Turismo di prossimità, turismo green: il design di viaggio e destinazione si sposta in natura

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8 min readJun 16, 2021

Scritto da Giada Abbiati | Destination Makers

“È successo che all’improvviso siamo stati costretti a sperimentare un tipo di “vita vegetale”. In altre parole, da qualche mese a questa parte, siamo un po’ più simili alle piante.”

- Stefano Mancuso

Fino a un anno fa — e in realtà le speculazioni non sono ancora finite — ci si chiedeva quanto fosse possibile parlare di trend di viaggio duraturi, in grado di superare le costrizioni dovute alla pandemia. Eppure, l’emergenza Coronavirus ha semplicemente accelerato fenomeni di viaggio già in corso e adesso, con le campagne vaccinali e il miraggio delle riaperture all’orizzonte, questi comportamenti hanno solo raggiunto un ulteriore grado di maturazione.

La pandemia ha portato a una serie di episodi legati alla natura che invitano a riflettere: dal riappropriamento degli habitat da parte degli animali al fatto che hobby come il giardinaggio e l’agricoltura abbiano conosciuto una diffusione senza precedenti, fino al sempre trasversale tema della sostenibilità in viaggio che ha visto un’ulteriore presa di coscienza. Va da sé che nel 2020 i viaggi che hanno avuto maggiore riscontro sono stati quelli all’aria aperta, di prossimità, in luoghi dove nemmeno ci si sarebbe immaginati di poter ritrovare la natura.

Il ripensamento degli spazi non è più solo una prerogativa di uffici, urbanistica e abitazioni a causa dei nuovi comportamenti assunti, tra smart working e restrizioni, ma investe anche il rapporto che l’uomo ha con la natura. Il design delle destinazioni, l’ascolto, investe dunque anche la sfera più primordiale del rapporto che abbiamo con lo spazio e con il mondo: quella naturale.

Come affermato da Stefano Mancuso, Direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale e autore di bestseller come La Nazione delle Piante, in un video dedicato ai maturandi del 2020, a causa della quarantena siamo diventati simili alle piante. Riprendiamo contatti, intessiamo reti, (ri)sviluppiamo il senso comune e la voglia di scambiarci idee e confrontarci. Questo scenario interiore si proietta inevitabilmente all’esterno, perché dalle mura domestiche desideriamo uscire. Non si tratta solo spostarci liberamente, ma di viaggiare in posti nuovi, all’aperto, lontani dalle costrizioni di quattro mura e al contempo dalle masse di persone; ritrovando una connessione con l’ambiente circostante e quindi con noi stessi.

Un trend di viaggio già in crescita prima della pandemia, che con Destination Makers avevamo affrontato nel 2019 con la campagna di marketing Recharge in Nature: quello della disconnessione e ricarica in natura.

Il design di viaggio e di destinazione si sposta verso punti di vista diversi, più verdi, contemplando nuove modalità di intendere gli spazi e le attività che abitualmente fruiamo in quanto viaggiatori, ossia le strutture ricettive e le attività. Una lente che però ingrandisce con particolare criterio un elemento del viaggio, quello green e naturale.

Microricettività: lost in nature

Sono diverse le speculazioni sull’hotel del futuro, destinato a investire in maniera massiccia su sistemi di sanificazione infallibili e interazioni sempre più contactless, ovvero senza contatti, arrivando anche a scenari futuristici. Ecobnb raccontava già in questo breve articolo alcuni cambiamenti che avrebbero investito il comparto delle strutture ricettive, anche sulla base delle linee guida per il settore dell’ospitalità pubblicate sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Reception sempre più automatizzate, igienizzanti per mani presenti a ogni tavolo, ma soprattutto: l’inevitabile interesse e considerazione verso quelle strutture dotate di spazi aperti, in mezzo alla natura, perché “saranno preferite destinazioni vicine alla natura, piccoli borghi e parchi, dove è più facile rispettare la distanza sociale”.

