#2. Il nipote

Pietro Minto
Curzio
Published in
4 min readNov 30, 2016

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Illustrazione di Enrico Salvador

Fausto era appena uscito dal panificio di Giorgio, quel maleducato. Stava tornando a casa, il sacchetto marrone pieno di mantovanine che gli pesava sulla mano destra. Eppure è così leggero, appena due etti di pane. Sarà il freddo alle mani. La prima pallottola colpì Fausto al braccio, sfiorandolo. Le mantovanine caddero insieme al sacchetto. Fausto sentì un dolore acuto, tipo un taglio da carta ma più forte e ampio: era piombo. Il secondo colpo lo mancò di poco, incastrandosi sul muro rosso della casa di Dorti, quello che picchia gli immigrati, dicono. Fausto cominciò a correre: non che avesse una destinazione, vista la confusione, o molto fiato, visto le sigarette, ma prese gridando la strada lunga e trafficata del centro. I passanti lo schivarono con maleducazione, un ragazzo ebbe una reazione tra :D e :0. Il terzo colpo lo sentì partire ma sembrò non arrivare mai, forse si perse e incontrò un ostacolo — anche umano — nel suo percorso. Il quarto colpo, invece, lo colpì in pieno sul braccio destro, quello finora illeso, procurandogli una fitta lacerante. Fausto si buttò a terra, gli occhi fuori dalle orbite e un fiotto di sangue scuro a macchiare il marciapiede. Un passante gli chiese un selfie. Fausto si rialzò, non si sa come, e continuò a correre: il cuore pulsava a vuoto, ogni battito regalava sangue fresco alla ferita, ogni battito era sangue che usciva dal suo corpo. Prese una laterale stretta e buia, quella che dà sul retrobottega di Ranieri il fruttivendolo, che aveva buona frutta ma solo di stagione, nulla di esotico. Il quinto colpo lo sorprese alla gamba, come se quella svolta nella laterale fosse stata inutile e chiunque gli stesse sparando potesse dirigere le pallottole a piacere. Questa volta fu più difficile rialzarsi, con la gamba dilaniata. Il sesto colpo peggiorò la situazione: penetrò la gamba sinistra all’altezza del ginocchio. Fausto sentì la carne lacerarsi e le ossa spezzarsi. Si trovò costretto a strisciare. Il settimo e l’ottivo colpo furono imprecisi: il primo colpì un bidone dell’immondizia, quello della carta, e il secondo rimbalzò a un metro dalla testa di Fausto, per poi schizzare in aria. Il nono colpo gli distrusse la mano sinistra, riducendola a uno scarabocchio rosso.

Ogni metro era una tortura. Persino strisciare era diventato difficile per Fausto, che aspettava ormai immobile una nuova pallottola. Forse quella letale. Fausto l’aspettava con un sentimento che si avvicinava in modo pericoloso alla speranza.

Poi sentì dei passi avvicinarsi. Avevano un tono leggero ma incerto. Fausto aveva la faccia a terra, immersa nella puzza del suo stesso sangue. Non aveva idea di chi stesse arrivando. Non aveva nemmeno la forza per parlare. A parlare fu la persona dietro le sue spalle, che lo chiamò per nome. Fausto riconobbe quella voce. Pensando fosse un’allucinazione indotta dal dissanguamento, balbettò:

“Nonna?”
“Sì, Fausto. Sono io, nonnina. Come stai?”

Fausto cominciò una lunga e dolorosa manovra corporea con cui mirava a girarsi a pancia in sù. Ci mise un po’ e, nel farlo, fece pressione sulle ferite che ormai coprivano tutto il corpo. Facevano un male cane. “Nonna?” ripeté Fausto, questa volta sconcertato dalla sua presenza. “Sì,” disse lei sorridendo. Aveva i capelli bianchi e diradati, parte del suo volto era stata coperta di alluminio dopo l’operazione al cervello. Aveva un fucile a pompa dietro la schiena, come a tracolla, e la borsetta di pelle marrone dentro la quale teneva le caramelle che gli dava da bambino, quelle alla menta amara. La bocca del fucile era ancora fumante. “Che cazzo fai, nonna?” disse Fausto arrabbiato. La signora, sui settanta, la prese male, gli disse: “Non dire queste cose alla nonna”, e poi: “Ma come, non ci vediamo da mesi e mi tratti così?” Fausto cominciò a urlare, o meglio a emettere suoni, visto che ogni respiro sembrava squarciargli l’addome. “Mi hai maciullato, porca di una puttana” disse Fausto. “Che cazzo vai in giro con quel fucile, madonna — -”.

La nonna lo interruppe. Odiava le bestemmie. “Non cominciamo, Fausto, eh!” gli disse. “Spiegami, cosa dovrei fare per avere una risposta al mio invito?” Ora Fausto poteva vedere parte del suo femore. La vista gli si era annebbiata. Fausto continuava a pensare a quegli incidenti così dolorosi da spegnerti il cervello, farti svenire. Perché non riusciva a svenire? Disse qualcosa, qualche sillaba monca. Nonna capì e aiutò il nipote: “L’invito al mio compleanno, Fausto. L’hai ricevuto ma devi ancora rispondermi”. L’arzilla signora si accese una sigaretta al mentolo. “Fosse per te ci vedremmo solo a Natale”, concluse delusa.

“Anche…”, fece Fausto scavando tra le sue energie, “…anche a Pasqua”.
“Ah già, è vero” rispose Nonna, stupita per esserselo dimenticato. “Anche a Pasqua.”

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