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Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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8 min readNov 9, 2016

Copertina di Eleonora Eleuteri

Una sera del 2003, a casa di uno zio. Mio cugino Enrico ha appena sintonizzato la tv, un tubo catodico grande quanto un ripostiglio, acceso su Canale 5. C’è la Champions League, gioca la squadra italiana con le divise a strisce verticali rosse e nere. Il risultato è di 2 a 2.

La prima voce che mi arriva all’orecchio è quella di Aldo Serena. Sta criticando un passaggio sbagliato. Non doveva fare così, c’era quell’altro libero sul lato opposto. Mancano pochi istanti alla fine della gara e a riprendere il filo della cronaca arriva Sandro Piccinini, che descrive l’azione, condendola con le sue impressioni.

“Forse c’è la forza per un ultimo assalto”, dice.

E infatti i rossoneri ci provano, Maldini fa un lancio “alla maledetta”, come ama dire Sior Gualtiero, un tizio che legge ogni mattina la Gazzetta nel bar dove faccio colazione. Il lancio arriva ad Ambrosini, che usa la testa e prolunga la palla verso il centro dell’area. Lì c’è un rapace di nome Inzaghi che si affida al guizzo e s’inventa un pallonetto a scavalcare il portiere.

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La palla arriva sui piedi di Jon Dahl Tomasson e il Milan passa clamorosamente in vantaggio per 3 a 2 contro l’Ajax. Piccinini non contiene l’entusiasmo, invadendo le case degli spettatori al grido di “reteee!! Reteee!!” accompagnato dal celebre “incredibileee”. Di quella sera ciò che mi è rimasto è proprio la voce del cronista romano. La cosa più importante, quella impressa nella memoria, non è un gesto sportivo bensì l’apologo eccitato della sua descrizione.

Che poi, i ricordi non son più quelli di una volta. Perché oggi la tecnologia ci fornisce l’accesso veloce, incondizionato e spesso gratuito a informazioni e dati del passato.

Ti basta scrivere su YouTube “piccinini finale manchester” (le maiuscole non vengono riconosciute dall’algoritmo di ricerca, dunque sono superflue), per riascoltare il commento esagitato del cronista al miracolo compiuto da Sheringham e Solskjaer in soli tre minuti di gioco, allo scadere di partita. Oppure potete scrivere, come ho fatto io, “redondo tunnel champions”, per scoprire che il numero di prestigio del giocatore argentino, sempre in Champions League, di nuovo protagonista il Manchester, non è il prodotto della vostra mente calcistica, è successo davvero.

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Internet oggi ti permette di rivivere la storia e in un certo senso il problema è proprio questo. La fregatura di YouTube risiede paradossalmente nella sua autenticità di cronaca. Anche a distanza di tempo ci mostra l’accadimento passato, con invidiabile precisione e privo di filtro alcuno. Ma nella nostra testa, nell’angolino dove il cervello l’ha relegato, quell’avvenimento si era impolverato subendo giocoforza una parziale sfocatura. Quella reminiscenza era atta a soddisfare perciò non tanto la funzione meramente cronachistica, col tempo distorta, bensì il ritorno di una sensazione, un’atmosfera.

E YouTube ce l’ha negata. L’atmosfera viene sostituita dalla verità del fatto così come s’è svolto. Il tunnel di Redondo rimane splendido, ma riguardandolo dopo tanto tempo io per esempio ho notato che l’argentino era lento e macchinoso.

Caduto un mito, fine delle trasmissioni.

Ma è proprio di trasmissioni che dobbiamo parlare. In un contesto come quello attuale, dunque, nel quale tendenzialmente l’oggetto di un nostro possibile interesse è quasi immediatamente fruibile (e tanto maggiore è l’attenzione globale per quella determinata cosa, tanto più veloce sarà l’informazione annessa) ha ancora senso la telecronaca sportiva così com’è?

Facciamo un passo indietro. Orwell diceva “chi controlla il passato controlla il futuro”. Non si tratta di controllarlo, piuttosto di averne accesso. Conoscendo la storia possiamo valutare come siamo giunti al presente e ragionare sul futuro. Se guardiamo all’ambito della telecronaca sportiva, ci accorgiamo che non abbiamo mai assistito a un vero e proprio percorso evolutivo. Potremmo dire che ha subito più o meno marginali variazioni sul tema, non molto di più.

Tutto è cominciato con Nicolò Carosio. Con gli anni Cinquanta e l’avvento della televisione.

La telecronaca di Carosio aveva uno stile preponderante che riempiva lo schermo e sovente andava per i fatti suoi, avulso dalle immagini. Né Carosio né gli spettatori erano abituati al rapporto di interconnessione, meglio ancora di sincrono, tra audio e video.