Anche in questo contesto ritorna il concetto di riprendersi lo spazio e reinventare quello a disposizione, tramutando le aree aperte in zone di ristoro, accoglienza, esperienziali.
Un dato che continua a reiterarsi e che sottolinea una necessità ormai sempre più sotto gli occhi di tutti, quella di stare a pieno contatto con la natura, con i propri spazi, lontani dalle masse. Sempre Ecobnb ci parla infatti dell’importanza della biodiversità come mezzo per salvare il pianeta e per salvarci, tutelandoci da future pandemie.

Qui interviene nuovamente il design, stavolta simbiotico con la natura, per elaborare concept di viaggio e di destinazione “micro” in grado di convivere in armonia nel contesto ambientale, fornendo al contempo un’esperienza di viaggio di alto livello che risponde a una domanda di viaggiatori sempre più in crescita: la microricettività.

Questa ricettività “micro” mostra nuovi modi di vivere l’alloggio e il viaggio, ponendosi come un luogo in totale armonia con l’ambiente circostante, tanto da addirittura arrivare a fondersi con esso nelle sue espressioni più virtuose. Piccoli moduli che, nelle declinazioni di design più disparate, offrono uno spazio intimo che il viaggiatore può fruire in sicurezza, con la protezione della natura da una parte e quella di un luogo più isolato dall’altra. La microricettività diventa il nuovo hotel diffuso, in grado di impattare positivamente non solo sul benessere psicofisico delle persone, ma anche e soprattutto sull’ambiente poiché si inserisce come parte dell’ecosistema e non come intruso.

Daniele Menechini ipotizza in un post l’hotel post pandemico, che nella sua rappresentazione appare quasi come un albero — un essere perfetto e mutevole, nella sua immobilità — costituito da tante piccole stanze individuali, dove le misure non sono davvero così importanti, e in cui ogni elemento non solo favorisce una simbiosi con la natura (come le ampie vetrate che fanno entrare la vegetazione nel nostro spazio o i balconi invasi dal verde) ma garantisce il giusto distanziamento e, dunque, il giusto spazio.

Si tratta di un trend che già aveva preso piede negli ultimi tempi, quando le persone, stressate dai contesti e dagli inquinamenti cittadini, ricercavano eco-resorts per evadere, purificarsi e migliorarsi circondati da paesaggi incontaminati. Un concept che in Europa si sta già ampiamente affermando.
Dei luoghi, insomma, in cui il viaggiatore potrà non sentirsi recluso pur trovandosi in un volume ristretto ma anzi protetto e incentivato nelle sue facoltà psico-fisiche dalla natura. Perché, come riportato da Skift, “[Eco-resort] può essere qualsiasi tipo di alloggio — tende, singole strutture, hotel — ma dipende dal modo in cui viene gestito; è un hotel con una coscienza”.

Natura ed esperienze outdoor, vicino a casa

L’offerta esperienziale andrà a sua volta ridisegnata. La spinta verso la natura aperta ha portato infatti a un aumento delle attività outdoor, più salubri e in grado di fornirci i giusti distanziamenti sociali, ma soprattutto in grado di fornire una disintossicazione reale e genuina dalla tecnologia. Il New York Times riporta infatti un aumento dell’utilizzo di Facebook del 27%, Netflix del 16% e YouTube del 15.3%. Per non parlare di applicazioni per le videoconferenze come Zoom o di destinazioni che hanno convertito le proprie esperienze online come Faroe Islands e Helsinki.

Le esigenze che già esistevano da prima della pandemia, come la ricerca di spazio per pensare e disconnettersi, di luoghi puri in cui, tra le altre cose, poter osservare un cielo stellato con facilità (come evidenziato da Black Tomato nei propri trend del 2020), hanno subito un’impennata nelle ricerche di viaggio. Oggi, sempre Black Tomato nei trend del 2021 evidenzia, nella maggior parte, tendenze legate ai viaggi in natura: attenzione alla conservazione della biodiversità, ricerca del tempo perduto, viaggi in zone remote e naturali, modalità di viaggio “low and slow” dove la mobilità dolce e green la fanno da padrone.

