Regionalità come italianità al cubo

Cibus Talks
Davide Bernieri
Published in
3 min readMar 22, 2018

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Più che made in Italy, oggi è la regionalità uno dei trend trainanti dell’agroalimentare sul mercato nazionale e su quello estero. E se fino a qualche stagione fa il tricolore in etichetta era un passepartout per fare breccia nel cuore (e nel portafoglio) del consumatore al di qua e al di là delle Alpi, oggi sono le regioni a dare un sovrappiù di garanzia di bontà, di vicinanza alla tradizione, di autenticità.

Fuori dallo stereotipo, noi italiani conosciamo il valore delle produzioni e delle cucine locali e diamo valore, per esempio, ai derivati dal latte provenienti dal Trentino Alto Adige, come rappresentazione di una terra incontaminata, ricca di pascoli o alle conserve vegetali siciliane, figlie del sole e di una sapienza antica nella conservazione e trasformazione di ortaggi e affini. Percorrendo lo stivale, ogni regione, addirittura ogni provincia, vanta produzioni e tipicità ben note non solo al popolo dei superappassionati gourmet, ma in maniera crescente a una schiera sempre più ampia di consumatori, in Italia e all’estero.

Secondo una ricerca Ipsos, infatti, il 70% degli italiani dichiara di prediligere prodotti di provenienza locale e il 56% ritiene che “alta qualità” faccia rima con “regionalità”, secondo un binomio così radicato nella testa degli italiani che non appare come una moda passeggera, bensì come un dato fondante della nostra italianità a tavola, quasi un lascito identitario iscritto nei nostri geni.

Del resto l’Italia, con le sue 818 indicazioni geografiche Dop e Igp registrate a livello europeo, assoluto primato mondiale, dà una rappresentazione plastica di questa sua ricchezza, che non è solo folklore, ma è il perno attorno al quale ruota l’intero sistema agroalimentare nazionale.

Secondo la quindicesima edizione del Rapporto Ismea-Qualivita, i prodotti alimentari tipici realizzano un valore di 14,8 miliardi di euro alla produzione e 8,4 miliardi all’export, ossia l’11% dell’industria alimentare italiana e il 22% dell’export agroalimentare. Secondo i dati Ismea-Qualivita, l’export di prodotti tipici (vino+food) è cresciuto del 140%, percentuale quasi doppia se si prendono in esame i soli prodotti alimentari.

E proprio in chiave export, la regionalità è vissuta come un’italianità alla potenza, capace di influenzare le terze/quarte generazioni di emigranti nel processo di recupero, anche alimentare, delle proprie radici mai abbandonate, oppure i tanti foodies cresciuti a web e documentari, nei quali cibo e cultura locale spesso assumono un aurea di magia irresistibile per gli occhi e per il palato.

Chiave di volta di questo fenomeno è l’uscita delle Pmi dai loro territori d’origine, processo in qualche modo foraggiato e agevolato dalle catene distributive che, soprattutto per le linee premium di prodotti a marchio, hanno attinto dal nostro patrimonio regionale.

Oggi, anche i retailer stranieri stanno guardando a questi “giacimenti” con un interesse crescente e, proprio a Cibus, al padiglione 8 “Local & Regional”, delegazioni di buyer provenienti da tutto il mondo potranno toccare con mano l’altissimo livello qualitativo delle produzioni regionali spesso portate avanti da Pmi che hanno saputo evolvere il proprio business nel rispetto della tradizione.

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