L’ATTO DI VEDERE: CIVIL WAR

pietroizzo
Cult
2 min readJul 6, 2024

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Mi aspettavo che Civil War di Alex Garland fosse essenzialmente un film distopico su dove può finire politicamente l’America nel 2025. In realtà il focus è leggermente diverso. Garland riesce a prendere questo spunto, distillarlo fino a fargli perdere quasi ogni connotazione politica o legame con l’attualità (giusto Nick Offerman nel ruolo del presidente all’inizio è vagamente trumpiano) e infine proporre un film “semplicemente” sull’idea di guerra, o meglio sull’idea visiva della guerra che hanno i fotografi di guerra.

Civil War è indubbiamente un film molto crudo, diverso da altri film incentrati su reporter di guerra e — per dire — più simile all’isteria visiva di un film come The Hurt Locker di Kathryn Bigelow. Il lavoro sulla fotografia e sul sonoro è incredibile, e del resto l’insistenza è proprio sull’atto del vedere. I tentativi di capire la situazione, come spiegano i due soldati alle prese con un cecchino a metà del film, sono inutili. Tutto si riduce a “c’è uno che mi vuole uccidere, lo uccido io per primo”.

Lee (Kristen Dunst) è la fotoreporter navigata, che dopo decenni di orrori testimoniati ha l’anima atrofizzata. Jessie (Cailee Spaeny) è invece la novellina che vorrebbe farsi le ossa e comincia ora a guardare la morte negli occhi, sentendosi terrorizzata ma “mai così viva”. Insieme a Sammy, un vecchio reporter del NYT e a Joel, le due fotografe attraversano gli states per una sorta di missione impossibile: intervistare il presidente a Washington prima che venga ucciso da un non meglio identificato esercito secessionista.

Il cuore del film — peraltro una lunga sequenza di orrori che culmina in una scena agghiacciante con Jesse Plemons — è la battuta di Lee a Jesse che più o meno recita: non sta a noi porci delle questioni morali, noi documentiamo, poi sta alla gente che guarda le nostre foto farsi delle domande.

Evidentemente, come scopre Lee nel film, la gente comune queste domande se le pone troppo poco.

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pietroizzo
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