Meteoropatìa

Sara Bonavia
Crossroads
Published in
4 min readOct 21, 2016

P. a primavera è bellissima. Il fatto che il concetto di primavera sia a certe latitudini qualcosa di aleatorio, indefinito e imprevedibile, non la rende meno bella, solo più preziosa.

Anche H. del resto a primavera era bellissima, di una bellezza più silenziosa, meno consapevole. Mi ricordava un’altra P., in quei giorni di quasi estate, quando ti sembrava di sentire l’odore del mare, in città, vicino a un fiume verde scuro (fai marrone va’), e ti chiedevi se lo stavi sognando o se davvero quel ventaccio ti stava facendo questo regalo. Beh poi, anni dopo, quell’odore mi sembrava di sentirlo pure addosso ad H., ma lì sicuro non era vero, che il mare era 600 chilometri lontano. Nostalgia canaglia.

A primavera, vivrei ovunque. Farei qualunque cosa. Ecco, appunto, promemoria per il futuro: non prendere decisioni a medio-lungo termine in primavera. No, perchè sono atterrata a P. a maggio, e dovevano essere sei mesi di stage, ma poi, come ho detto, P. a primavera è bellissima, e i sei mesi di stage sono diventati tre anni di dottorato. E sei mesi.

Sì, bello, certo, una grande opportunità, solo che P. a volte è pure un po’ infame, soprattutto quando piove, soprattutto quando è tardi, sei stanco e casa di un amico è dall’altro lato del mondo e allora ci si vede poi nel weekend se si riesce, controlliamo le agende. Allora mi manca una vita precedente, prima di P., più lenta, più in comune, più insieme.

Insomma, odi et amo. Un giorno penso di trovarmi nel posto più eccitante del mondo, quante persone e quante possibilità e quante “cose da fare” (mantra assoluto di ogni grande città che si rispetti). Quello dopo, lo passo a fare complicatissime ricerche incrociate tra Skyscanner e Googleflight per capire se c’è un volo che posso permettermi, che mi riporti a casa nel weekend (no, no, ma’, va tutto bene ti dico, una capatina, giusto per salutare…aspetta ecco, forse questo qui con lo scalo a Stoccolma di sei ore…).

Queste variazioni repentine di umore, convinzioni, idee, certezze non affliggono solo la mia percezione del luogo che (temporaneamente eh!) mi trovo a dover chiamare casa. No, anzi. Magari.

È la flessibilità, mi dico, ma mi sa che ‘sta storia della flessibilità l’ho interiorizzata un po’ troppo.

Dopo essermi trasferita a P. e aver iniziato a lavorare, ho realizzato a un certo punto che questo lavoro sarebbe comunque durato tre anni e basta. Ho cominciato dunque a immaginare (con vaghezza disarmante) possibili scenari post-tre anni a P. Tutto ciò ha avuto inizio un giorno di maggio in cui, durante una pausa caffè, distrattamente guardo il calendario e penso: ah, tu guarda, sono arrivata qui esattamente un anno fa…

UN ANNO??? Ma come un anno, com’è possibile, se ancora non ho imparato una parola di ‘sta lingua, no, no aspe’ ci dev’essere un errore, un anno? e che ho fatto io in un anno, 12 mesi, capisci? 365 interminabili giorni e…panico allo stato puro.

Ecco, quel giorno lì è iniziata la stesura del mio piano quinquennale, e sempre quel giorno credo di essermi iscritta a tre differenti corsi di programmazione (acquisire competenze, questo è il segreto!) e cominciato a scandagliare ogni singolo laboratorio del pianeta che potesse interessarmi ed essere interessato a me (massì, perché no? due anni in Alaska, alla fine è un’esperienza, poi se c’è freddo, oh ti copri…). Quel giorno non avevo dubbi: la carriera accademica mi stava aspettando e io dovevo correrle incontro con entusiasmo e voglia di raggiungere gloriosi obiettivi! Bisogna giusto essere un po’ disponibili a spostarsi per inseguirla, ma il mondo è grande e poi a me è sempre piaciuto viaggiare.

Il giorno dopo, forse c’era il sole o forse no, fatto sta che quel giorno P. mi stava molto simpatica. Non ricordo neanche se per qualche motivo in particolare, comunque mi ritrovo a pensare che boh tra due anni magari ho una vita qui che funziona, magari sono felice, magari non avrò voglia di prendere e partire, e cercare fortuna chissà dove, no, un lavoro, un lavoro vero, come un adulto vero, ecco sì, questo devo cercare, magari in un’azienda… Sì, deciso, mi voglio fermare qui, alla fine mi piace P., che poi tra due anni c’avrò pure (quasi) un’età e non si può che poi ti sposti per un anno o due, e poi per altri due e poi chissà.

Il giorno dopo ancora, di sicuro pioveva, e avevo bevuto troppi caffè, e probabilmente avevo pure distrutto una settimana di lavoro con un esperimento di cinque minuti, perchè la mia cronologia di quel giorno recita cose come “mollare tutto e cambiare vita” o “i 10 luoghi più felici della terra” e “trovare lavoro in Costa Rica” (un mio sogno evergreen, giustificato principalmente da questo:

Sì, quel giorno volevo prendere, partire e non tornare, ma non certo per brillanti carriere e onorifici riconoscimenti.

Da quel giorno sono passati altri sei mesi (e che ho fatto in questi altri sei mesi ovviamente non lo so) durante i quali si sono ripetuti molti cicli di “torno a casa-vado a fare un postdocinamerica-cerco lavoro in un ristorante” con innumerevoli variazioni sul tema e idee sempre nuove e sempre più originali. E molti altri ancora seguiranno, sicuro. E dove sarò tra due anni e a fare cosa, ad oggi, è ancora un fitto mistero.

Nell’attesa, guardo fuori dalla finestra, è ottobre e c’è il sole. Oggi, P. è bellissima.

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