You’ll Never Walk Alone

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
Published in
5 min readOct 14, 2017

Jane Hardwick ne è sicura. Da giovinetta, non aveva ancora compiuto 20 anni, fu lei la prima a cantare You’ll Never Walk Alone in uno stadio di calcio. E non era Anfield Road, bensì l’Old Trafford, la roccaforte del grande nemico del Liverpool, il Manchester United. Insieme ai suoi colleghi della New Mills Operatic Society del Derbyshire, la Hardwick avrebbe intonato il brano in uno dei match giocati dai Red Devils dopo la tragedia del 6 febbraio 1958. Quando i Busby Babes, i bambinetti talentuosi e vincenti allenati da un apparentemente placido signore scozzese, antesignano di Alex Ferguson, furono decimati da un assurdo incidente aereo capitato sulla pista dell’aeroporto di Monaco di Baviera.

Quale pezzo migliore, così toccante ed evocativo, per rendere omaggio a quella squadra bella e sfortunata? La scelta non poteva che cadere su You’ll Never Walk Alone.

Secondo la signora Jane numerosissimi tifosi dello United si unirono in coro, facendo così inconsapevolmente la storia. Almeno quella del calcio inglese. Questa versione dei fatti è stata riportata dalla stampa di Manchester nel 2007. I dubbi — diciamo pure tanti dubbi — rimangono. Poco da obiettare sulla coincidenza che vedeva la Hardwick alle prese con le prove del musical Carousel, da dove è tratta You’ll Never Walk Alone. Tanto da obiettare sul resto. Come mai la signora Jane non rammenta in quale partita si fosse svolto l’episodio? Perché è l’unica ad aver riferito dopo così tanto tempo quanto accaduto quel pomeriggio durante un match di football, a cui verosimilmente erano presenti decine di migliaia di persone?

Forse, più banalmente, è vera la versione “ufficiale”: You’ll Never Walk Alone fu interpretata per la priva volta sugli spalti dell’Anfield Road Stadium di Liverpool il 19 ottobre del 1963, in occasione di un incontro di campionato vinto 1–0 con il West Bromwich Albion. Prima dei match era uso mandare la Top Ten della chart inglese partendo in ordine ascendente. La cover dei Gerry & the Pacemakers era in prossimità della numero uno in classifica (ci sarebbe arrivata dieci giorni dopo) e quindi andò tra le ultime.

Fu subito adottata dalla Kop, tra lo stupore e la gioia di Gerry Marsden, che era lì, seduto nella tribuna principale in un brodo di giuggiole. “Diavolo, stanno cantando la mia canzone” disse poi alla stampa inglese. Sì, e l’avrebbero continuata a cantare anche quando non era più nella Top Ten.

Lo scrittore David Peace, tra i più stimati della sua generazione, nel suo recente libro Red or Dead si è concesso una licenza poetica, retrodatando l’esordio assoluto in una sfortunata semifinale di Coppa d’Inghilterra contro il Leicester City tenutasi il 27 aprile sul campo neutro dell’Hillsborough di Sheffield. Quella, stando alla penna dell’autore di The Damned United e di GB84 fu una dimostrazione d’affetto in coincidenza di un momento storto, come ce ne sarebbero stati pochi da lì in poi.

Il merito di anni, anzi decenni di trionfi va riconosciuto al protagonista del libro di Peace: William Shankly. Bill per gli amici, che nel suo caso dal 1959 fino al giorno della sua prematura dipartita nel 1981 furono tutti, nessuno escluso, i tifosi del Liverpool.

All’inizio fu dura. Molto dura. Erano lontani anni luce i fasti di inizio secolo, con i quattro titoli fra il 1900 e il 1923 e l’affermazione nel primo campionato dopo la fine della guerra, nel 1946–47. Nel 1954 i Reds erano retrocessi in Second Division, come allora si chiamava la serie cadetta del calcio inglese. Nell’ultima annata nella massima serie avevano rimediato umiliazioni a destra a manca, compreso un devastante 1–9 contro il Birmingham City. Nelle cinque campagne nell’equivalente della nostra Serie B, sull’Anfield Road aleggiò il fantasma della rassegnazione. La squadra era talmente mal in arnese che sembrava impossibile risollevarne le sorti.

Per invertire questo trend negativo serviva una bella sterzata. Serviva un condottiero in panchina. Serviva Bill Shankly.

Quando fu nominato manager dei Reds, il tecnico scozzese affermò che avrebbe plasmato “una squadra invincibile, così dovranno mandare un team da Marte per batterci”. Una frase pretenziosa, una roba alla Mourinho prima ancora che lo Special One vedesse la luce in quel di Setúbal. Anche perché si partiva da una base di lavoro molto scarna: in cassa di soldi ce ne erano pochini, di brocchi in squadra fin troppi. Per non parlare dei campi d’allenamento, pessimi e con strutture che definire spartane finivi per fargli un complimento e uno stadio, l’Anfield Road, che aveva anch’esso visto giorni migliori.

L’esordio fu da incubo, roba da far tremare le vene dei polsi. A Liverpool si presenta il Cardiff City, non il Real Madrid o il Manchester United, e ai poveri Reds rifila quattro goal. A zero. Di strada da fare ce ne era, eccome… Lo scozzese si rimboccò le maniche, rivoluzionando la squadra. Ci mise tre anni per riportare i Reds in prima divisione, cancellando qualche diffidenza iniziale di una parte della dirigenza. Ora sembra una bufala, quasi come voler dare dello scarsone a Leo Messi, ma dopo una serie di risultati negativi qualcuno arrivò addirittura a chiedere la sua testa…

Il dato di fatto incontestabile era però che mentre il Real Madrid infilava il suo incredibile filotto di cinque Coppe dei Campioni consecutive, il Liverpool non solo non giocava in Europa, ma non figurava nemmeno nell’élite del calcio inglese. Con gli anni le cose sarebbero cambiate, non tanto sul versante della Casa Blanca, ma su quello dei rossi. All’alba degli anni ’60, anche sul fronte del predominio cittadino, erano i cugini dell’Everton a fare la voce grossa. Nel 1962–63 i Toffeemen vinsero il campionato con la squadra composta dai chequebook champions perché di soldi da investire, evidentemente molto bene, ne avevano parecchi.

Il Liverpool in quella stagione da neo-promossa se la cavò in maniera egregia, piazzandosi all’ottavo posto. Ma quello era solo l’antipasto, già 12 mesi dopo i Reds si ritrovarono a celebrare un titolo atteso da quasi 20 anni con una colonna sonora impareggiabile come You’ll Never Walk Alone.

Articolo a cura di Luca Manes

--

--