GIORNO 51 — SE

Serena Zambon
Diari da una zona rossa
3 min readApr 28, 2020

Domenica, come ho scritto, mi sentivo ad un passo dalla fine di questa segregazione.

Era solo qualche giorno fa quando mi sembrava che qualcosa dovesse cambiare in modo più significativo; non avevo speranze precise ma sentivo attorno a me la netta sensazione che la situazione sarebbe mutata. Intendiamoci, non mi illudevo che tutto tornasse tranquillamente come prima, davo per scontato una nuova realtà fatta di mascherine, guanti e igenizzante sempre a portata di mano, ma mi ero illusa che le restrizioni si attenuassero (almeno nella mia regione) e che si potesse cominciare pian piano a scegliere liberamente come organizzare il proprio tempo e il propri spazi.

Non so perché pensassi così domenica.

Mentre Conte cominciava la sua conferenza stampa io ero al computer con alcuni amici e chiacchieravamo provando ad immaginare come ci saremmo potuti organizzare per fare un picnic all’aperto dopo il 4 maggio. Non so perché davo per scontato il fatto che in qualche modo questa situazione si sbrogliasse un po’ di più e che ci fossero delle modifiche sostanziali alle limitazioni imposte.

Mi sembrava logico, naturale… del resto non ho provato rabbia o fastidio quando a metà aprile era stata comunicata l’estensione della quarantena, istintivamente mi sembrava una scelta logica e il mio cervello non aveva messo in moto alcun meccanismo di obiezione. Ma domenica ero convinta che le notizie sarebbero state diverse.

Ho smesso da un po’ di informarmi in modo attento sui dati e numeri del contagio, ho chiuso fuori dalla mia testa alcune informazioni e mi sono basata solo su quello che mi sembrava giusto (in modo totalmente opinabile): 2 mesi e mezzo sono più che sufficienti, quindi ci faranno uscire!

Quello che ho provato domenica è stato un po’ come quando a scuola sei convinto di aver scritto un tema interessante e pieno di trasporto, ma poi non riesci a contenere la sorpresa e la delusione quando ti torna indietro corretto e scopri che era solo un disastro di pensieri confusi. Ho provato quella stessa sensazione di delusione quando ho capito che non sarebbe cambiato granché. Un insieme di amarezza e denti stretti per non lasciar scorrere fuori la tristezza.

51 giorni di quarantena oggi e io inizio ad essere veramente stanca.

Mi sforzo di raccogliere i pensieri e ordinarli in questa pagina, ma mi rendo conto di vivere ormai un piccolo loop, come tutti.

Che cosa posso raccontare? E che cosa racconterò ancora fra 2 giorni?
Le mie giornate sono scandite solo dal lavoro che mi tiene impegnata la mente e le mani ma ormai mi sembra una specie di videogioco, una realtà parallela in cui ci concentriamo su progetti che non sembrano più di questa epoca o di questo mondo. Ragioniamo su come migliorare la collaborazione fra dipendenti, o come ripensare l’approccio al lavoro per renderlo più veloce e funzionale, come comunicare nuovi prodotti o come costruire percorsi per formare leader consapevoli, ma hanno ancora senso queste cose oggi? Hanno senso in questa dimensione sociale che si sviluppa solo attraverso una rete di computer?

Il resto del tempo cucino o guardo film e serie tv che raccontano di una realtà che non è più reale, che si è cristallizzata a qualche mese fa. Guardo senza riuscire a staccarmi totalmente dal mia quotidiano e me ne rendo conto perché continuo a fare gli stessi ragionamenti senza accorgermene: perché i protagonisti non hanno le mascherine? Perché si spostano liberamente? È una sensazione che dura pochi attimi e che poi improvvisamente si dissolve quando realizzo che sto guardando solo un film, ma non riesco a scollegare questa nuova assurda dimensione che ci caratterizza e dopo pochi minuti faccio lo stesso tipo di pensieri, come se inconsciamente il mio cervello cercasse di riprogrammarsi per un futuro che non è più quello che ci aspettavamo.

CANZONE DEL GIORNO

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