GIORNO 55 — GI

Giulia Pozzobon
Diari da una zona rossa
3 min readMay 2, 2020

Sabato del villaggio oggi, in attesa di un 4 maggio che dovrebbe cambiare almeno in parte le nostre routine. La situazione rimane incerta, ormai è abbastanza chiaro che non ci disferemo facilmente di questo sentimento serpeggiante di dubbio su comportamenti, azioni e capacità prospettiche. Non è per niente facile e lo scetticismo è dietro l’angolo ma mi ostino a sperare che insieme si possa trovare un qualche equilibrio.

Le scoperte di questo ormai lunghissimo periodo non mancano, mi rendo conto che la mia capacità di osservazione si è alzata parecchio e si posa su ogni aspetto della vita, per condizione obbligata e per condizioni mutate. Mi piace osservare tutto come se fosse nuovo, credo venga naturale a molti di noi, proprio in virtù di questa rottura della normalità. A volte però tutto questo osservare e osservarmi mi spaventa un po’. Non faccio grandi previsioni future ma spesso mi viene in mente quella frase di Gilles Deleuze ne L’immagine-tempo, “un po’ di possibile, sennò soffoco”: qui e ora certo, stai nel presente, la vita avviene adesso, benissimo però come si fa a disinnescare quell’istinto a guardare in là, a immaginare e costruire scenari? Quanto sarebbe bello essere tutti buddisti, figli di Schopenhauer tutt’al più, io ancora non ci sono arrivata ma mi sa che manco ci voglio arrivare.

A proposito di futuro, oggi mi sono ricordata di quanto mi mancava vedere un certo tipo di documentari, quelli alla Herzog per intenderci: ne ho visto uno uscito nel 2010 che si chiama Into eternity e parla di futuro. Lo fa intorno a un dilemma tanto reale quanto colossale: sull’isola di Olkiluoto in Finlandia si sta costruendo un monumentale deposito di scorie radioattive, l’ Onkalo spent nuclear fuel repository.

uno dei tecnici di Onkalo

È un opera di ingegneria mai vista prima che ha la funzione di “stoccare” 250.000 mila tonnelate di combustibile nucleare esaurito che devono rimanere in sicurezza, non raggiunte da NESSUNO per i prossimi 100.000 mila anni. È una specie di gigantesca caverna sotterranea, profonda qualche chilometro, scavata nella pietra arenaria finlandese, giù giù in fondo per depositare un rifiuto tossico che non esaurirà il suo potenziale radioattivo prima del 102.020 dopo Cristo. 100 mila anni, capite?

Il documentario ruota intorno a questa enorme opera e a tutte le implicazioni che si porta dietro con una domanda al centro: cosa dobbiamo lasciar detto o scritto a coloro che esisteranno — se esisteranno — tra 100 mila anni? E come glielo diciamo, in che lingua? Che esseri umani saranno? Che tecnologie useranno? Avranno sviluppato nuovi sensi?

Per intenderci, la differenza che passerebbe tra noi e dei nostri eredi tra 100 mila anni è la stessa che passa tra noi e i nostri avi Neanderthal.

E così a cascata questo splendido lavoro filmico ti spinge in faccia i quesiti sul futuro più complicati, le contraddizioni e i dilemmi dell’impatto e della durata permanente di certe nostre invenzioni, in un dialogo immaginario con chi verrà. Il link con certi dibattiti di oggi, sulla necessità di fare scelte che non pesino sul pianeta ma anche sulla difficoltà di trovare la strada giusta per riuscirci, è presto detto e ci sto pensando anche ora mentre scrivo. Non vado oltre per non rovinarvi la sorpresa, guardatelo se vi piacciono gli spunti filosofici (ma trattati con la semplicità del reale) e il rigore visivo e strutturale dei nordici.

Canzone del giorno

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