Non di solo pane vive l’uomo

Chiaradepin
darfiato
Published in
6 min readJun 25, 2019

Ma noi, il pane in tavola, ce lo vogliamo sempre.

E’ vero che gli italiani mangiano sempre meno pane?

Che preferiscono comprarlo al supermercato invece che in panetteria?

Il pane industriale è davvero più richiesto di quello artigianale?

Una ricerca condotta da Cerved nel gennaio del 2019 sembra smentire queste credenze diffuse, e rassicurare i panettieri sulla tipologia di pane acquistato dagli italiani: con uno spazio di mercato di 1.600.000 tonnellate nel 2018, l’85% del pane consumato in Italia è fresco e artigianale.

Sembra dunque che gli italiani, pur comprando pane in minor quantità, stiano riscoprendo il piacere di andare in panificio: infatti, se da un lato acquistare il pane dal proprio panettiere di fiducia è una garanzia di qualità, dall’altro diventa una preziosa occasione di relazione. In una società come la nostra, in cui i rapporti umani non presuppongono più l’incontro fisico, ma spesso vengono mantenuti virtualmente, il panificio diventa un luogo dove resiste ancora un nucleo di comunità, dove ancora ci si incontra e si chiacchiera del più e del meno, faccia a faccia.

E’ innegabile che la concorrenza delle grandi catene di supermercati, capaci di fornire molti prodotti a basso prezzo, metta in difficoltà le piccole realtà commerciali locali. Tuttavia, il valore aggiunto ricercato dagli acquirenti italiani, e garantito da queste ultime, le rende competitive. Per stare al passo, devono faticare molto: è infatti necessario diversificare la produzione, stringere relazioni di fiducia con i consumatori, saper interpretare i loro bisogni.

I piccoli panifici devono riuscire ad innovare ma al contempo rimanere fedeli a sè stessi, conservando la propria tradizione. Un esempio dell’unione ben riuscita di innovazione e tradizione è L’Antico Forno Vanzin, piccolo panificio di Valdobbiadene, che ha aderito al progetto Aziendaperta XL, ospitando una visita aziendale. Sono queste le occasioni che avvicinano le generazioni e permettono ai giovani di conoscere e dialogare con chi da anni svolge un determinato lavoro -quello del panettiere, in questo caso.

Il 27 maggio, accompagnati da un educatore de La Esse, alcuni giovani che hanno aderito a questa visita, e io in veste di reporter, siamo stati accolti con calore (metaforico e reale, viste le alte temperature) dai proprietari dell’attività, il signor Germano Vanzin e la moglie Karin Gatto.

Il signor Germano ci ha mostrato, passaggio per passaggio, il lungo processo di preparazione del pane, permettendoci di partecipare attivamente alle sue fasi e di toccare con mano - nel vero senso della parola, visto che le abbiamo affondate “in pasta”- il prodotto finale.

Ci ha mostrato e raccontato che il suo è un lavoro molto impegnativo, che richiede “occhio”, passione e attenzione costante. Infatti, pur essendo costituito da passaggi che si ripetono giorno dopo giorno, non è mai uguale a quello che si è fatto il giorno prima, e dunque non annoia mai. È necessario essere capaci di calcolare le quantità in base alla richiesta dei clienti -“che cambiano di giornata in giornata”-, mescolare bene gli ingredienti, rispettare i tempi giusti, coordinare le varie azioni, lavorare di fantasia -“per proporre ai clienti prodotti nuovi”.

Bisogna anche saper usare bene le varie macchine che, come abbiamo potuto vedere, sono molto numerose e hanno tutte una funzione specifica: si passa dall’impastatrice, alla raffinatrice, che “raffina” l’impasto, alla trancia, che lo suddivide in tanti piccoli pezzi, i quali possono essere plasmati direttamente dalla formatrice ed essere già pronti alla cottura, oppure essere lavorati a mano. La macchina più affascinante è proprio il forno a legna, fiore all’occhiello dell’Antico Forno Vanzin -segreto della bontà del pane lì prodotto. Come ci ha rivelato il signor Germano, “il pane non vede mai il fuoco”: infatti, dopo aver bruciato molta legna (il forno raggiunge una temperatura di oltre 400 gradi), è necessario lasciare che il fuoco si spenga e ripulire il forno dalla cenere; solo allora è possibile cucinare il pane.

