Ecco come la PA italiana soffoca il capitale umano

Gianluigi Cogo
PA digitale
Published in
7 min readOct 8, 2016

Originariamente pubblicato su Agendadigitale.eu l’8 Luglio 2016

No, non vi sto proponendo una recensione del film di Virzì, anche se non sarebbe male analizzarne i risvolti sociali e psicologici per capire lo stato di salute del paese.

Semplicemente vi voglio tediare un po’ con alcune considerazioni sul valore della persona e delle sue capacità riferite al contesto digital che trattiamo ampiamente su questa testata.

Abbiate pazienza, lo so che siamo tutti concentrati sulle vacanze ma credo che ripensare un po’ a noi stessi, alle nostre capacità e alle nostre passioni, potrebbe ricaricarci un po’ per la ripresa autunnale.

Dunque, alcune notizie molto recenti mi confermano che la strada è sempre più ripida e la vetta ormai non si intravede quasi più a causa delle nebbie che la avvolgono.

La prima notizia è una non notizia. Ovvero un derivato dalla lettura analitica del rapporto Agcom 2016 e, in particolare, una considerazione contenuta a pag. 16 del rapporto stesso, che conferma un dato di fatto più che una percezione diffusa: ‘Per catturare pienamente i benefici economici e sociali dell’era digitale è necessario intervenire non solo sui problemi di infrastrutturazione e di accesso ma anche sul fronte della domanda. Sotto questo profilo, il principale ostacolo allo sfruttamento delle potenzialità connesse all’utilizzo di Internet è rappresentato dalla carenza di competenze digitali’.

La seconda, terza, quarta, quinta mettetele voi in ordine di importanza: Tangenti all’Expo? Faccendieri alle poste? Giocolieri del cartellino in Calabria?

Dunque proviamo a collegare le varie notizie. Da un lato abbiamo il solito grido d’allarme che riguarda l’incapacità di percepire il nuovo e sfruttarne le enormi potenzialità (AGCOM). Dall’altro la conferma che tutto resta immutato e la Pubblica Amministrazione è solo una grossa carcassa da spolpare per soddisfare gli appetiti dei soliti furbacchioni.

Da questo quadro di desolazione emerge la consapevolezza che il problema non sono le tecnologie, non sono le leggi, non sono i processi e forse nemmeno l’assetto organizzativo. Il vero problema del paese è il ‘CAPITALE UMANO’.

Come riconfermato anche da Agcom, le competenze sono importanti, direi fondamentali, ma permettetemi una digressione su questo punto: quali competenze? Solo quelle digitali?

Certo, su questa testata abbiamo più volte richiamato l’attenzione sul tema e abbiamo sostenuto che i manager dovrebbero acquisire maggiori competenze proprio sui processi e sulle tecnologie associate alla nuova rivoluzione industriale. Quella digitale, appunto.

Ma gli attuali manager pubblici hanno questa percezione? Secondo me no!

Il punto è molto semplice, per gli attuali manager le competenze che contano davvero sono quelle riferite agli adempimenti a cui sono chiamati e che generano poi quel sentimento diffuso, brillantemente definito dall’amico Carlo Mochi Sismondi come burocrazia difensiva.

La burocrazia difensiva, figlia della cultura dell’adempimento, ha prodotto nel tempo una serie di manager altamente specializzati che operano prevalentemente nei settori legali, amministrativi e contabili della Pubblica Amministrazione.

Questi manager sono quasi sempre di alto profilo e hanno competenze certificate e verificabili anche con l’impegno che profondono. Infatti, grazie a questa impostazione, la Publica Amministrazione italiana, riesce a produrre una tale quantità di leggi, regolamenti e codici che non ha pari a nessun’altra latitudine del pianeta.

L’effetto è sotto gli occhi di tutti, anche perchè tutti i governi e i vari Ministri della PA che si sono succeduti negli anni son stati costretti ad affrontare l’ennesima Riforma della PA, utilizzando i soliti mantra:

. semplificazione
. digitalizzazione
. trasparenza
. ecc.

Ora però mi chiedo, con molta modestia e ingenuità, come possano gli stessi burocrati che giornalmente incartano con leggi, decreti, regolamenti e giurisprudenza ogni processo e servizio della Pubblica Amministrazione occuparsi anche della riforma necessaria a sovvertire e bonificare gli effetti del loro operato.

Come possono, schiacciati nell’adempimento quotidiano, non perdere di vista i veri obiettivi delle regole? Ovvero l’efficacia dell’operato generale del Civil Servant nei confronti di chi è il servito.

Come è possibile che, con un impianto regolatorio di simile portata e con i controlli attuati a tutti i livelli, possano ancora succedere fatti come quelli sopra riportati, che mettono alla gogna tutta la Pubblica Amministrazione e quel poco di reputazione che ancora rimane?

Ripeterò sino alla noia che questi manager son bravi, ma son bravi solo nel loro specifico campo, sul quale hanno competenze da vendere o, come dicono gli esperti di organizzazione, dimostrano grande confidenza con le ‘hard skills’ possedute.