La scarsa qualità del segnale televisivo dell’epoca fa poi la fortuna della telecronaca, imponendone la necessità d’esistere. Carosio crea un mito, un precedente archetipico e una forma dogmatica di fare il commento di gara.

Secondo alcuni è proprio da questo che si genera l’assenza di una vera evoluzione del ruolo di telecronista. Aldo Grasso intelligentemente descrive tre periodi cardine: ciclo Carosio, ciclo Piccinini, ciclo Caressa, nei quali possiamo anche notare che uno è la semplice prosecuzione dell’antecedente e così via, con poche incisive varianti.

In Rai sono rimasti ancorati per anni a un modo “educato” e professionale di fare telecronaca, con Martellini e Pizzul a costituire la spina dorsale. L’avvento nei Settanta delle tv commerciali e lo sdoganamento dell’informalità spianano però la strada a una cronaca più coinvolta, emozionale che è sfociata, con miglior fortuna, in veri e propri “casi televisivi”. La “sciabolata morbida” di Piccinini la conoscono tutti ed è il frutto più compiuto di una stagione televisiva di grande cambiamento. Tale era e tale è rimasto oggi, come un marchio di fabbrica, l’elenco di frasi a effetto del commentatore romano. Ritornato da qualche anno al timone delle telecronache con Mediaset Premium, Piccinini ha semplicemente riportato in campo se stesso, con più enfasi di una volta (su YouTube trovate diversi esempi, generalmente caricati da un suo cultore come Dampyr117), addirittura stereotipando alcune delle sue espressioni più efficaci, creando dei tormentoni e ripetendo praticamente la stessa telecronaca quasi ogni volta, come a inserire uno spettacolo nello spettacolo per i cultori del suo stile.

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Poi è stata la volta di Caressa il quale, dopo anni di serio lavoro dapprima su Tele+ e successivamente su Sky, si può dire che abbia raggiunto l’apice della notorietà con i Mondiali del 2006. Per un attimo si è creduto quasi di essere di fronte a un nuovo, possibile futuro per la telecronaca calcistica italiana. In quell’occasione Caressa dosa infatti bene l’emozione alternandola alla qualità del commento, coadiuvato dai tecnicismi compassati e puntuali di Bergomi. La pura descrizione delle azioni lascia lo spazio a una più complessa analisi dell’evento, con uno scambio d’opinioni tra i due cronisti e l’aggiunta di curiose informazioni collaterali.

Purtroppo si è trattato di un caso isolato. A parere di chi scrive il caressismo, dopo lo straordinario exploit del mondiale ha prodotto più brutte copie che altro. E si è tornati a un generale, anacronistico descrivere delle immagini che la mia tv quaranta pollici in sottocosto del negozio d’elettronica mi fa vedere già molto bene.

Innanzitutto dobbiamo allora notare uno scollamento tra l’evoluzione del modo di rappresentare l’ambito calcistico e il suo raccontarlo. Semplificando al massimo: a livello visivo il numero di telecamere presenti negli stadi è aumentato anno dopo anno e oggi se ne contano mediamente dodici o quattordici per singola partita, gli standard minimi del segnale video hanno raggiunto l’alta definizione nella quasi totalità dei casi, i televisori sono sempre più piatti e sempre più grandi, li appendi sul muro a fianco alla stampa del Rembrandt e fai un figurone.

La Rai in occasione di Euro 2016 ha reso disponibile qualcosa che Sky fornisce da molto tempo: il contenuto interattivo. Grazie a un cavo ethernet oggi le tv possono essere collegate a internet. Il gioco è fatto, clicchi il tastino blu (i cronisti Rai non hanno smesso di ripeterlo nemmeno per un secondo) e accedi ai tabelloni, i risultati, le news e soprattutto gli highlights delle partite precedenti e di quella che si sta svolgendo.

Hanno fatto un bel gol e non ti mostrano più il replay? Tastino blu, voilà.

Può sembrare una cosa da poco, invece è una svolta fondamentale a Viale Mazzini: hanno alfine capito che ai contenuti giova la continuità, la multimedialità e un buono standard video, piuttosto che perdere utenti destinati in caso contrario al solo YouTube. Se il contenuto audiovisivo già c’è, disponibile sul canale ufficiale un istante dopo l’avvenimento, diventa innecessaria la corsa del ragazzetto a caricare il video, fatto col cellulare, della propria tv mentre manda in onda il primo, fondamentale replay dell’azione (li chiamano bootleg, in gergo. Ne è piena la rete).

Capiamoci: se ho i contenuti quasi immediatamente disponibili, se posso rivedere i replay e, soprattutto, posso farlo con uno standard televisivo elevato, è davvero necessaria la voce di un cronista che mi dica che la palla ce l’ha tra i piedi Cristiano Ronaldo?