Il forno ha quasi 100 anni: è stato costruito nel 1925 e da allora ha continuato a sfornare pane! Il padre di Germano ha iniziato la sua attività di panettiere nel 1986, prendendo in affitto il forno; quest’ultimo è stato comprato dalla famiglia Vanzin nel 1996 e viene tutt’ora usato.

Per fare questo lavoro, bisogna davvero amare ciò che si fa, perché altrimenti risulterebbe davvero impossibile svegliarsi ogni notte alle 3:00 per accendere il forno e iniziare ad impastare, come fa il signor Germano da 40 anni!

Come è cambiato il modo di fare il pane dai tempi dei vostri genitori ad oggi?

Germano: Molte cose sono cambiate, nel tempo, in base anche alle trasformazioni del mercato. Se fino agli anni Ottanta le famiglie compravano pochi tipi di pane, ma in grandi quantità, oggi la clientela acquista meno pane, ma richiede più varietà, un assortimento più ampio. Questo complica il nostro lavoro, perché dobbiamo diversificare maggiormente i procedimenti di produzione. Un “trucco”, una strategia che usiamo spesso è suddividere i prodotti nei vari giorni della settimana. Questo spinge le persone a fare maggiore attenzione e le invoglia a comprare.

Quali difficoltà riscontrate nel vostro lavoro?

Germano: È un lavoro duro, fisicamente stancante, ma io lo faccio da 40 anni e ormai mi sono abituato! All’inizio facevo fatica a svegliarmi ogni notte alle 3:00 e lavorare 10 ore al giorno, ma ormai sono molti anni che ho preso il ritmo! Non è un lavoro per tutti, e infatti bisogna essere appassionati per scegliere di farlo. Non ci si può mai distrarre, perché se si fa un errore, si rovina una grande quantità di impasto e la produzione ne risente. Ci sono pochi giovani disposti a sopportare ritmi così duri e a prestarsi a questo tipo di attività.

Karin: mentre mio marito fa il pane, io vendo al banco. Neanche il mio è un lavoro facile, perché per rapportarsi con i clienti bisogna essere molto pazienti, rispettosi e preparati. Infatti, rispetto a un tempo, i clienti sono molto più sensibili al tema dell’alimentazione e ci fanno spesso domande a cui non è facile rispondere: per esempio, molti ci chiedono che tipo di pane può mangiare chi ha il diabete, chi è intollerante al glutine, chi è vegano… Così noi commessi dobbiamo essere sempre informati su tutto!

Qual è la cosa più bella di questo lavoro?

Germano: la cosa più bella è vedere che, impegnandosi e facendo attenzione, il prodotto che facciamo riesce bene e piace ai clienti. Questa è la soddisfazione più grande!

Karin: qualche tempo fa, ci è capitata una cosa inaspettata. Una comitiva di giapponesi, tra cui due chef stellati, sono venuti a visitare la zona di Valdobbiadene, e si sono imbattuti per caso nel nostro forno. Ci hanno chiesto se potevano visitarlo, e così abbiamo mostrato loro tutto il processo di produzione del pane, facendo loro provare cosa significa “mettere le mani in pasta”. Tra loro c’era un giornalista inviato da una rivista eno-gastronomica giapponese, che trattava di cucina italiana. La nostra attività gli è piaciuta a tal punto che ci ha invitato a partecipare ad una trasmissione sul cibo italiano, girata proprio a Tokyo!

Abbiamo lasciato l’Antico Forno Vanzin, molto colpiti dalla passione di Germano e dalla gentilezza di Karin, portando a casa alcune pagnotte fumanti che avevamo contribuito a produrre e la sensazione di aver condiviso un’esperienza veramente stimolante.

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