Passiamo ora a una definizione basica del termine hard skills: ‘Nel mercato del lavoro, si definiscono ‘hard skills’ le abilità che riguardano le procedure tecniche o di amministrazione connesse al core business aziendale. Gli esempi includono il funzionamento delle macchine, i protocolli, le procedure finanziarie e amministrative. Queste abilità sono in genere facili da osservare, quantificare e misurare. Inoltre, sono facili da apprendere, in quanto solitamente è un bagaglio nuovo di zecca per chi impara ed è difficile da disimparare’ (il testo migliore che ho trovato in rete e che viene proposto dal Portale lavoro della Liguria).

Dunque ci siamo, è la fotografia della Pubblica Amministrazione italiana e dei manager che la dirigono. Grande competenza di nicchia, tutta orientata all’adempimento e difficilmente attaccabile e, allo stesso tempo, misurabile.

Ma per fare una riforma ci vuole ben altro. Bisognerebbe affrontare i grandi processi di riforma e di cambiamento con un approccio di tipo olistico: ampliando lo spettro di conoscenze e competenze in modo che tutto il sistema sociale, industriale, economico, culturale, ambientale, ecc. siano al centro del pensiero e dell’attenzione manageriale mentre, allo stato attuale, la cultura dell’adempimento garantisce solo una grande attenzione al contesto e alle competenze regolatorie.

Mancano dunque le ‘soft skills’ o ‘competenze trasversali’ che permettano al manager di approcciare ogni problema e ogni opportunità con la visione sistemica.

Ma cosa sono le soft skills? Proviamo anche qui a dare una definizione, o meglio a trovare sul web quella più facilmente comprensibile (portale Studentslife, in questo caso) e dunque basica: ‘Le soft skills sono competenze riconducibili all’area dei comportamenti organizzativi: ad esempio la leadership, l’efficacia relazionale, il teamwork, il problem solving.

E’ possibile dividerle le soft skills in grandi categorie:

1) le cognitive (come ragiono: visione sistemica, problem solving, analisi e sintesi…),

2) le relazionali (come mi rapporto con gli altri: comunicazione, gestione dei rapporti interpersonali, orientamento al cliente, collaborazione, teamwork, negoziazione…),

3) le realizzative (come traduco in azione ciò che ho pensato: iniziativa, proattività, orientamento al risultato, pianificazione, organizzazione, gestione del tempo e delle priorità, decisione…),

4) le manageriali (come agisco il ruolo di capo: leadership, gestione e motivazione dei collaboratori, capacità di delega…).

Esistono poi le competenze trasversali, spesso abilitanti rispetto alle altre soft skill: flessibilità, tolleranza allo stress, tensione al miglioramento continuo, innovazione’.

Ovviamente queste competenze sono difficili da osservare, quantificare e soprattutto misurare. E sono difficili da acquisire se non si cambia l’intero assetto educativo in una prospettiva più multidisciplinare, rivedendo inoltre le procedure di accesso ai ruoli di vertice della Pubblica Amministrazione che ancora si concentrano quasi esclusivamente sul possesso di titoli di studio molto hard e curricula dimostrativi di una cultura dell’adempimento oserei direi esclusiva se non totalizzante.

L’approccio olistico prevede altresì che fra le competenze trasversali ci siano anche quelle digitali. Oggi un manager deve pensare ‘digital first’ e chiedersi se ogni problema e/o opportunità non possano trarre beneficio soprattutto dai paradigmi digitali.

A questo proposito va pensato un processo di valorizzazione del capitale umano della Pubblica Amministrazione che preveda un acculturamento diverso, meno legato a logiche di adempimento e più di visione complessiva.

Per farlo bisogna rompere i vecchi schemi legati in primis alla formazione che va sostituita con tecniche di coaching inclusive e di forte contaminazione dall’esterno.

Proprio su questo punto nelle ultime settimane ho avuto modo di dibattere in occasione di due importanti eventi sulle competenze digitali. Il primo in occasione della presentazione del Master per la PA di H-Campus e il secondo in occasione del piano di acculturamento digitale dei manager della Regione Sardegna.

In entrambi i casi mi è stato chiesto di descrivere chi sia l’eLeader, e soprattutto quali competenze debba possedere.

Se dovessi rispondere a questa domanda in modo strutturato direi che l’eLeader deve avere la capacità di utilizzare al meglio le tecnologie digitali all’ interno dell’ organizzazione e di incentivare l’adozione di processi e tecnologie in ogni specifico settore della stessa. La sua professionalità non deve limitarsi a un settore specifico ma deve essere il risultato di un’integrazione continua di competenze apprese attraverso relazioni e contaminazioni dal mondo esterno.

Però questo non l’ho detto. Ho usato questa immagine di Margot Gabel che vi propongo.

Poi ho detto a tutti i dirigenti che mi ascoltavano: uscite, levatevi le scarpe e iniziate un cammino di conoscenza e ascolto perchè, là fuori, il mondo è già cambiato. Ora tocca a voi cambiare la Pubblica Amministrazione.

Originally published at www.agendadigitale.eu.

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