Massimo Feruzzi, amministratore unico di Jfc, società di consulenza nel settore turistico, parla di effetto cocooning, cioè un “turismo caratterizzato dalla ricerca di sicurezza all’interno del proprio nido, la seconda casa, in quanto luogo conosciuto e al riparo”. Un trend che in realtà non è limitato alle seconde case, ma che si espande in tutto ciò che contempla un turismo all’aria aperta e gli alloggi con cui si intende viverlo, in prossimità.
I dati del resto parlano chiaro: c’è una forte volontà di tornare al viaggio internazionale, di organizzare i “viaggi di vita” che la pandemia ha in qualche modo arrestato, ma per ora la situazione prenotazioni rimane ancora sul domestico. Sulla prossimità che abbiamo imparato a riscoprire.

Cocoon è infatti il bozzolo, che di per sé come elemento è naturale e se da una parte protegge, dall’altra invita a uscire in un ossimoro quasi poetico. Si potrebbe dunque parlare di effetto cocooning come un desiderio di essere protetti pur uscendo all’aria aperta, dove proprio lo stare in mezzo alla natura è mezzo di protezione e rassicurazione circa il rischio di contrarre il virus viaggiando.

La Stampa in un suo articolo illustra potenziali scenari riguardanti la montagna, una delle aree più colpite dal calo drastico dell’attività turistica. È necessario reinventarsi, perché la domanda di aria pulita (che come afferma Phocuswire sarà probabilmente una caratteristica pubblicizzabile) e outdoor almeno inizialmente avrà nuove esigenze. Recarsi in luoghi meno noti e più vicini, come la montagna vicina alle grandi città; o ancora, praticare attività di wellness e wellbeing in quota dove l’aria è pura e le persone poche, sempre in quelle mete che verranno riscoperte per via di un turismo inizialmente di prossimità. Il ritorno alla terra e a un ritmo più lento non dettato dai repentini ritmi tecnologici e il desiderio di spostarsi con mezzi autonomi e green come la bici. Il food km0 acquista ancora più appetibilità e poterlo gustare in sicurezza senza assembramenti e magari in luoghi isolati e naturali (e creativi) può diventare una prima grande risposta.

I sentieri, insomma, cambiano. Non si intrecciano stavolta, ma optano per vie solitarie e nuove dove la natura si affaccia rigogliosa invitando il viaggiatore a un nuovo tipo di rispetto e modo di fare turismo. Vicino a casa.

Non amo l’uomo di meno, ma la natura di più

In queste righe che sembrano solo tendenze, si legge in realtà un concetto più ampio: la natura e l’aria aperta sono viste non solo come una via di fuga dalle quattro mura domestiche e dalle masse di persone, ma un modo per poter migliorare le destinazioni e così comunità locali e viaggiatori.

Lo sanno bene le destinazioni come Helsinki che lanciano sfide internazionali per attrarre i talenti del carbon free o come la Nuova Zelanda che lancia un piano per la fase di recovery che punta totalmente al green perché “la nostra industria del turismo dipende dalla salute della nostra natura e della nostra cultura, ed è quindi importante investire in queste infrastrutture critiche, piuttosto che in bulldozer e asfalto”. O ancora grandi città come Milano e Melbourne che reinventano il modo di vivere e fruire la vita urbana, più green, appunto. Più in prossimità, anche in contesti (come quello cittadino) dove trovare la natura risulta impensabile.

Un design che dà risalto anche a quei luoghi vicini ma fuori dai sentieri battuti nella riscoperta ed esplorazione di un territorio di prossimità.

Del resto, fuori dal bozzolo i primi passi che si muovono sono sempre vicino a casa.

Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla.

- Lao Tzu

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