Preferirei di no

Massimiliano Bredariol
darfiato
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3 min readJun 5, 2019

Torniamo in classe.

Con i ragazzi dell’Istituto Tecnico siamo appena stati a visitare un’importante azienda del territorio, una di quelle grosse, quelle che hanno individuato e sviluppato una nicchia di mercato talmente virtuosa da non conoscere crisi.

Lungimiranza, competenza, innovazione, questo trasmette il racconto del socio fondatore che molto gentilmente ci fa da cicerone e ci racconta la sua creatura animato da una vivacità contagiosa.

Dopo averci portato a visitare la produzione (“non tutto però eh, ci sono cose protette da copyright”), ci racconta la sua settimana tipo, snocciola le capitali mondiali che settimanalmente visita con la facilità con cui noi andiamo al supermercato, e scherza con la sua assistente sull’importanza di tenere un trolley sempre pronto, perché “non si sa mai quando si deve partire!”.

I ragazzi fanno domande sui materiali, sulle lavorazioni e sui clienti illustri; i più coraggiosi si spingono a chiedere quale sia il trattamento economico per un operaio.

L’imprenditore non esita un secondo e, calcolatrice alla mano, sciorina numeri e mensilità, aggiungendo che i soldi non sono un problema se c’è voglia di lavorare. Nella sua azienda è possibile fare carriera se si è appassionati a quello che si fa; ammette però che spesso molti giovani la passione non ce l’hanno, digeriscono male il lavoro a turni, la sera vogliono vedere la fidanzata, andare a Jesolo con gli amici, dedicarsi allo svago…

Lui e i suoi ragazzi, invece, stanno in azienda anche 14 ore al giorno ed è un piacere, perché l’azienda è un posto meraviglioso in cui crescere e appassionarsi, dice.

In classe, con gli studenti, ripercorriamo i punti salienti della visita con l’obiettivo di capire quanto sia stata rilevante nel loro percorso di avvicinamento al mondo del lavoro.

“Cosa vi ha colpiti di più?”

“Che sensazioni vi ha dato?”

“Mandereste un curriculum?”

Per fare questa analisi proponiamo ai ragazzi un’attività: devono scegliere una illustrazione fra quelle da noi fornite, che li aiuti a spiegare ciò che vogliono dire.

Ci sono varie immagini: una donna che esce da una scuola, un uomo che guarda dalla sommità di un pendio, un omino cosparso di punti di domanda ecc…

Giovanni (nome di fantasia) sceglie un’immagine che raffigura un uomo con una palla al piede gigantesca. Inizialmente mostra una certa ritrosia a raccontarcela, anche perché i suoi compagni, probabilmente contagiati dall’entusiasmo dell’imprenditore, hanno scelto tutti immagini forti e positive.

Giovanni borbotta qualcosa… Credo di aver capito cosa vuole dire, quindi lo incoraggio.

“Su Giovanni, raccontacela!”

Giovanni si schiarisce la voce:

“Ma se io la sera voglio vedere la mia fidanzata e gli amici sono un lavoratore sbagliato?”

Giovanni ci chiede sostanzialmente questo: è culturalmente deprecabile, nel 2019, proporsi nel mondo del lavoro con l’obiettivo di proteggere e conservare una dimensione privata e un tempo libero?

“Desiderare un lavoro a tempo pieno, ma non essere disponibile a fare turni e straordinari fa di me un cattivo lavoratore?”

Quelle parole mi colpiscono molto, forse perché, da bravo figlio di dipendenti statali, sono cresciuto con il mito che il lavoro dovesse essere una parentesi di 8 ore che doveva lasciare la vita privata immacolata. Invece, appartengo a una categoria che finisce la giornata sul divano a rispondere alle mail rimaste senza risposta per mancanza di tempo, o a finire di preparare questo o quel documento.

Come Bartleby, lo scrivano del famoso racconto di Melville, Giovanni dice il suo personale “preferirei di no”.

Cosa gli rispondiamo?

Da leggere: Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street — Herman Melville

Da ascoltare: Storia dell’uomo che volò nello spazio dal suo appartamento -unòrsominòre

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Massimiliano Bredariol
darfiato
Editor for

Operatore sociale di giorno, musicista di notte. Daydreamer at night.