Imprese a caccia di competenze digitali. Il problema della ricerca è anche un problema di comunicazione.

denise baggiani
denise baggiani
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8 min readDec 11, 2019

Uno dei principali “topics” di discussione degli ultimi anni è senza dubbio costituito dall’effetto prodotto dalla digitalizzazione sul quadro economico e sociale.

Tuttavia, nonostante il proliferarsi di autorevoli analisi e valutazioni sul tema, le opportunità e le risorse espresse dalla nuova generazione di futuri lavoratori sembrano ancora poco comprese dalle imprese che invece devono gestire questa trasformazione.

Paradossalmente, la questione cruciale sembra essere proprio la comunicazione.

La digitalizzazione ha infatti modificato la comunicazione nel tempo e nello spazio, creando sintesi per ogni concetto, accorciando tempo e spazio comunicativo. Siamo nell’era degli acronimi, dei tag, degli hastag, link, alias e soprattutto delle immagini. Il mondo della Generazione Z.

Questo aspetto della comunicazione può sembrare una peculiarità solo del mondo Social o del Marketing, ma a bene vedere notiamo che questo “mood” induce tutta la società a modificare gli atteggiamenti in ogni ambito di vita, compreso ovviamente quello lavorativo.

Il mondo del lavoro con tutte le sue problematiche, non può quindi sottrarsi dall’ analizzare affondo questo fenomeno, perché le nuove generazioni, che costituisco la vera risorsa lavorativa del futuro, sono caratterizzate da stili di vita e approcci comunicativi che le imprese dovranno comprendere, se vogliono assicurarsi queste risorse.

E questa sembra proprio essere una delle principali esigenze delle imprese di oggi.

L’approccio alla ricerca e alla domanda di lavoro, ad esempio, come cambia rispetto al passato, grazie a questo nuovo contesto comunicativo?

Potremmo assistere ad un miglioramento dell’incontro tra chi cerca e chi offre lavoro?

Riusciranno le imprese ad intercettare efficacemente le risorse umane di cui hanno bisogno, individuando i profili giusti per gestire i nuovi modelli di business figli della digitalizzazione?

Un recente rapporto di Umana, svolto in collaborazione con l’Osservatorio Giovani dell’Istituto G. Toniolo di Milano e Valore D, ha mostrato un’inedita fotografia del mondo dei giovanissimi e del loro rapporto con il lavoro.

Ci siamo resi conto che i ventenni che entrano al lavoro oggi sono molto diversi dalle generazioni che li hanno preceduti. Dovevamo perciò fare un passo in avanti con l’umiltà di chi deve mettersi in discussione. Dovevamo avvicinarci e capire il loro mondo, individuando gli strumenti da dare alle aziende per consentire loro di trovare una strada per raggiungere questa nuova generazione, una strada verso il futuro che rappresentano — spiega Maria Raffaella Caprioglio, presidente di Umana

Un altro studio condotto per MONSTER dall’agenzia TNS e svolto su un campione di duemila giovani di età compresa tra i 15 e i 20 anni ha sostanzialmente confermato questo quadro.

Chi farà il suo ingresso nel mercato del lavoro nei prossimi 5–10 anni, avrà, rispetto a chi l’ha preceduto, una maggiore propensione a determinare ogni aspetto della propria carriera. La Generazione Z si dimostra una classe molto attratta dal denaro e per questo assai più motivata dall’aspetto economico del lavoro. Eppure, a parziale smentita di questo dato, gli analisti che l’hanno fotografata, indicano la Generazione Z come quella che più delle altre si aspetta che il lavoro all’interno dell’azienda abbia uno scopo maggiore che non assicurare uno stipendio a fine mese. E per raggiungere questo scopo, i dati dello studio indicano che cresce la disponibilità ad esempio a lavorare di notte e nei fine settimana, purchè venga assicurata una paga più elevata, ovviamente.

Un altro elemento significativo che emerge è poi che la Generazione Z è una generazione “mobile”. Tre quarti degli appartenenti a questa nutrita schiera di lavoratori (futuri) ammette infatti che, di fronte a una seria opportunità di lavoro, sarebbe disposta a muoversi dal proprio nucleo di appartenenza.

