Juan. Un capo andaluso

Crossroads
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8 min readNov 9, 2016

di Luca Limitone

Entro nell’ufficio stremato dal sole, sudato, stanco e affamato. Sono in piedi da otto ore, è appena finito il mio primo giorno di stage e Juan, il boss, mi ha convocato urgentemente nel suo ufficio.

“Que tal Lucas?” mi fa lui con fare sornione, come chi è abituato a capire le persone con uno sguardo solo. Mi sento soppesato, come un trancio di carne sulla bilancia.

“Tutto bene. Comunque mi chiamo Luca, senza la S in fondo.”

“Ok, Lucas, come preferisci.”

“Non si tratta di preferenze, è che proprio si scrive così.”

“Non penso.”

“Prego?”

“Siamo in Spagna e Lucas è un nome spagnolo. E si scrive con la s finale.”

“Ma veramente…”

“Sono laureato in lettere”.

“Ok, d’accordo mi chiami come vuole”.

“La chiamo come è giusto. Lucas è spagnolo.”

“D’accordo, mi chiami come è giusto.”

Forse era davvero il peggior esordio di una conversazione che avessi mai avuto, ma ormai era troppo tardi per uscirne.

“Sei sicuro che vada tutto bene?” Di nuovo quell’aria di chi la sa lunga. Già non lo sopportavo.

“Sì, tutto bene.”

“Strano, i tuoi colleghi di lavoro non la pensano così.”

“Ah no? E come la pensano?”

“Non è importante come la pensano loro, è importante come la pensi tu. Voglio dire, ti piace questo lavoro? Rispondimi sinceramente.

Ora, sapevo benissimo che cosa dovessi rispondere. Ma la prospettiva di trascorrere tre mesi sotto il sole andaluso in piena estate a 42 gradi, otto ore al giorno, in piedi, senza pause, per di più gratis, era qualcosa che mi impediva di proferire quella semplice sillaba che mi avrebbe consentito di andare a casa più in fretta, cucinarmi la mia sacrosanta spaghettata e poi morire nel letto per le successive dieci ore in attesa di un nuovo supplizio. Per cui, dopo una breve pausa risposi :

“Sinceramente NO. Questo lavoro non è quello che mi aspettavo.”

La faccia di Juan cambiò di espressione. Tutta l’aria bonaria del direttore si dissolse e il suo volto si fece serio.

“Lucas, io capisco che forse questo non è il tipo di lavoro che ti aspettavi. Ma vedi, questa è per te la migliore azienda che ti potesse capitare. Il nostro brand è famoso in tutto il mondo e ti stiamo concedendo l’opportunità di praticare lo spagnolo e tutte le altre lingue che conosci, in strada, a diretto contatto della gente. Forse a te potrebbe sembrare che consegnare volantini alle persone non sia un lavoro importante, ma invece ti sbagli. E’ fondamentale. Tu hai il compito di vendere il nostro marchio, di pubblicizzare le nostre offerte e convincere la clientela ad acquistare i nostri biglietti. Nessuno meglio della nostra azienda sa valorizzare il patrimonio artistico di questa città e al tempo stesso far sentire a suo agio il cliente.

Tutto quello che devi fare è sorridere, essere simpatico, elegante. Così non lo sei. Mi hanno detto che oggi ti sei presentato senza le scarpe nere, è vero?”

“Beh sì, non ho avuto tempo per comprarle ma le ho prese un’ora dopo.”

“Ti avevo espressamente detto che senza scarpe nere non puoi lavorare qui. Non mi interessa se ora ce le hai, dovevi averle prima.”

“Mi dispiace.” [Questo “mi dispiace” era solo un meschino tentativo di avvicinarmi al mio pranzo, erano le 14,30 e in questa città l’unico ad avere fame sembravo essere io.]

“Mi hanno anche detto che a un certo punto ti sei allontanato dai miei colleghi senza avvisare.”

“Non mi sono allontanato, sono semplicemente andato a mangiare la mia banana al marciapiede di fronte.”

“Non puoi farlo.”

