partite a Call of Duty, l’anno successivo passa finalmente professionista con la Liquigas.

Caschetto che sembra un elmo, maglia oversized e scarpe da ginnastica. Sagan corre la sua prima corsa in bici contro ragazzini molto più grandi di lui. Notare il numero di gara.

Fase 2 — RAMBO

“Dottore, ma io domani start?” Mentre gli viene ricucito il braccio sinistro con 30 punti di sutura, in seguito a una rovinosa caduta, Sagan muove le labbra solo per rivolgere questa sgangherata domanda al medico della sua squadra, in un pronto soccorso australiano. Il suo pensiero fisso è quello di poter continuare il Tour Down Under, la prima corsa della sua carriera da professionista. Non solo ci riesce, ma si mette anche in mostra andando un giorno in fuga con Lance Armstrong e giungendo poi 4° nella classifica generale. La sera, a cena, i suoi compagni devono imboccarlo, perché quel braccio resta inservibile giù dalla bici. Il nuovo soprannome, Rambo, è cosa fatta.

La Parigi-Nizza del marzo successivo è il teatro della grande rivelazione internazionale di Sagan. Nella terza tappa, a 1 km dall’arrivo di Aurillac si trova in un super gruppetto di testa con Joaquim Rodriguez, Tony Martin, Jens Voigt, Nicolas Roche e Alberto Contador. Quando Purito lancia la volata, Sagan prima lo affianca e poi lo salta agevolmente, sulla destra, andando a vincere la sua prima corsa da pro’. Sulla linea di arrivo, tanta emozione e — almeno stavolta — nessuno show.

Due giorni dopo, ad Aix-en-Provence, il bis. In un modo diverso, in uno dei mille diversi di vincere una corsa di biciclette che Sagan conosce, e che sta cominciando a mostrare al mondo. Se ne va, da solo, su uno strappo impegnativo a 3 km dall’arrivo, poi consolida il vantaggio nel falsopiano successivo e resiste fino alla fine ai tentativi di ricongiungimento del plotone, voltandosi spesso a controllare e lanciandosi infine in uno sprint solitario. All’arrivo, il vantaggio è ridotto a pochi decimi di secondo: guardando i fermo immagine sembra quasi che Sagan abbia vinto una volata di gruppo.

Il giorno dopo, i grandi del gruppo lo avvicinano alla partenza della sesta tappa, per complimentarsi con lui. Peter sorride a tutti senza capire una sola parola di quello che gli viene detto: l’italiano ancora non lo parla, figurarsi l’inglese.

“Il mio inglese è perfetto. Mi diverto a creare frasi senza senso, così la gente si allontana e mi lascia in pace, senza domande sulla fidanzata o su cosa significhi essere un fenomeno. Essere criptico è una cosa figa, aumenta il mio mistero.”

Quella Parigi-Nizza va fissata come un punto di svolta nella — appena sbocciata — carriera dello slovacco. Perché una delle chiavi per comprendere a fondo la fame insaziabile di Sagan è la necessità di ottenere una sorta di riconoscimento ufficiale da parte dei campioni del suo sport, per potersi dire finalmente uno di loro. Per riuscirci, l’unico modo che conosce è vincere: “Se batto un campione, significa che lo sono anch’io”.

Nel maggio successivo, al Giro di California, di campioni non ce ne sono moltissimi, e quindi Peter non ha troppi buoni motivi per mettersi in mostra. Però a Bakersfield, sede di arrivo della quinta tappa, gli organizzatori hanno messo in palio una chitarra, e tanto basta. Sagan, nel nome del rock, decide di vincere per portarsi a casa una chitarra spagnola, colorata, decorata a stelle e strisce: oggi è appesa nel suo salotto, sopra un divano.

Dal punto di vista tecnico, è evidente che “Rambo” si stia evolvendo sempre di più nella macchina perfetta che conosciamo oggi, uno che può selezionare le corse che vuole vincere e può quasi decidere come vincerle. 184 centimetri per 74 chili, solido mix di potenza e agilità: un chilo di più, e le sue doti di scalatore ne risentirebbero; un muscolo in meno, e la potenza da velocista puro scemerebbe.

