Zamparini presidente dell’Arsenal

Crampi Sportivi
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3 min readApr 17, 2016

I. Zamparini presidente dell’Arsenal

Arsène Wenger da Strasburgo, pianeta Terra, settore spaziale 2814, giugno 2016. Da venti anni Arsène è il punto fermo della panchina dell’Arsenal. Lì ha vinto tre titoli nazionali, 6 coppe di lega e 6 Charity Shield. Un numero imprecisato di campioni passati sotto la sua guida, un numero imprecisato di trofei sfumati davanti al suo sguardo accigliato, tanti i bocconi amari da dover digerire, ma altrettante le volte in cui si è rimboccato le maniche e ha ricominciato da capo, forte della fiducia dell’ambiente, anche nei momenti difficili. Non ha mai dovuto rendere conto dei suoi errori rimettendoci il posto, bensì ricominciando da capo, per migliorare.

Come un Sisifo innamorato della sua roccia, con la possibilità di arrivare talvolta in cima, senza rotolare malamente a valle. Arsène-Arsenal, two become one, no matter what. Per quanto ne sa lui, il giugno del 2016 è solo un altro giugno di pianificazione e riflessione, ci sono cose da sistemare e cose da rivedere, ma anche cose da salvare. Finché il suo smartphone non vibra, ad annunciare un sms.

Il numero del mittente non è salvato nella sua rubrica, ma è preceduto da un +39, è scritto in un inglese povero ed è inquietante: “WUOTCH YOR BACK, firmato BALLARD”. Arsène sta ancora lì a riflettere sul suo significato mentre il telefono vibra di nuovo, stavolta è una chiamata, il numero è quello della società.

- Eccolo.

- Pronto Arsène, hanno venduto la società.

- Ma come? A chi?

- A un signore italiano.

- Ma così, senza preavviso.

- Ma che ne so, che ti devo dire, è un incubo. Il nuovo presidente ti vuole incontrare.

- Mh.

- Ma t’ho disturbato? Tutto ok? Hai una vocetta.

- No no, tutto ok. Arrivo, arrivo.

- Considera che il presidente sta qui, te lo passo.

- Vabbe’ ma sto arrivando.

- Eh ma vuole parlarti ora.

- E passamelo.

- Pronto Wenger?

- Sì?

- Non so se gliel’hanno detto, ho rilevato la società Arsenal Calcio.

- Eh, ho appena saputo. Ci vogliamo incontrare?

- Sì, venga, venga, la voglio rassicurare sul suo futuro.

- Ah, bene.

- Sì, lavoreremo bene assieme, vedrà.

- La ringrazio, lo spero, comunque piacere, Arsène.

- Piacere, Maurizio Zamparini.

II. La fuga da Trigoria e il buco nero nel cielo di Stamford

La vita secondo la stampa sportiva romana è eterna separazione. Se uno le desse retta Nainggolan andrebbe sicuro al Chelsea, Paredes al Chelsea, Pjanic al Chelsea, Rudiger al Chelsea, Sadiq all’Arsenal, El Shaarawy al Milan, Digne al Psg, De Rossi in America, Federico Ricci all’Anderlecht, tua madre tornerebbe a casa dai nonni, Salah via per motivi diplomatici, Manolas via non ora, ma sicuro l’anno prossimo, e probabilmente al Chelsea. Tanto più che Sabatini va al Chelsea. Sabatini sta già lavorando per il Chelsea. Conte sta già lavorando per il Chelsea. Il Chelsea sta già lavorando per il Chelsea. Clinton ha una figlia di nome Sabatiny. Anche lei andrà al Chelsea.

Non sarebbe una sessione di mercato, ma un rompete le righe da uscita infrasettimanale con gli amici, una di quelle dopo i 30 anni. Della serie vabbe’ la birra ce la siamo presa, mo’ vado che domani c’ho mia suocera da portare a fare le analisi. Ovviamente le analisi la suocera le farebbe al Chelsea.

Ora, senza entrare nei particolari, non fosse mai arrivata la notizia della querelle (o presunta tale) del post Atalanta-Roma tra Totti e Spalletti, quanto sarebbe stato difficile trovare un altro giocatore da mandare al Chelsea oggi? Quanto sarebbe rimasta deserta la Roma, in proiezione, già a un mese abbondante dalla fine del campionato? Quanto affollato il Chelsea? Quante volte abbiamo detto Chelsea finora?

Perché da qui ad agosto, con tutte le volte in più in cui verrà nominato il Chelsea, in termini di movimenti di mercato, la realtà collasserà su sé stessa fino ad aprire un buco nero nel cielo dello Stamford Bridge, nel quale verranno risucchiati tutti: allenatori, giocatori, direttori sportivi, tifosi, giornalisti, tutti quelli che sono stati accostati o hanno anche solo letto o pronunciato una volta la parola Chelsea.

Risucchiati dalle loro abitazioni e risputati sul prato verde del Bridge.

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Già lo vediamo, il povero Antonio Conte, lamentarsi della difficoltà di gestire 40, 50, 60, 200 persone tra addetti ai lavori, atleti e appassionati, sputacchiate sul campo dello Stamford senza soluzione di discontinuità, quando lui invece aveva ordinato solo un 3–5–2. Già lo sappiamo come reagirebbe e, nell’incubo, sarà difficile dargli torto.

Dis is not football.

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