“Non posso mangiare una banana?”

“No. Non puoi sederti su un marciapiede con la divisa dell’azienda e mangiarti una banana. Non capisci? Tu in quel momento rappresenti il nostro brand, che immagine stai dando ai passanti in quel momento? A questo ci hai pensato?”

“Ma questo è ridicolo.”

“Se tu lo giudichi ridicolo è una tua interpretazione. A me non interessano i tuoi giudizi, qui abbiamo delle regole e chi lavora con noi deve rispettarle.”

“Ok, mi dispiace, non lo farò più. Adesso posso andare?”

“Adesso ti racconto una storia Lucas. Ascoltala bene.”

“Senta senor Juan è stato il mio primo giorno di lavoro, le prometto che da domani mi comporterò come vuole lei, ma ora per piacere mi lasci andare a casa, sono molto stanco, ho fame.”

“Lo sai quanti anni avevo quando ho cominciato a lavorare io?”

“Oh Gesù. No, quanti?”

“Quindici. A quindici anni decisi che la scuola mi aveva insegnato tutto quello che poteva insegnarmi e andai a lavorare come parrucchiere dai miei cugini a Bruxelles. Quindici anni avevo, Lucas, e parlavo solo lo spagnolo. Ho vissuto in Belgio fino a 28 anni, lavoravo tutti i giorni, anche la domenica, in tre parruccherie contemporaneamente e mi è capitato di arrivare in ritardo solo una volta. Una volta in tredici anni. E sai cosa fece quella volta il mio capo di allora? Fece uscire tutti i clienti fuori dal negozio e chiese loro di aspettare fuori dal negozio. Poi mi disse — Inginocchiati e bacia i piedi dei tuoi colleghi chiedendo scusa — mentre fuori una folla di gente mi derideva. Da quel giorno non sono mai più arrivato in ritardo.”

“Ma io non sono arrivato in ritardo oggi” protestai debolmente, ma il megadirettore finale era come caduto in uno stato di trance e proseguì:

“A 25 anni avevo raggiunto l’apice del successo, io e i miei cugini eravamo diventati i parrucchieri più famosi di Bruxelles, fondammo una società, comprammo quattro locali ed io acquistai la mia prima casa. In più avevo una donna bellissima. Ero l’uomo più felice del mondo. Ma il destino segue vie imperscrutabili, caro Lucas, e nel giro di sei mesi tutto quello che ero riuscito a conquistarmi con anni e anni di duro lavoro crollò in un attimo. Uno dei miei cugini scappò con tutto il capitale della società e sparì per sempre lasciandoci con i debiti fino al collo. Le banche pignorarono i quattro locali, ipotecarono la mia casa e la mia donna bellissima mi lasciò. Ero sul lastrico. Ma non mi arresi, i perdenti si arrendono, i vincenti mai. Capisci Lucas? I vincenti non si arrendono mai. Cominciai a lavorare nei pub, in tre pub per l’esattezza, contemporaneamente. Per tre lunghissimi anni non ho fatto altro che spillare birre dalla mattina alla sera, fino a quando riuscii a saldare tutti i miei debiti. E poi accadde una cosa meravigliosa Lucas. In uno dei pub in cui lavoravo una sera incontrai una donna bellissima. Era andalusa, di Siviglia come me. Lei era lì in vacanza ma io dopo cinque minuti che l’avevo conosciuta le dissi — Non tornare a casa. Io ti voglio sposare — Lei pensava scherzassi e non mi ascoltò. E allora sai cosa feci Lucas? Lasciai i miei tre lavori a Bruxelles e, dopo più di vent’anni, tornai a casa per amore di una donna che non conoscevo neppure. Adesso quella donna è mia moglie.”

Le lente pale del ventilatore giravano annoiate sopra di noi, non sapevo più che ora fosse, gli occhi stanchi e accecati dal sole mi bruciavano, avrei dato qualsiasi cosa in quel momento per stare in mutande sul mio letto a scolarmi una birra ghiacciata e invece mi trovavo davanti un andaluso logorroico che mi stava raccontando la storia della sua vita. Mi chiedevo cosa avessi fatto di male e soprattutto dove volesse andare a parare.

