GIORNO 46 — GI

Giulia Pozzobon
Diari da una zona rossa
3 min readApr 23, 2020

“Chiediamoci che cosa toglie al lavoro il fatto di non condividere lo stesso spazio fisico con i colleghi”. È Valentina a proporre questa domanda oggi, nel corso di una riunione. Siamo totalmente remote working da quando abbiamo aperto questo diario ma le domande mica smettiamo di farcele. Anzi è proprio adesso che viene il bello, ora che un po’ di esperienza si è fatta, ora che lo stravolgimento è avvenuto e abbiamo costruito uno stare diverso. Ora che probabilmente tra un paio di settimane saremo anche in grado — almeno in parte — di rivederci dal vivo.

Da quando tutti e 100 abbiamo spostato il lavoro a casa, la qualità di quello che facciamo non è diminuita, anzi direi che, per quanto mi riguarda, è pure migliorata (dopo il primo scossone di assestamento): più precisione, più velocità, più capacità di sintesi. Il nostro tratto funzionale, come lavoratori dell’immateriale, ha probabilmente fatto un’esperienza molto istruttiva, non solo sul piano individuale ma anche su quello di team, che poi è la dimensione del 80% del nostro lavoro. Certo, la complessità nel trovare soluzioni di pianificazione e l’accelerazione nei tempi sono cresciute ma si tratta di difficoltà già in atto in condizioni normali che si sono in questa condizione potenziate. La produttività non è cambiata e nemmeno l’orientamento al risultato, la voglia di fare bene, la spinta creativa sono cambiate. Dovremmo tornare a chiedercelo se la situazione si protraesse ancora a lungo, direte voi. È vero, lo faremo. Ad ogni modo, mi sento di dire che il disagio vero veniva e viene dallo stato di sospensione e limitazione più generali: è l’assenza di vita sociale, la privazione della libertà di movimento, il fenomeno globale e psicologico che stiamo vivendo che in tanti momenti ci hanno resi insofferenti e tristi, incapaci di trovare equilibrio tra vita privata e lavoro.

E allora, tornando alla domanda di Valentina, potremmo concludere che di fatto stare insieme in uno stesso ufficio non è un fattore influente sulla qualità del lavoro perché riusciamo a fare tutto anche stando in luoghi diversi. Sappiamo che il lavoro in uno spazio condiviso si porta dietro delle pratiche sociali che hanno eccome un impatto sul nostro benessere di lavoratori ed esseri umani: il caffè e il pranzo insieme, le chiacchiere e il gossip tra una riunione e l’altra, le pizzette ai compleanni e tutta un’infinità di rituali fondamentali per dire che stiamo vivendo non soltanto come funzioni. Ma non è questo il punto che vorrei sottolineare, quello lo abbiamo detto tante volte.

Vorrei arrivare a dire che ci sono degli aspetti puramente professionali che rendono ancora attuale quest’idea così novecentesca della condivisione di un luogo di lavoro (magari non proprio tutti i giorni sarebbe meglio per me). E questi due aspetti professionali sono la simultaneità e la relazione dei corpi.

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  • Solo essere nello stesso spazio, mi consente di incrociare per caso il mio collega Michele, guardarlo in faccia e simultaneamente ricordarmi che aspetta una risposta e che forse, adesso che ci penso questi 5 secondi netti ce l’ho una risposta anche se 5 secondi prima mi pareva di no. Il caso di vedere Michele attiva il mio cervello e il fatto che lui sia lì in quel momento fa trovare a tutti e due una soluzione. Quanto incide il caso nel nostro lavoro? Quanto serve essere co-presenti? È stancante? Sì, molto. Pressapochista? Dipende dal punto di vista. Interessante? Moltissimo.
  • I corpi parlano, lo sappiamo tutti. A volte fanno talmente tanto casino che vorremmo proprio scomparissero. Però aiutano anche e non perché si debba per forza andare in giro ad abbracciare tutti ma perché ci fanno trovare alleanze, intuire le relazioni e i pensieri, sentire delle cose. Mentre faccio una riunione nella stessa stanza, incrocio gli occhi degli altri, capisco se sto dicendo una cazzata dalla faccia delle persone, mi accorgo meglio se sono equilibrata, aggressiva, scocciata, convincente, piacevole. Per via dei corpi che vedo davanti a me. Stancante? Sì decisamente. Poco efficiente? Credo il contrario. Interessante? Moltissimo.

In entrambi i casi parlo di una dimensione teatrale del lavoro e dello spazio lavorativo. La dimensione del caso e della relazione fisica che non sono affatto propri del nostro ruolo funzionale ma ho l’impressione che per adesso siano ingredienti abbastanza irrinunciabili della qualità di alcune nostre risposte.

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