Volley, fortissimamente Volley l’oro

Crampi Sportivi
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7 min readJul 23, 2014
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Provate a versare del sale dentro al caffè e bevetelo. Basta anche solo un sorso. Sì, già immagino la vostra espressione. La faccia che si accartoccia su sé stessa, gli occhi che si chiudono, la bocca che si serra. Non è amaro, è proprio disgusto. È questa strana e orribile sensazione che deve aver provato la nazionale di pallavolo italiana dopo che il Brasile l’ha asfaltata nella semifinale

della World League 2014 di Firenze. Una sensazione che, ahinoi, negli ultimi anni sembriamo conoscere molto bene. I tempi in cui l’Italia del volley era la squadra più forte del mondo sono belli che andati. Dal 2001 in poi collezioniamo solo podi e cocenti delusioni (tranne, almeno quelli, due Europei vinti).

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Ivan

#nonvinciamomai[/caption]

Eppure stavolta i tempi sembravano maturi per tornare a vincere una World League che ormai sfugge dal 2000. Una squadra apparsa matura in fase di qualificazione, che gioca davanti al pubblico amico del Mandela Forum: c’erano tutte le componenti, sportive e ambientali per il grande colpo. Guardando l’albo d’oro, abbiamo vinto 8 volte — una in meno del Brasile -, ma negli ultimi 14 anni siamo arrivati in finale solo due volte (l’ultima nel 2004). Diversamente da noi la Seleçao ha trionfato dal 2003 al 2007 per 5 anni consecutivi e si è ripetuta nel 2009 e nel 2010. Anche i brasiliani non vincono da 4 anni — compresa la finale persa domenica con Team USA -, ma sono arrivati fino in fondo tre volte su quattro.

Che fine ha fatto quella nazionale italiana che dominava il mondo? Purtroppo il tempo della pallavolo è spezzato in due epoche, a cavallo fra il nuovo e il vecchio millennio. Ce lo dividiamo noi e loro. L’Italia è stata eletta squadra del secolo scorso, il Brasile ci ha soppiantato in tutto e per tutto, togliendoci ogni cosa. La finale di World League del 2001 è stata lo spartiacque: Brasile batte Italia 3–0 (25–15; 25–22; 25–19), aprendo così l’era di coach Bernardinho (ancora saldamente CT) e dei campioni Gustavo Endres e André Nascimiento.

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Quel mattacchione di Bernardinho

Quel mattacchione di Bernardinho[/caption]

Da lì in avanti, per la nostra nazionale, è stato tutto un riciclarsi, un provarci, un ritornare a abitudini consunte e vecchie convocazioni. L’addio di Fei e il suo ritorno in Azzurro, il rapporto travagliato con Vermiglio e Mastrangelo, la gestione di Montali e l’andirivieni di Anastasi. Nel nostro medioevo pallavolistico vinciamo anche due Europei, ma il successo del 2005 resta l’ultimo trofeo sin qui ottenuto.

Nel 2011 l’Italia decide di cambiare, affidando la panchina a panchina a Mauro Berruto, tecnico emergente che si è fatto le ossa all’estero fra Finlandia e Grecia. Quella di Berruto è una pallavolo diversa, ragionata, mentale, filosofica e ha un concetto al centro di ogni suo pensiero: la squadra. Il nuovo CT ha una visione a 360° dell’universo sportivo, è un manager a tutti gli effetti.

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Berruto chatta durante il match[/caption]

Personalmente è proprio per la fiducia che riponevo (e ripongo tutt’ora) in questo allenatore che ero convinto che questa fosse la volta buona per tornare in finale e provare a vincere l’oro. Il nuovo corso berrutiano, che ha in Travica e Zaytsev i suoi cardini, appariva davvero maturo per un’operazione del genere. Forse mi sono lasciato trascinare dall’entusiasmo delle sei vittorie consecutive nelle qualificazioni (le prime due contro il Brasile in casa loro) e ho sottovalutato le successive sei sconfitte, perché ormai eravamo già qualificati. Però l’Italia giocava bene, dominava l’avversario e soprattutto aveva in Ivan Zaytsev uno dei migliori giocatori del panorama mondiale.

