Continuare a stupirsi

Caterina Gallina
darfiato
Published in
3 min readJun 6, 2019

Cosa si nasconde sotto l’armatura

Avere a che fare con gli adolescenti è difficile e meraviglioso allo stesso tempo. Poter sentire le loro storie e avere accesso al loro mondo intricato e ai loro pensieri labirintici è un privilegio che cerco di curare come se avessi tra le mani un tesoro segreto.

GET UP-IO A SCUOLA (NON) CI VADO! è l’azione progettuale che ci ha permesso di entrare nel labirinto e scoprire che c’è un forte bisogno di ascolto, accompagnamento, analisi, rielaborazione

E’ quanto abbiamo cercato di offrire ai ragazzi di 6 Istituti del territorio del Distretto 2 (ex Ulss 8), i quali ci sono stati segnalati dai referenti per l’orientamento delle scuole come ragazzi in difficoltà. Alcuni lo sono per motivi didattici, altri per motivi relazionali e/o di motivazione. Il nostro obiettivo era quello di capire con loro cosa stava accadendo e sostenerli nel trovare delle strategie che permettessero loro di decidere quale strada prendere.

I ragazzi hanno sentito il bisogno di raccontarci la loro situazione: in poco tempo siamo diventati lo spazio di espressione che aspettavano, il luogo dove poter svuotare lo stomaco dai pesi, il momento dove poter abbassare lo scudo.

Spesso scocca la magia della connessione empatica che ci permette di entrare nel loro piccolo mondo.

Spesso noi educatori ci ritroviamo di fronte a degli essere umani fragili, protetti da un’armatura argentata, che a poco a poco si allenta e lascia intravedere il soldato impaurito che c’è sotto. Ogni volta che questo accade, mi muovo con cautela, perché capisco che nella maggior parte dei casi quel soldato è arrivato sapendo di trovare in me un fabbro con gli arnesi adatti ad aprire l’armatura. C’è chi preferisce un piccolo cacciavite, chi il calore della fiamma, chi le tenaglie.

Io so che questi piccoli soldati hanno un gran bisogno del fabbro, ma continuo a stupirmi del fatto che lo cerchino in modo così ostinato, esibendo il loro dolore. Mi stupisco di fronte alla forza del loro bisogno, che li spinge a non opporre la minima resistenza all’intrusione di un estraneo nei loro pensieri.

Noi abbiamo il compito (che diviene desiderio) di poter essere un temporaneo appoggio finalizzato all’acquisizione di strumenti di empowerment che permettano a questi ragazzi di elaborare strategie per superare le loro difficoltà.

Il primo passo da fare è stare con loro ed essere in ascolto.

Per me, forse, è il passo più doloroso, proprio perché mi permette di imparare sempre. Imparare ogni giorno. Imparare che, se vogliamo diventare strumenti efficaci, dobbiamo essere lì con loro ed entrare nei meccanismi che rendono le loro vite complesse e che fanno loro pensare di non potersi fidare dei pari, dei genitori, delle altre figure educative, degli adulti.

Allora capiamo che dobbiamo destrutturare e riprogettare con loro.

Questa è la ricchezza che ci portano e che mi fa dire, ogni giorno, “continuo a stupirmi”. Abbiamo la capacità di notare molti elementi che ci permettono di leggere ed interpretare i segnali lanciati dagli adolescenti. Abbiamo la competenza di entrare in connessione con loro e creare luoghi e momenti che permettano loro di esprimersi. Questo è ciò di cui i ragazzi hanno bisogno; sapere che in questa fase della loro vita noi educatori siamo gli unici a proporla e a favorirla, è spiazzante.

Non smette mai di stupirmi.

E’ con nuovo stupore che noi educatori ci accorgiamo della strada che dobbiamo ancora percorrere e degli strumenti che dobbiamo affinare, per riuscire a rimanere in ascolto. E’ con nuovo stupore che ci chiediamo che linea seguire, non da soli, ma insieme a tutti gli interlocutori e gli attori dello spettacolo che viviamo. Per far sì che questo bisogno dei ragazzi non sia dirompente, perché soddisfatto in tempo, in altri contesti…

Così da non doverci stupire più.

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