GIORNO 34 — GI

Giulia Pozzobon
Diari da una zona rossa
5 min readApr 11, 2020

Le finestre sono spalancate, le infradito sciabattano sulle scale del palazzo, le lavatrici vanno, i panni sono stesi e asciugano in fretta, le terrazze sono stazioni barbecue, i ragazzini fanno su e giù in bici, un caduto al giorno per la legge del ginocchio grattato obbligatorio.

Siamo tutti a casa nella via dove abito e siamo un villaggio, come non eravamo mai stati. L’intimità dei nuclei familiari prende la via delle finestre aperte e le voci sono dappertutto. Così partecipiamo e ci scambiamo il privato in una specie di operazione verità a cui non eravamo affatto preparati. È un’altra faccia di questo lockdown: obbligati nelle nostre case, mostriamo a chi ci vive vicino qualcosa di più di quello che facciamo quando possiamo spostarci.

Le foto di Giulio nel progetto Home_made, per me parlano di intimità. E lo fanno in un tempo giusto, cogliendo, di quello che stiamo vivendo, una vena essenziale. Si appoggiano sul limite e lo trasformano in creatività, parlando delle persone e delle loro case, di una condizione universale ma anche di storie precisamente particolari. Ho conosciuto Giulio per lavoro, ci siamo visti solo un paio di volte ma ho tenuto d’occhio la sua ricerca fotografica perché è uno di quelli che cercano veramente. Ho pensato di dedicare il diario di oggi a questo suo progetto appena lanciato, sono convinta che le sue risposte vi piaceranno.

Che cosa significa per te fare il fotografo?

Amo la sintesi. Penso che fotografare voglia dire prima di tutto sentirsi a proprio agio nellosservare, nellascoltare, nel cercare ordine e metafore in ciò che ci circonda più che nel parlare. E quando senti di voler dire qualcosa lo fai non a parole, ma con un altro linguaggio, che se usato bene sa essere estremamente ricco e al tempo stesso sintetico. Sento nell’immagine una gamma di sfumature e significati che incontra la soggettività di chi la osserva, dando come esito non solo la trasmissione di un messaggio ma di unidea, un emozione non sempre nitida e definita.

Come stai vivendo questo tempo? Sul piano pratico e sul piano del pensiero.

Sai quando stai facendo mille cose e non ti lasci (forse volutamente) il tempo di farti le domande che sai dovresti farti? Nei momenti di pacenel conflitto tra il fatto di sentirmi grato per quello che fortunatamente stavo vivendo solo da lontano e in colpa per quello che fortunatamente stavo vivendo solo da lontano, ho sentito di avere del tempo per me, per farmi queste domande e tentare di rispondere. Allinizio non è stato facile. Forse mi ha aiutato di nuovo il fatto di osservare. La mia casa, gli oggetti che non vedi più, il pianerottolo, i vicini, il mio corpo, la mia testa rasata, i libri di fotografia letti 10 anni fa. Quando mi sono creato una nuova routine, con una realtà di casa molto più semplice e senza pressioni rispetto a prima ho iniziato a stare davvero bene. E li ho cominciato a pensare a cosa potevo mettermi a fare.

Qual è l’urgenza che ti ha spinto a creare il progetto Home_ made?

È nata una curiosità: ora che ho osservato cosa succede in casa
mia (mi ero anche installato delle video camere di sorveglianza
molto economiche nelle stanze di casa per fotografare le mie
giornate) perché non andare nelle altre case?

Qualche settimana fa cercavo immagini sulla relazione fotografo — fotografato e arrivo a questa immagine pazzesca: uno fotografo, A.H. Wheeler, ritraeva se stesso mentre stava facendo un ritratto; onestamente non ho ancora capito cosa mi streghi di questa fotografia.

A.H. Wheeler, photographer, Berlin, Wis. 1893 — la foto profilo del progetto Home_made

La posizione del soggetto a proteggersi dal fuoco della macchina
fotografica, la tensione ma anche la delicatezza della scena, il poggia testa, la cura del fotografo, nel pensare una scena simile e nell’esserne parte, non so.
Forse il fatto che pur essendo unimmagine del 1893 sembri in realtà così contemporanea.

Da tempo penso che una fotografia sia la relazione che si crea fra due soggetti, siano essi un soggetto altro, il fotografo stesso, una visione, un oggetto; cioè penso proprio la fotografia stia lì in mezzo, fra le tensioni e le intese che si creano nella traiettoria dei soggetti coinvolti e dei loro mondi.

Ma una relazione e una fotografia richiedono vicinanza?
Se la foto non è buona vuol dire che non eri abbastanza vicinodiceva Robert Capa.

Oggi, chi è fortunato, è a casa.
Come sarebbe un ritratto dello stare, a casa?
Può esistere un ritratto a distanza di sicurezza?

Cosa può raccontare una fotografia dove la distanza, cioè quel che sembra la negazione della fotografia stessa, ne diventa ingrediente?
La tecnologia è capace di raccontare e ridurre questa distanza?
Questa, è fotografia?

E così ho iniziato a chiedere ad amici di farmi entrare a casa loro, per far due parole prima di tutto e sintetizzare il tutto in qualche immagine.

Guardando questo tuo progetto mi è venuto in mente il concetto di punctum di Roland Barthes, quella porzione magnetica dentro le foto. Qual è il punctum che cerchi nelle tue foto?

Sono sempre molto rigoroso, quasi noioso, nella composizione delle mie fotografie; intravedo o creo una base per poter raccontare qualcosa e poi cerco esattamente quel punctum, spesso inatteso, che si materializza per magia, dalla combinazione dei vari elementi messi assieme aggiungendoci a volte la giusta attesa, a volte interagendo con loro, a volte inserendo degli errori o dei disturbi. Non sempre succedono le magie ma, quando succedono, la base creata aiuta ad esprimergli.

Sei uno che fa scelte radicali nella vita. Quali scelte dovremmo fare secondo te una volta passato questo tempo di isolamento?

Penso si possa far molto già ora: ci capita di avere abbastanza tempo per fare la spesa in questi giorni; magari non tempo nel fare la spesa ma tempo per osservarla.

Secondo me, una volta arrivati a casa, potremmo sederci e studiare la nostra spesa, cercando di capire per ogni cibo comprato, da dove questo venga, come venga prodotto, chi lha prodotto, come lo comunica, cosa mi sta dicendo e cosa no, perché lho comprato. Scavare nel contesto alimentare penso sia una ricerca che merita, anche perché quanto sta succedendo è strettamente collegato alla catena alimentare e perché al momento, assieme al nostro sistema sanitario PUBBLICO, è ciò che sta tenendoci a casa tranquilli. E poi penso dovremmo usare questo tempo per farci seme, immagazzinare energie e idee e seminare in modi e direzioni diverse da quanto fatto prima. Sembra una frase alquanto profetica, ma penso lasci il giusto spazio ad ognuno per dare uninterpretazione vicina al proprio vissuto.

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