È questo equilibrio che ha in mente Sagan mentre si allena sulle colline trevigiane, ora che ha casa a Cimadolmo e che esce in bici portandosi dietro solo il cellulare e qualche euro: nessun panino pronto, meglio sedersi con calma in uno dei tanti baretti sulla strada. Dentro i quali, nonostante da qualche tempo abbia cominciato a chiedere insistentemente il significato di ogni parola italiana che sente, Sagan preferisce parlare il dialetto veneto.

https://www.youtube.com/watch?v=HPTAvhOEMbg

Sagan sta diventando un corridore che decide quando vincere. Al Tour of California del 2010 lo fa perché in palio c’è una chitarra.

Per uno con la voglia di imporsi di Sagan, il Tour de France, con tutti i riflettori del mondo puntati addosso, non solo è passaggio obbligato, ma quasi habitat naturale. L’impatto dello slovacco sulla Grande Boucle, tuttavia, non è esattamente quello grandioso — ma tutto sommato rispettoso e tradizionale — di un predestinato. Sembra piuttosto l’atterraggio di un marziano, una grandinata devastante, una martellata impetuosa.

Peter partecipa al suo primo Tour nel 2012, ventiduenne, dopo che nella stagione precedente ha confermato la sua crescita con 15 vittorie, di cui 3 alla Vuelta. Prima della partenza per la Francia, solo per il gusto di avere una missione da compiere, provoca Paolo Zani, patron della Liquigas: “Se vinco la maglia verde a Parigi, mi regali la tua Porsche?” “Ok, va bene. Maglia verde e due tappe, e sarà tua”. Detto, fatto. Solo che Sagan di tappe ne vince tre, e la maglia verde, da allora, non se l’è più tolta. Con quella del 2015, sono 4 consecutive: chiamarlo Hulk è sin troppo facile.

La prima vittoria al Tour è manifesto programmatico di una carriera. Seconda tappa, prima in linea, arrivo in cima a uno strappo di 2 km e mezzo al 5%. Fabian Cancellara, in maglia gialla e probabilmente all’apice della sua maturità sportiva, allunga a metà della salitella. Gli sta dietro solo il giovane Sagan. Lo svizzero, dapprima con discrezione e poi platealmente, invita l’avversario a dargli un cambio, a passarlo, perché Boasson Hagen è già rientrato, e anche il gruppo si fa minaccioso. Sagan passa Cancellara, in effetti. Ma solo sulla linea del traguardo.

https://www.youtube.com/watch?v=_4JKItH992g

“Uno strappo breve, ma violentissimo”, dice Pancani. Musica per le orecchie di Sagan e Cancellara, che qui sommano una quantità di watt inimmaginabile.

Due giorni dopo, a Boulogne-sur-Mer, è in programma una tappa molto simile a quella di Seraing, e i compagni di squadra della Liquigas hanno una proposta: “Dai, Peter, vinci ed esulta muovendo le braccia come Forrest Gump!” Altro gioco da ragazzi. Sagan è in una condizione mostruosa, fa semplicemente quello che gli si ordina: “Quando a Forrest dicevano ‘corri’, lui correva. Quando a me dicono ‘vinci’, io vinco”.

https://www.youtube.com/watch?v=voH0peg1PQs

La passione di Sagan per Forrest Gump è confermata da questo spot, dove il ciclista imita (nemmeno tanto male) il personaggio interpretato da Tom Hanks.

-Peter, a che tappa pensi adesso?
-Mmh, a tutte.
-Peter, chi è il più forte?
-Io.
-Peter, chi è l’avversario più difficile?
-Non lo so, ma posso batterli tutti.

David Brailsford, del team Sky, non ha dubbi: “Vederlo vincere è come essere allo stadio quando segna Messi”. Ivan Basso, il suo capitano, è in estasi: “Ha la forza di chi vince con semplicità, la potenza di chi taglia il traguardo ridendo. Il mondo ha visto un fenomeno”. Il Guardian sintetizza brillantemente: “Sagan è talmente speciale che bisogna consultare i libri di storia del ciclismo ogni volta che vince”.

Infine, inevitabile, il paragone col Cannibale. È lo stesso Eddy Merckx a sbilanciarsi: “Mi rivedo in Sagan.” Peccato che il diretto interessato non sia troppo d’accordo: “Io non voglio essere il secondo Eddy Merckx. Io voglio essere il primo Peter Sagan”.