“Lucas ! Mi stai ascoltando? Capisci lo spagnolo vero?”

“Certo, certo, come no”.

“Bene, allora ti stavo dicendo, ero finalmente tornato a casa ma c’era un problema: non avevo lavoro. Erano gli anni Novanta e qui in Andalusia non c’era un cazzo di niente, mica come oggi. Ma non mi scoraggiai e sai dove trovai lavoro? Qui, in questa azienda. E sai, caro Lucas, che cosa facevo? Distribuivo volantini, proprio come te. Ero il miglior distributore di volantini della città, tutti mi conoscevano e riuscivo a vendere più biglietti di chiunque altro. Ho fatto quel lavoro per tre anni, poi velocemente ho fatto carriera nell’azienda, mi sono laureato, e adesso ne sono diventato il direttore. Sai perché ti ho raccontato questa storia Lucas?”

“Veramente no.”

“Per farti capire che la vita ti offre delle possibilità ogni momento, anche laddove non crederesti mai. Non farti scappare questa opportunità Lucas, il destino segue vie imperscrutabili, ricordalo sempre. Tu sei partito dal tuo Paese per cercare una cosa e ne hai trovata un’altra, ma questo non significa che non sia un bene per te, è la vita, Lucas, ne hai solo una ed è la tua più grande occasione. Dai tutto stesso per la nostra azienda, impegnati e io ti aiuterò. Io conosco i direttori di tutte le nostre filiali, posso farti assumere in Italia, a Roma, a Firenze, Venezia, dove vuoi. Ma devi impegnarti, devi fare questo lavoro al meglio, perché questa azienda è la cosa migliore che potesse capitarti. Devi rendertene conto.”

Non ricordo cosa dissi dopo, so solo che Juan finalmente mi lasciò andare a casa. Mi trascinai per le strade deserte imposte dal coprifuoco della siesta con la mia divisa da pilota, le spalline blu, la camicia bianca, l’enorme cravatta rossa come quelle dei clown, le mie scarpe nere comprate di fretta a 9,99 euro da HM che tra pochi giorni si sarebbero biodegradate sull’asfalto bollente. In un misto di confusione mentale e disidratazione faticavo ad orientarmi tra le stradine che mi sembravano tutte uguali tra loro. La voce di Juan risuonava ancora nelle mie orecchie mentre i miei passi inseguivano le sottili strisce d’ombra dei palazzi. Il termometro della piazza indicava 44 gradi, erano le 15 e 30 del 3 agosto 2014.

Sopra i 40 gradi non cantano nemmeno le cicale, regna solo un silenzio generale mentre sotto di me il cemento ribolliva come un fiume di lava incandescente. Arrivare qui, in piena estate, per l’ennesimo stage non era stata la migliore idea della mia vita, ma c’è sempre un prezzo da pagare quando si è disposti a tutto pur di non veder la propria vita rattrappirsi e rimpicciolirsi nelle acque rafferme di una città di provincia. Da me la resa incondizionata a quella vita non l’avrebbero mai avuta, cercavo tutto tranne una vita ordinaria. No, non sarei morto da provinciale. E allora, mi dissi in quel tragitto verso casa, se questo era quello che dovevo fare per non arrendermi l’avrei fatto. Mi sarei svegliato ogni mattina alle 7, avrei indossato la camicia bianca, avrei imparato a fare il nodo a quell’orribile cravatta rossa e, con il fresquito mattutino, quando l’aria è ancora frizzante e il sole non si è trasformato in quell’accecante disco rovente che era adesso, mi sarei incamminato verso la Gran Vìa e avrei molestato in tutte le lingue che conoscevo qualsiasi essere umano mi capitasse a tiro per vendere quei fottutissimi biglietti turistici.

Con questi pensieri entrai a casa, mi spogliai e dopo essermi scolato una lattina di birra mi addormentai di colpo.

Due giorni dopo venni licenziato.

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