Sottosforzo

Guido Polcan
CRUDA
Published in
4 min readNov 27, 2016

La vita dell’atleta passa inevitabilmente da una prima grande prova, la visita medica agonistica. Quando hai vent’anni non si pone il problema, o per lo meno non pensi neppure che possa essere un problema, mentre superati i trenta una serie di dubbi cominciano a balenarti per la testa.

Prendo appuntamento per un mercoledì sera in uno di quei centri di medicina a pochi passi dalla città, quelli in cui ci sono un milione di specializzazioni diverse e puoi farti visitare dalla verruche ai piedi alle malattie veneree. Attendo pochi minuti in sala d’attesa ed entro nello studio accolto da un simpatico settantenne che mi invita ad accomodarmi sul lettino per la prima prova, l’elettrocardiogramma.

Fino a qui tutto normale, se non fosse che il dottore viene costantemente incalzato dalla sua assistente per seguire rigorosamente una tabella di marcia come se lui avesse bisogno di ricordarsi cosa fare e che apparentemente fa invertire i ruoli tra i due.

Io prima di cominciare metto subito le mani avanti ed anticipo il risultato dell’esame dichiarando di avere al cuore un “blocco di branca”.
Un blocco di branca non è nulla di grave se non sono presenti altre patologie, si tratta di una piccola anomalia nella conduzione dell’impulso elettrico del cuore, in pratica i due ventricoli non si contraggono contemporaneamente ma sono qualche millesimo di secondo in ritardo uno rispetto all’altro.

Il medico si allerta ma prontamente osserva le carte che ha sul tavolo, guarda il risultato dell’elettrocardiogramma che ha davanti agli occhi e mi rassicura dicendo che non vede nessun blocco di branca. Peccato che quello non fosse il mio referto, dovendomi ancora sottoporre all’esame.

A questo punto comincio a pensare che forse non avrò mai l’abilitazione per le gare agonistiche.

Tutto sotto controllo dico io, in passato ho fatto degli accertamenti al cuore e ho tutta la documentazione necessaria per certificare che la mia piccola patologia non sia nulla di inaspettato, ma qualcosa che ho praticamente da sempre.
Passo quindi la prima prova abbastanza incolume, anche se un po’ perplesso nei confronti del mio specialista.

Le fasi successive scorrono lisce come l’olio, mi sento come un pugile che schiva i colpi dell’avversario; pressione regolare, non sono sovrappeso, ho smesso di fumare da anni, bevo quasi sempre il giusto e non assumo droghe che possano impensierire il mio esame delle urine.

Purtroppo però non siamo soli, lei è lì in un angolo che mi aspetta per la prova finale e mi fissa nella sua immobilità sapendo che prima o poi dovrò passare per le sue grinfie. Non parlo ovviamente dell’assistente ma della bicicletta, quelle macchine infernali che anche solo a guardarle sono brutte, statiche e ostentano un sellino delle dimensioni di un panettone.

Siamo dunque all’elettrocardiogramma sotto sforzo.
Salgo, mi siedo ed infilo i piedi nei lacci che abbracciano i pedali. Ho già il fiato corto, se non passo questa mi vedo sconfitto in partenza, senza possibilità di recupero. La malefica assistente setta la macchina pigiando pesantemente sui tasti del computer, esita un attimo e mi chiede come sia il mio livello di allenamento. Sono fermo da settimane, non pedalo da mesi, ho nuotato l’ultima volta al mare l’anno scorso e le ginocchia mi fanno male anche salendo le scale di casa, ma mento spudoratamente e dico che il mio livello è “discreto”.
Un ultimo beep decreta l’inizio della sessione, comincio a pedalare.
Le gambe si induriscono, il cuore comincia a salire di battiti, la stronza ha voluto mettere alla prova il mio livello “discreto”.
Sono in pantaloncini, a torso nudo e con una miriade di fastidiose ventose che mi risucchiano la pelle, devo essere davvero inguadrabile.
Fingo indifferenza, la stronza non la degno nemmeno di uno sguardo per paura che legga la fatica nei miei occhi, pedalo come un dannato e manca poco che non mi alzi sui pedali tentando una fuga solitaria.
Le pedalate si fanno sempre più intense, la seconda parte vuole mettermi davvero alla gogna, ma reagisco spingendo forte come fosse un gran premio della montagna all’ultimo chilometro. L’agonia dura parecchio fino a quando finalmente sento le gambe girare più velocemente, il segnale della fine. Ho dato il meglio di me stesso, ho spinto veramente alla grande e sono soddisfatto, non ho mollato nemmeno un secondo.
Mi infilo la maglietta senza nemmeno asciugarmi il sudore, gli sportivi sudano, è il frutto della loro fatica.
Mentre mi sistemo la gentile assistente stampa il risultato, lo porge al medico che dopo un’occhiata veloce alle carte mi lancia uno sguardo, il suo volto si illumina, probabilmente potevo anche evitare di dare tutto me stesso ma lo stupore nei suoi occhi mi rende fiero. Con la testa che ancora gira a causa dello sforzo sorrido a mia volta al dottore che invece si fa di colpo serissimo, mi guarda, si appoggia allo schienale della sedia e dopo un lungo respiro si sfila gli occhiali e proferisce verbo, come a volermi ferire: “SCARSO…e lei vorrebbe fare il triatleta?”
Il sudore mi si secca istantaneamente addosso, le gambe dure si rammollano e il mio sorriso beffardo si trasforma in una smorfia. Arrivederci dottore, grazie di tutto.

Esco sconfitto dalla mia prima prova, sono stato battuto da una bicicletta che non si muove e da un dottore con la badante, ma ho incredibilmente avuto l’abilitazione e sarò ufficialmente un agonista, anche se scarso.

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Guido Polcan
CRUDA
Editor for

Strategy & Innovation Culture at H-FARM, Founder at CRUDA