Intermezzo — MEDIATECA

A questo punto del nostro percorso temporale verso Richmond, l’esplorazione del fenomeno-Sagan non può prescindere da una carrellata ragionata di immagini e video che hanno reso Peter l’animale mediatico che conosciamo. Cinque gruppi di documenti multimediali, corrispondenti ad altrettanti aspetti dell’uomo-Sagan, ci porteranno fino alle porte dei mondiali 2015.

- Spettacoli

L’impennata su una ruota è probabilmente il marchio di fabbrica, il pezzo più noto del repertorio, il classico che i fan invocano a gran voce durante il concerto. Big Bear o Alpe d’Huez, non fa differenza: quando a bordo strada qualcuno urla “Wheelie!”, Peter esegue.

Secondo lui, essere divertente è un dovere. “Mi sembra giusto cercare di strappare un sorriso a chi è venuto in strada ad applaudire me e gli altri corridori. È una forma di ringraziamento, e mi diverte”. Nel video di presentazione del suo canale YouTube, Peter promette eterna fedeltà ai suoi supporters, giurando — in slovacco — che si sforzerà sempre di fare qualcosa “per il piacere dei loro occhi”.

I credits per l’impannata vanno ovviamente a Valentino Rossi: “Sono sempre stato un suo fan, ho sempre voluto dare spettacolo come lo dà lui”.

https://www.youtube.com/watch?v=6J7rbKn-Jkc

Wheelie! Wheelie! Wheelie!

- Esultanze

Nel tempo, Peter sembra aver lavorato di lima anche su questo aspetto della sua personalità, ma il rischio che possa improvvisamente mostrare la faccia da — presunto — bad boy è ben lontano dall’essere prossimo allo zero. Per fortuna.

https://www.youtube.com/watch?v=mixFCCKZf2w

Sagan Megamix

- Ordinarietà

Straordinario e ordinario, nel dizionario di Peter Sagan, sono banalissimi sinonimi.

(foto tratta dal profilo Facebook ufficiale di Sagan)

- Amici

Tutti vogliono bene a Peter Sagan. La sua famiglia lo coccola, anche (o forse soprattutto) Juraj, il fratello che lo invitò a vedere una sua corsa e che ben presto si vide superato dal minore; i suoi compagni di squadra lo adorano: averlo dalla propria parte dà un senso di protezione che solo chi ha una completa padronanza del mezzo che guida può trasmettere. Sagan ama andare in bicicletta e, soprattutto, sa andare in bicicletta:

“Uphill, downhill, I like that.” L’amore di Sagan per la bici è puro e sacro.

Alberto Contador, in particolare, durante lo scorso Tour si è consegnato anima e corpo nelle mani sicure del suo amico abile e un po’ guascone e, dopo che Peter lo ha scortato fedelmente nell’insidiosa tappa del pavé, gli ha giurato eterna gratitudine:

https://twitter.com/albertocontador/status/618518706528854016

a) photobombing Greipel (dopo essere stato battuto proprio da lui)

https://www.youtube.com/watch?v=ZCapiD5lf14

[embed]https://twitter.com/TV2SPORTdk/status/618479993631416321[/embed]

c) teasing Froome (aka “goddamn, Froomie!”)

Come si fa a non amare uno così?

- Sconfitte

Dopo due stagioni, il 2013 e il 2014, piene dei soliti, numerosi successi e di ancor più numerosi piazzamenti, ad inizio 2015 Peter sembra faticare enormemente a fare quell’ulteriore salto di qualità che, almeno a livello di risultati, pretende da lui Oleg Tinkov, il magnate russo che ha puntato sul campione slovacco, insieme a Contador, per rendere la propria squadra una fabbrica di successi sia nei grandi giri sia nelle corse di un giorno.

La primavera di Sagan è invero piuttosto deludente: 4° alla Milano-Sanremo, 4° al Giro delle Fiandre, solo 23° alla Parigi-Roubaix. Anche al successivo Tour de France resta a secco ma, nella corsa dominata da Froome, Peter dà spettacolo tutti i giorni.

