GIORNO 45 — SE

Serena Zambon
Diari da una zona rossa
5 min readApr 22, 2020

GI, SI ed io da un paio d’anni a questa parte abbiamo stabilito delle piccole tradizioni: un viaggetto in una località di mare all’inizio dell’estate e sempre nel periodo estivo un bel concerto, di quelli medio grossi in uno di quei festival estivi che richiamano nomi importanti.

Il concerto live d’estate è una di quelle cose costanti nella mia vita. In passato ho avuto la fortuna di vedere artisti incredibili, sperimentando sia il locale piccolo e fumoso, o il club super underground, sia i grandi concerti estivi nelle piazze o nei parchi.

Ricordo ancora l’adrenalina provata a Torino nel 2004, il concerto era di Iggy Pop con praticamente tutta la line-up originale degli Stooges, all’epoca avevo vent’anni e Iggy era uno dei miei più grandi idoli (lo è ancora adesso). Due ore tiratissime in mezzo ad una folla in delirio e a momenti di pogo in cui la gente rischiava di farsi staccare la testa o finire risucchiata in un vortice di esseri umani.

Oppure mi ricordo l’emozione impossibile da trattenere a Firenze nel 2009, durante il concerto in cui Patti Smith celebrava l’anniversario di un altro suo storico live tenutosi sempre in piazza Santa Croce, nello stesso giorno ma nel 1979. Una folla immensa che quella sera era unita in un unico grandissimo abbraccio attorno a questa donna e artista incredibile.

Si può dire che ho maturato sul campo una certa esperienza e mi considero ormai una specie di maestro Yoda dei live. Conosco le regole implicite di questo tipo di rituale e via via ho affinato la mia personale tecnica per affrontare il tutto al meglio: scarpe coerenti con il look scelto ma adatte a stare in piedi per molte ore, effetti personali ridotti al minimo per essere libera di muovermi, cellulare da usare solo per qualche foto o pochi video e poi stop perché il concerto si guarda e si vive in “presenza” e non attraverso lo schermo di uno smartphone, ma soprattutto ho messo a punto la mia abilità di arrivare sotto palco, perché non ha senso vedere i concerti stando indietro, bisogna stare li dove c’è l’azione e si vive quasi assieme ai musicisti ciò che sta accadendo.

La tecnica in realtà è molto semplice, si parte stando un po’ nelle retrovie, si aspettano le prime canzoni così il pubblico si scalda e poi quando ci sono i pezzi più tirati si approfitta della confusione e dell’eccitazione per avanzare.

Affronto i concerti con questa modalità fin da quando ho quattordici anni e alla fine sono sempre riuscita ad arrivare se non in prima fila, subito dietro.

Un paio di estati fa con GI e SI abbiamo scelto di andare a Lucca a vedere Nick Cave and The Bad Seeds. Questo è un concerto che è rimasto nella mia memoria, principalmente per due motivi. Il primo è chiaramente la performance della band: travolgente, teatrale, cruda ed elegante allo stesso tempo. Il secondo motivo non è altrettanto entusiasmante purtroppo, quella sera infatti mi sono trovata in mezzo ad un pubblico parecchio aggressivo ed estremante sgradevole (e non nel senso punk, ma solo stronzo del termine). Un gruppo di persone che sembravano essere lì per i motivi più sbagliati e solo per sfogare un po’ di frustrazione invece che per condividere un paio di ore rigeneranti.

Come dicevo, sono sempre stata abituata a partire dal fondo per raggiungere man mano la mia trincea sotto il palco, ma quella sera a Lucca ho temuto seriamente che qualcuno mi volesse strozzare. Lo so che non è sempre simpatico quando uno ti passa davanti, ma non penso di aver mai ricevuto tanti insulti e calci come in mezzo all’elegantissimo e intellettuale pubblico del Lucca Summer Festival.

Nel corso delle successive settimane i ricordi di quella serata si sono focalizzati solo sul fastidio provato e per un po’ mi è passata la voglia di trovarmi in contesti simili.

Ora che sono trascorsi un paio d’anni, e che giorno dopo giorno vedo cancellare i concerti di cui avevo già comprato i biglietti per questa estate, se penso a quella sera ciò che mi viene in mente è la botta allo stomaco di quando tutti i Bad Seeds cambiano improvvisamente ritmo in Loverman, o le lacrime in fondo alla gola ogni volta che sento le prime strofe di Into my Arms.

E poi anche il caldo soffocante in mezzo ad una folla elettrica, gli sguardi d’intesa a pochi centimetri l’una dalle altre con GI e SI, i corpi appiccicosi che si toccano controvoglia e le tante birre condivise. Insomma un po’ di fastidio è passato ed è rimasto il tipico insieme di sensazioni fisiche ed emotive che definiscono quel tipo di esperienza.

Ecco tutta questa sega mentale sui concerti a cui sono andata solo per arrivare a chiedermi quello che tutti si chiedono ultimamente, nulla di nuovo come pensiero da quarantena, ma più che attuale ora che si apre la stagione estiva. Mi chiedo naturalmente quando sarà possibile ancora vivere in questo modo la musica? E quando si ricomincerà ad andare ai festival? Sarà tutto come prima o a quale modalità ci dovremo abituare? Perderemo qualcosa o ci inventeremo qualcosa di nuovo?

Ci avevamo messo un po’ a superare alcune paure dopo quello che è successo al Bataclan e ora ci ritroviamo nuovamente a dover fare i conti con qualcosa di inaspettato e pericoloso che ci potrebbe capitare stanno tutti assieme a sentire musica dal vivo.

Questa settimana ho visto che Rockit in collaborazione con MI AMI Festival ha fatto una piccola ricerca per capire come sarà il mondo dei concerti nel dopo Covid-19. Un veloce form composto da poche domande in cui si chiede quali sono i termini che un live deve rispettare per far sentire “sicure” le persone ad un concerto: distanze di sicurezza, mascherine, oppure la possibilità di accedere solo se in possesso di un documento che certifichi la negatività al virus.

Ragionandoci ora mi sembrano tutte condizioni impossibili, ma chi lo sa che cosa succederà?

CANZONE DEL GIORNO (e chi se non lui?)

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