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Zaytsev fa leva sui tabelloni per raccogliere al volo un pallone in tribuna

Zaytsev fa leva sui tabelloni per raccogliere al volo un pallone in tribuna[/caption]

La vittoria nell’apertura di Final Six contro i sempre ostici Stati Uniti e la successiva passeggiata sull’Australia, avevano fatto crescere la convinzione che fosse davvero il momento di tornare a scrivere la storia. La semifinale ci metteva di fronte un Brasile diverso dal solito: meno solido e fantasioso, più impreciso. In parole povere, battibile. L’errore più stupido che si commette in questi casi è sottovalutare la migliore scuola di pallavolo degli ultimi 15 anni. Detto, fatto. In semifinale, puntuale e ineffabile come Dio, arriva la batosta. Gli azzurri tradiscono le attese, forse schiacciati da una pressione eccessiva. Il Brasile di contro alza clamorosamente il livello del suo gioco, trovando una qualità assoluta nella regia di Bruninho (uno che tiene in panchina Raphael che ha vinto tutto con Trento, comprese due Champions e 4 Mondiali per club) e schiantandoci con la potenza di Lucas e Sidao, i due monumentali centrali. L’Italia manca in tutto: fallosa al servizio, imprecisa in ricezione, debole a muro. Un primo set di una bruttezza rara (perso a 11) e un attacco con le polveri bagnate: Zaytsev mette a segno il suo primo punto con il 6–5 del secondo set. Tutto sbagliato. Il resto della partita è un timido tentativo di reazione: perso a 23 il secondo set e a 20 la terza ripresa. Una bella bambola.

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Brasiiiiil

Brasiiiiil[/caption]

Fortunatamente un moto di orgoglio dell’Italvolley si è visto domenica, nella finalina valevole per il bronzo: secco 3–0 ai monocigli dell’Iran.

È una Nazionale che conquista l’ennesima medaglia, ma che viene rimandata ancora al grande appuntamento. Fra un paio di mesi ci sono i Mondiali in Polonia, vero grande obiettivo della stagione, poi comincerà il lento avvicinamento a Rio 2016: chissà che questo gruppo, tutto sommato giovane, non possa farsi le ossa e arrivare nelle migliori condizioni possibili all’appuntamento fallito fin qui anche dalla squadra più forte del secolo scorso.

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USA team gold medal

Gli Stati Uniti d’America[/caption]

L’oro della World League 2014 è andato agli Stati Uniti, al loro secondo successo. Gli stellestrisciati hanno battuto in finale il ben più quotato Brasile. Non se lo sarebbe aspettato nessuno, anche visto il torneo non certo esaltante degli americani. Eppure, questa strana nazionale ha vinto ancora. È infatti bene ricordare che Team USA non si avvale di un campionato professionistico nel suo paese (cioè, è come se l’Italia di calcio vincesse il Mondiale senza avere la Serie A) e i giocatori sono tutti prodotti del college o ragazzi che giocano all’estero. La nazionale si basa su due colonne portanti: Anderson, il più talentuoso (è il classico bellone sportivo che si fa la cheerleader più figa di UCLA) e Lee, un centrale di grande esperienza uscito dalle officine della GM dieci minuti prima di scendere in campo (avete visto che mani?!). In più coach Speraw può contare su Sanders, che è alto 1,95, salta quanto e più di Musersky (lo svogliato centrale russo di 2,18) e ha fatto una finale mostruosa da 24 punti; un talentuoso palleggiatore hawaiano (che per scomodità chiamiamo per intero) come Micah Makanamaikalani Christenson; Holt centrale roscio che giocava in Italia; un libero mezzo asiatico come Shoji; e due opposti intercambiabili: il capitano Rooney e Muagutuia.

Sanders

Riprendendo le parole di Berruto: “Il lavoro di noi allenatori? Trovare il primo giorno della preparazione dodici atleti diversi per lingua, cultura, razza, religione, modo di allenarsi e di intendere la pallavolo e creare una squadra che parla la stessa lingua, nella quale l’altruismo sia forza trainante. Permettere ai giocatori di crescere come atleti e come individui nel momento in cui consapevolmente decidono di subordinare loro stessi allo sforzo di gruppo”.

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Esatto. Gli USA hanno avuto tutte queste componenti, aggiungendo una tradizione pallavolistica che fa degli americani i migliori interpreti in fatto di difesa, coperture e rigiocate sulle free-ball. Quando Anderson e compagni si sono trovati di fronte a partite ad eliminazione diretta non hanno più sbagliato, battendo gli esuberanti iraniani in semifinale e imbrigliando la manovra bailada della Seleçao. Un muro dopo l’altro, senza inventarsi nulla di trascendentale, hanno disintegrato le certezze della squadra di Bernardinho. Bruno non ha trovato più le misure, Lucas non è mai passato, Lucarelli non è mai davvero entrato in partita. Il Brasile si è riscoperto improvvisamente falloso, gli USA hanno vinto con merito. Parafrasando il povero Vittorio Alfieri, sepolto proprio a Santa Croce in Firenze: Volley, e volley sempre, fortissimamente volley l’oro. 1,2,3: USA.

Matteo Santi. Mai laureato, cresce giocando a basket, lo abbandona per altezza insufficiente e si dà alla pallavolo. Sogna il Tour. Odia tutti quelli che scrivono “qual’è” e che dicono “cannottiera” e “carammella” @matteosanti_5

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