Va in fuga, sprinta, lavora per la squadra, fa l’equilibrista: si piazza tra i primi 5 in dieci tappe su ventuno. Soprattutto, è felice. A chi gli chiede se non sia ossessionato dai troppi secondi posti, risponde: “Guardate il lato positivo: se avessi vinto tutte le volte che sono arrivato secondo, nessuna squadra al mondo potrebbe permettersi di pagarmi”.

Al termine della tappa di Gap, dove la sua rimonta su Ruben Plaza è riuscita solo parzialmente, Peter spiega il suo gesto finale, alcuni pugni sul petto, con una citazione cinematografica d’autore. Dimostrando una volta di più che le sconfitte possono trasformarsi in un’enorme chance per guadagnare, se non grandi premi, quantomeno grande popolarità.

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=ybLjD_C9usg[/embed]

I do this to take energy. Have you seen “The Wolf of Wall Street”?

Peter torna al successo nell’ultima grande corsa in programma prima di Richmond: alla Vuelta vince in volata la terza tappa, superando Bouhanni e Degenkolb. Ma pochi giorni dopo una moto dell’organizzazione lo tampona, facendolo cadere. Si ritira, non senza aver prima dato sfogo alla sua proverbiale rabbia: dicono che la sua dolce fidanzata, Katarina, lo abbia reso complessivamente più disciplinato, ma Hulk qualche volta non può proprio fare a meno di diventare verde.

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=nPbmV7rUNTo[/embed]

“He is not at all happy”

Fase 4 — SAGAN

Quando, pochi minuti dopo esser diventato campione del mondo, Peter Sagan ha parlato dei problemi dell’Europa, di necessità di cambiamento, di sport come fonte di ispirazione, nessuno ha pensato che il ragazzo stesse semplicemente recitando, in una forma di esultanza più consapevole ed evoluta rispetto alle bischerate di qualche anno fa.

D’altra parte, sarebbe allo stesso modo fuorviante parlare di processo di maturazione umana e sportiva finalmente completato, visto che l’uomo in questione ha appena 25 anni e mezzo di età, e decine di obiettivi ancora davanti: una grande classica (la Roubaix sopra ogni cosa, ma anche il Fiandre), poi l’Olimpiade, magari anche qualche tappa al Giro, solo per limitarsi a traguardi esclusivamente sportivi.

Però c’è stato un momento, nel pomeriggio di gloria a Richmond, in cui qualcosa è cambiato per sempre, nella carriera e nella vita di Sagan, che è sembrato per la prima volta potersi svincolare dagli spettacoli — che pure continuerà a fare — e dai soprannomi — che pure continuerà ad avere. Dopo la vittoria, si è fermato alcuni minuti ad accogliere, con i suoi occhi limpidi, gli abbracci e le strette di mano degli avversari battuti.

Il sorriso di Tom Boonen nel vederlo è la sintesi più efficace del nuovo tipo di riconoscimento che Sagan ha ottenuto con la vittoria americana: non più la banale autorizzazione ad essere considerato un campione come gli altri, ma un’investitura più grande, un’elezione ad ambasciatore, una promozione a simbolo di un ciclismo nuovo, di uno sport proiettato verso il futuro ma saldamente ancorato al meglio della sua storia. E Peter Sagan, con la sua fantasia, con la sua voglia di essere sempre protagonista, con la sua leggerezza nel giocare a fare il favorito in ogni corsa a cui prende parte, attinge direttamente alle fonti della leggenda dello sport a due ruote.

Sagan è l’incoscienza che ci manca, è l’onnipotenza che desideriamo, è la naturalezza che non possiamo imparare, è l’autenticità che abbiamo smarrito. Le cosce e i polpacci di Peter, sempre tesi e pronti ad esplodere, sono la logica emanazione della persona che lui è, cioè un essere umano che gli americani definirebbero larger than life: esagerato, appariscente, troppo forte, troppo vivo.

Difficile dire in cosa possa evolvere Peter Sagan nel futuro che lo attende: “A cosa serve pensare cosa ne sarà di me tra due o tra vent’anni?”
Molto più semplice intuire invece cosa desideri, Peter Sagan, dal futuro che lo attende: “Vorrei vincere tutte le corse. Vorrei vincere tutto. La vittoria è la mia essenza, in questo mondo”.

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