GIORNO 49 — GI

Giulia Pozzobon
Diari da una zona rossa
5 min readApr 26, 2020

Ieri era il 25 Aprile, il giorno della Liberazione. Poco prima di pranzo ho raggiunto la casa di mia madre e mi sono messa al sole in terrazza, vicino alla bandiera italiana che lei aveva appeso la mattina presto, come ogni anno quando arriva questo giorno. “Buona liberazione, mamma” “Buon 25 aprile, Giuli”.

Intorno alla casa, era un tripudio di alberi in germoglio, api impollinatrici, tutta una danza di ombre e foglie verdi. Mi si sono accesi i sensi. Le case di origine sono scrigni del tempo e delle sensazioni, il mio corpo reagisce, la memoria si apre, risale tutto senza distinzione, il bene e il male. Dopo quasi 50 giorni di assenza totale di contatto, stare vicina fisicamente a un’altra persona, a mia madre, mi ha emozionato.

Abbiamo parlato della situazione che stiamo vivendo, mi ha riportato la rassegna stampa dei giornali che legge, mi ha fatto anche vedere dei video che riceve su whatsapp, abbiamo parlato di donne, di me, di lei, di mia sorella e di sua figlia che è nata poco più 2 mesi fa.

Oggi è domenica e ho pensato di dedicare di nuovo alle donne i miei pensieri. Ho sentito Claudia che proprio in questi giorni — insieme al suo gruppo di lavoro — ha lanciato una iniziativa sul territorio di Treviso che si chiama Centro delle donne libere dalla violenza. Mi ha raccontato alcune cose importanti che trovate qui sotto. Le informazioni su orari e dettagli del centro potete trovarle al link che sta in didascalia all’immagine.

https://www.facebook.com/centrodonnelibere/

Perché hai e avete deciso di avviare questo progetto, perché proprio adesso?

È provato che, in tempi di incertezza economica e instabilità sociale, gli abusi tra le mura di casa aumentano: solo a marzo, il mese del #IoRestoaCasa, si sono registrati in Italia cinque femminicidi. Si attende inoltre un aumento delle richieste di aiuto al termine dell’emergenza, come è già successo in Cina, dove è stato rilevato un forte incremento dei casi di violenza domestica, confermato dall’impennata del numero di denunce per violenza e maltrattamento registrate al decadere delle misure di isolamento. Nelle prime due settimane del mese di marzo 2020 le chiamate al 1522, il numero nazionale per le segnalazioni di violenza e stalking, sono diminuite del 55% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma la riduzione delle richieste di aiuto non è il riflesso di una riduzione del fenomeno: le misure restrittive adottate in questa fase di emergenza accrescono la difficoltà nel richiedere aiuto da parte di una donna costretta alla coabitazione forzata con un uomo maltrattante. L’inaugurazione del Centro delle donne libere dalla violenza prevista per il 18 di marzo è stata annullata per l’emergenza covid. Come équipe abbiamo deciso di andare oltre la “formalità” dell’inaugurazione classica, e di non rinviare oltre l’avvio del Centro, che dalla prima settimana di aprile è attivo da remoto e appena possibile aprirà, dal lunedì al venerdì, nella sua sede a Quinto di Treviso.

Che cosa avete registrato rispetto alla violenza domestica in questo periodo di reclusione? Puoi darci qualche numero sul ricorso ai servizi di supporto in questo ultimo periodo?

Le donne che hanno contattato il Centro Antiviolenza sono già 4: 1 caso di stalking con richiesta di una prima consulenza sulle tutele legali; 2 situazioni di violenza domestica di cui una con attivazione della pronta accoglienza, l’ultima ha richiesto invece una consulenza per la ricerca abitativa. La quarta situazione riguarda sempre una situazione di maltrattamento in famiglia e ha richiesto l’attivazione di un percorso di supporto psicologico. L’équipe del nuovo Centro antiviolenza di Quinto di Treviso ha deciso di destinare una parte dei fondi (ottenuti dalla Regione del Veneto) all’accoglienza in emergenza all’interno di strutture alberghiere del territorio. Per questo motivo abbiamo contattato 13 strutture alberghiere della provincia, 11 sono risultate chiuse mentre 2 hanno già dato la loro disponibilità. Quelle che ora sono chiuse verranno comunque ri-contattate nel mese di maggio perchè questa opportunità ci sarà per tutto l’anno 2020, e stiamo coinvolgendo anche la federalberghi per poter costruire una convenzione.