Lo vedo da solo, in alta definizione.

È davvero necessario che mi dicano che Rooney ha appena verticalizzato a favore di Vardy? Eccome se l’ho notato, li ho riconosciuti perché tra l’altro l’inquadratura è ravvicinata, grazie alle telecamere semoventi e ancorate alla fitta rete di cavi predisposta sopra il campo da gioco.

Onestamente, per quanto stranisca vedere una partita senza commento, al pari è assodato come stia stancando ascoltare una telecronaca “classica”. E il tentativo di ammodernare il contributo giornalistico, arricchendolo con il commento tecnico in molti casi ha prodotto risultati ben diversi dallo sperato. Indubbiamente, nei casi peggiori, è stato fatto un errore a monte, con la convinzione che grandi campioni del passato siano, già solo per questo status, altrettanto bravi nel gestire una lezione calcistica o un lungo, articolato commento tecnico.

Molti ex calciatori non sono giornalisti né conduttori e la dialettica non è per tutti.

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Per capire il moderno calcio in tv dobbiamo fare i conti con i numeri, ché quelli non sbagliano. Non essendo più uno sport e basta, ma anche un business multimilionario, dovrebbe esserne rivista la rappresentazione mediatica. Lo spettacolo è già sfarzoso, nonostante la connotazione sportiva lo incastri in regole e ritmi abbastanza ferrei. Ma lo stadio è un grappolo di telecamere che si mescolano e s’intersecano in controcampi e dettagli al rallentatore di rara precisione. La partita diventa sempre più un saggio di tecnica cinematografica, con i primi piani dei calciatori, le sfocature dello stadio alle loro spalle, il particolare in zoom estremo del pallone sotto le gambe del difensore.

La semplice e precisa descrizione dei fatti (che gli spettatori già vedono con i loro occhi) fallisce, appare inutilmente tautologica di fronte a una reiterazione dello sguardo, con i replay da diverse angolazioni ad esaurire ogni sete di visione.

È un po’ come l’effetto di certi film che, incapaci di raccontare pienamente per immagini, vengono imbottiti di “spiegoni” in voice over.

Chi guarda il calcio oggi non ha necessariamente bisogno di spiegoni. Le azioni le vede da solo su schermi televisivi mediamente grandi e, se non sa chi è il numero ventidue della Polonia, sblocca lo schermo del suo smartphone e digita la richiesta sul browser. Google risponderà immediatamente. Nel contempo potrebbe apprezzare, invero, un’analisi delle azioni in tempo reale, un commento e una valutazione.

E non parlo dell’opinione di un ex campione. Sennò siamo al punto di partenza.

La vera sfida per il futuro del calcio in tv è probabilmente quella di alzare un po’ più in alto l’asticella a) dello spettacolo visivo e b) dell’interazione dell’utente. Che è una frase in politichese, dice tutto e non dice niente. Ma se avessimo già le soluzioni, faremmo dell’altro nella vita.

La partita di calcio è un evento mediatico. Le gare della nazionale italiana fanno oltre il 50% di share, anche alle tre del pomeriggio. Numeri da capogiro. È intrattenimento, è spettacolo. I calciatori si pettinano prima di entrare in campo, quasi tutti si depilano gambe e braccia e tatuano il proprio corpo. Sono prima di tutto cartelloni pubblicitari di noti brand commerciali. A fine primo tempo, spezzando qualsiasi concentrazione o clima di gara, capitani e marcatori vengono placcati dai giornalisti a bordo campo per un’intervista intermedia e fanno domande sulla formazione. Sky segue le squadre quasi fin sotto la doccia.

Un evento di spettacolo. Iniziamo a trattarlo come tale.

Non serve leggere un trattato sul linguaggio audiovisivo per capire la differenza che intercorre tra il vedere una partita allo stadio e guardarla in tv. Nel secondo caso, molto banalmente, è filtrata da scelte registiche che, come grammatica insegna, focalizzano lo sguardo dello spettatore su dettagli e situazioni differenti in base all’inquadratura scelta. Realtà filtrata.

Le cose sono due: o trascini sempre di più lo spettatore dentro lo spettacolo visivo, con la conseguente necessità di rivedere anche la telecronaca che, altrimenti, si allontanerebbe ancor di più dalle immagini, oppure gli consenti una maggiore interazione/indipendenza, con la possibilità se lo desidera di scegliersi le inquadrature da solo. La telecronaca a quel punto, così come è fatta oggi, non ha più senso. A meno di togliere “cronaca” dal termine e sostituirlo con qualcosa di più interessante.

Articolo a cura di Massimo Versolatto

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