Certamente le grandi imprese o almeno le Società di recruting, hanno già improntato le proprie strategie di ricerca tenendo conto di questo scenario, mutando gli stili e i canali comunicativi.

La realtà però vede le piccole imprese ancora in difficoltà ad avvicinarsi a questo nuovo approccio. Alle difficolta nella gestione delle risorse umane si associano le difficoltà comunicative che riducono la capacità di attrarre competenze idonee a sostenerle verso una maggiore innovazione, sia di prodotto che di processo.

Chi invece riuscirà ad attrarre tali risorse potrà assicurarsi una maggiore sostenibilità economica e potrà puntare verso livelli di competitività in grado di sostenere scenari sempre più complessi e “interconnessi”.

Skill digitali e competitività delle imprese

I principali indicatori internazionali che misurano i livelli di competitività delle imprese italiane, nel nuovo contesto socio-economico, indicano il fattore risorse umane come fattore determinante nella determinazione del rating assegnato alle nostre imprese.

Il Desi, Digital economy and society index — l’indicatore che misura le performance dei Paesi europei rispetto alla transizione verso il digitale — ha collocato l’Italia al 24° posto nel 2019, rispetto al 25° del 2018.

Possiamo dire che, ricordando i cinquant’anni dallo sbarco sulla Luna, abbiamo fatto un deciso balzo in avanti!

Ma che cosa ha determinato questo passaggio, o meglio cosa ha impedito di arrivare se non sulla Luna, almeno in orbita?

Un fattore significativo della difficoltà al decollo, sembra sia dovuto proprio all’indice skill digitali (27° posto). In pratica il nostro capitale umano, risulta quindi più “analogico” rispetto a quello degli altri Paesi europei.

Anche i dati sull’economia digitale in Italia, secondo il World Economic Forum, mostravano il nostro Paese, 2017–2018, in una posizione migliore rispetto al passato (dalla 45esima alla 43esima posizione nella classifica!). Decisamente ancora lontana dalla media mondiale e fuori dalla top 10 della classifica europea.

Anche in questo caso il fattore competenze digitali, aveva un ruolo determinante.

Un altro importante rapporto di Nesta Italia, che analizza la situazione delle competenze digitali in Italia (344.907 occupazioni digitali richieste) e che mira a dare un orientamento al mondo del lavoro, dell’istruzione e formazione fornisce anche un’indicazione dei settori di attività che richiedono maggiormente competenze digitali, suddivise nelle varie regioni Italiane.

Chiaramente le richieste sono più alte dove maggiormente si sviluppano realtà fortemente orientate alla digitalizzazione: il settore in testa è quello dell’informazione e comunicazione e la regione è ovviamente la Lombardia quasi totalmente trainata dalla città di Milano.

Risulta anche evidente che la maggiore esigenza verso le competenze digitali sia concentrata nel settore terziario e dei servizi, rispetto a quello industriale e manifatturiero. Questo la dice lunga sulla capacità innovativa del nostro sistema industriale, probabilmente ancora troppo ancorato a modelli produttivi tradizionali ovviamente tipici delle piccole e medie realtà.

Questione di feeling tra imprese per le nuove generazioni

In un mondo così fortemente digitalizzato sembra che le nostre piccole imprese ancora non vogliono accettare che le risorse da coinvolgere nel loro processo di riconversione, non possono solo essere quelle da “riconvertite”, appunto. Non basta cioè la corsa alla formazione del personale per adeguare le loro competenze all’utilizzo delle nuove tecnologie ma serve anche una forte capacità di diffondere una cultura lavorativa nuova, che effettivamente possa adeguare il modello organizzativo al nuovo scenario. O meglio ancora coinvolgere le generazioni che sono portatrici di questa nuovo approccio.

Questo è sicuramente il fattore cruciale: non sono cambiati solo gli strumenti, è cambiato lo stile comunicativo, come dicevamo all’inizio, e con questo ovviamente la visione delle opportunità e delle strategie.

Sarà allora forse più efficace avvicinarsi meglio a chi già parla questo linguaggio, comunica e tratta questa realtà e su questa costruisce il proprio percorso formativo. Bisogna che le imprese, tutte, sappiano parlare in maniera convincente alle nuove leve del mercato del lavoro, utilizzando il loro linguaggio e negli stessi luoghi.