In che cosa consiste il supporto che offrite? Fino a dove arrivate?

Il nuovo Centro Antiviolenza accoglie e sostiene le donne nel loro percorso di uscita da situazioni di maltrattamento famigliare e violenza di genere, con il supporto di una rete di professioniste. L’équipe di lavoro coinvolge psicologhe, educatrici ed avvocate da anni impegnate in progetti e servizi per l’empowerment delle donne che subiscono maltrattamenti in famiglia, sia nel Centro Antiviolenza del Comune di Venezia che nel trevigiano, dove gestiamo la casa rifugio Casa Luna del Comune di Treviso che dispone anche di una pronta accoglienza per mettere in sicurezza le donne h24 7 giorni su 7. In questo periodo non siamo aperti al pubblico ma da remoto garantiamo ascolto telefonico per la prima fase di accoglienza e valutazione del rischio. Un aiuto anche nella connessione con i Servizi Sociali Comunali e dell’Aulss di riferimento, e con le realtà del privato sociale, soprattutto per comprendere l’organizzazione di tutti questi servizi durante il periodo di emergenza. Il servizio offre inoltre sostegno psicologico, consulenza legale e orientamento nella ricerca di lavoro. Le operatrici concordano di volta in volta il canale più opportuno per agire in sicurezza, oltre al contatto telefonico, è possibile usare le piattaforme online.

Riesci a dire qual è il motivo più ricorrente che mette in atto una dinamica di violenza?

La violenza di genere ha una matrice culturale, non ci sono “cause”, c’è sempre una cultura che legittima la subordinazione e l’uso della violenza fisica, sessuale o psicologica, ma anche la dipendenza economica per mantenere il controllo sulla donna. Ci sono dei meccanismi che la alimentano e la mantengono e sono questi: l’isolamento (dai familiari, dagli amici, dai colleghi… da tutte le persone a cui si può chiedere aiuto), la denigrazione e la svalutazione continua, gli insulti, la minimizzazione, le minacce di morte, i ricatti sui figli, l’alternanza e l’imprevedibilità di momenti di tranquillità a momenti di violenza, il cosiddetto ciclo della violenza.

Quando e perché tu, Claudia, hai deciso di occuparti di questa materia?

Io e la mia équipe di lavoro abbiamo deciso di occuparci del tema del contrasto alla violenza verso le donne perché dal 2008 lavoriamo all’interno di progetti che promuovono su più fronti la parità tra uomo e donna, innanzitutto per un senso di responsabilità civico e sociale, in quanto riteniamo fondamentale promuovere la cultura del rispetto ed esprimere un chiaro e deciso dissenso verso qualsiasi forma di violenza perpetrata sulla base dell’identità e dell’appartenenza di genere. Negli ultimi anni, anche a seguito della partecipazione a corsi di specializzazione sul tema, abbiamo deciso di portare l’approccio della cooperativa anche in progetti specifici di contrasto alla violenza di genere. Quando si parla di violenza, il focus è spesso diretto al maltrattante, ma ancora troppo poco ci si pone nella prospettiva vittimologica, e cioè di chi la subisce, sottovalutando l’importanza di rispondere ai bisogni della donna e di tutelarla. Riteniamo importante mettere a disposizione le nostre competenze per offrire una risposta che rappresenti un’alternativa concreta al contesto di violenza e che possa ridare alla donna dignità, autostima e fiducia in se stessa. E in alcuni casi salvarle la vita.

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