Considerando i già citati studi, per gli Zeta è importante poter combinare positivamente il lavoro con altre dimensioni di realizzazione personale. Aumenta inoltre sensibilmente tutto quello che rende dinamico, sfidante e innovativo il lavoro (complessivamente 35,4%). Piace anche la possibilità di viaggiare con il proprio lavoro (15,9%), interagire e incontrare persone nuove (9,5%).

In sostanza si capisce che per essere convincenti bisogna dare a loro una visione innovativa concreta, un’idea di sviluppo basata su obiettivi che vengono compresi da chi cerca nuove motivazioni, nuovi stimoli e soprattutto una visione basata su una sviluppo condivisibile e sostenibile. Operare nell’era dell’economia digitale, significa sostanzialmente trasformare la tecnologia presente nel processo di realizzazione o di utilizzo di un prodotto o servizio, in una tecnologia nuova che migliora, velocizza e rende qualitativamente più evoluto il prodotto e il servizio.

Basti pensare anche al ruolo dell’economia sostenibile, alla valorizzazione dei temi dell’ambiente e della sostenibilità e al loro impatto sulla generazione Z. La tecnologia così pervasiva dovrà comunque gestire una rivoluzione che invece deve essere a servizio di una maggiore tutela dell’ambiente e della qualità di vita delle nuove generazioni,

Ecco perché cercare di comprendere le dinamiche motivazionali, le aspettative e gli obiettivi della nuova generazione può aiutare a ripesare i modelli imprenditoriali e organizzativi ma anche a valorizzare la formazione dei lavoratori per l’adeguamento delle competenze digitali. Questo è forse il vero anello debole del nostro sistema, il varco che ci impedisce di agganciare efficacemente le opportunità della digitalizzazione per una crescita solida, sostenibile e in grado di generare nuove opportunità.

Pensare di acquisire risorse professionali preparate, formate e giovani, significa anche cercare di ripensare la propria organizzazione destinata a vivere, operare e quindi svilupparsi in un mondo e in mercato che sarà valutato e interpellato da questa generazione.

Sotto questo aspetto, se ci pensiamo, la capacità di acquisire il capitale umano assume le stesse dinamiche della capacità di acquisire quote di mercato o clienti.

Chiaramente la questione è complessa, in quanto anche la formazione dei giovani deve essere in grado di colmare le differenze esistenti tra il loro mondo e il mondo imprenditoriale. Se da un lato le nuove generazioni si trovano pienamente a loro agio nel “pensiero” digitale, non altrettanto facilmente possono gestire il passaggio dei sistemi produttivi verso la frontiera dell’innovazione, perché non conoscono o non comprendono le dinamiche che li caratterizzano.

Attraverso una ricerca condotta da Valore D attraverso delle survey a Hr Manager e Decision Maker di 41 grandi aziende di 11 settori differenti, emergono infatti le principali criticità che queste attribuiscono alla Generazione Z

Critiche sono: destrezza manuale, resistenza e precisione (80,5% delle aziende ritiene siano diminuite); lettura, scrittura, matematica e ascolto attivo (63,4% ritiene siano diminuite) abilità verbali, uditive, mnemoniche e spaziali (46,3% ritiene siano diminuite)

In sostanza emerge sia l’esigenza di un mix sempre più articolato di competenze digitali in grado di supportare le organizzazioni nella gestione del cambiamento, sia l’esigenza di un punto di incontro comunicativo tra le esigenze delle due parti. Si tratta di integrare nuove competenze e professionalità esistenti e che interessano ormai tutti i settori e funzioni aziendali, per trovare il giusto mix tra conoscenze, tecnologiche e “soft skill”.

Il percorso da intraprendere sarebbe quindi quello di integrare in maniera efficace le capacità “naturali” (ovvero digitali) dei giovani, con le conoscenze già acquisite dalle generazioni che operano nelle nostre imprese, per creare così quella competenza intrinseca (con riferimento alla nozione stessa di competenza come combinazione di conoscenze e capacità) che rende l’intera organizzazione pronta a gestire definitivamente lo scenario della digitalizzazione.

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denise baggiani
denise baggiani

Consulenza aziendale comunicazione e web, progettazione e organizzazione attività formative. Dal 2005 socia e Consulente della Esseti Servizi Telematici srl.