La domanda di sempre.

Nunzio Castaldi
Diario Democratico BN
5 min readMar 24, 2018

Leggo, per essere sicuro di non sforare il tempo concessomi e per esprimere poche cose, ma con parole il più possibile accurate. Cose anche approssimate, o azzardate, ma che penso davvero.

Sono fiero di essere un militante del Circolo Cittadino PD di Benevento. Lo dico qui, come una confessione liberatoria, benché oggi questo significhi essere considerato, nell’immaginario collettivo anche della mia città, alla stregua di un pària. Sono fiero della ‘visione’, come si dice, prospettata dal mio Partito, quand’è stato forza di Governo nazionale. Degl’interventi in nodi delicati della società e dell’economia italiane, con misure sicuramente perfettibili, ma che ho ritenute e ritengo coraggiose. Di una riforma costituzionale purtroppo non andata a buon fine. Non ultimi, degl’importanti interventi sul nostro territorio. Prendersi responsabilità, e anche ingratitudine. Ricevere spallate, piuttosto che collaborazione o almeno confronto onesto. È la politica, mi si può dire. Io credo che no, questo non sia, o non sia più, La Politica. Il consenso non è somma aritmetica, non si conquista, ma si raccoglie, si costruisce insieme. Con le cose fatte, con la fiducia. Il PD ha fatto. Non tutto bene, qualcosa male, altro malissimo. Ma negli ultimi vent’anni, o forse trenta, siamo gli unici che hanno veramente fatto. Come poi questa operosità si sia incarnata in taluni suoi ‘attori’, ai diversi livelli, è cosa che qui ritengo indelicato affrontare.

Per comodità di sintesi, riporto le parole del Presidente emerito Napolitano, pronunciate giovedì al Senato: ‘Gli elettori hanno premiato straordinariamente le formazioni politiche che hanno espresso le posizioni di più radicale contestazione e di vera e propria rottura rispetto al passato. La contestazione è scaturita da forti motivi sociali: disuguaglianze, ingiustizie, impoverimenti e arretramenti nella condizione di vasti ceti, comprendenti famiglie del popolo e della classe media. E in modo particolare ha pesato il senso di un cronico, intollerabile squilibrio tra Nord e Sud tale da generare una dilagante ribellione nelle regioni meridionali. Sono stati condannati in blocco — anche per i troppi esempi da essi dati di clientelismo e corruzione — i circoli dirigenti e i gruppi da tempo stancamente governanti in quelle Regioni. […] Ha contato molto il fatto che i cittadini abbiano sentito i partiti tradizionali lontani e chiusi rispetto alle sofferte vicende personali di tanti e a diffusi sentimenti di insicurezza e di allarme’.

Tutto il mio rispetto per questa analisi della sconfitta, anche se in buona parte può sovrapporsi a tutte quelle che ascolto da una vita. C’è dell’altro, però, nel passaggio epocale segnato dal 4 marzo. È a mio parere in atto una mutazione antropologica, socio-culturale, innescata dalla crisi, influenzata da una comunicazione oramai onnipervasiva, connotata dalla percezione di un malessere incancrenito. Un malessere che c’è, forte, evidente; ma che viene anche sobillato in modo squallido e disonesto. Ne ha pagato, con conseguenze che ritengo molto pericolose, persino il voto moderato, ossatura del nostro sistema democratico. C’è una decrescita felice della politica, si radica l’inconsapevolezza che i cambiamenti, i processi importanti, veramente democratici, sono difficili e hanno risultati spesso lontani, e talora financo incerti. Oggi le persone sono esasperate, e pretendono (anche giustamente) soluzioni immediate, addirittura sbrigative, per problemi invece complessi, strutturali. Dovevamo spiegare meglio questo, forse, e non stare a giustificare anche l’ingiustificabile. Prodi, a suo tempo, parlò in modo onesto e chiaro, e il popolo italiano lo capì e gli accordò fiducia. Mentre oggi la destra, quella peggiore, si prepara al governo. Ma tutto questo, ripeto, è solo una mia opinione.

Gli sconfitti hanno colpe. È un fatto, e i fatti sono testardi. Gli sconfitti hanno commesso errori. I nostri sembrano essere però, inspiegabilmente, gli errori di sempre, a livello nazionale e a quello locale. Sulla disanima dei quali io, con i miei pochi strumenti, non sono in grado di apportare alcunché di nuovo, o di diverso. Cerco quindi di immaginare una prospettiva politica, più che insistere su una situazione. Partendo da una domanda che metto a fondamento e a condizione di tutto. La domanda di sempre. Che fare? Qualcuno mi indichi, anche qui e con parole molto semplici, soluzioni vere, concrete, realizzabili, che vadano al di là delle dotte analisi, dei buoni propositi che dicono tutto e niente, e dei mea culpa, non sempre sinceri. Soluzioni plausibili soprattutto per ciò che riguarda il lavoro, la cui sacralità fonda la nostra Repubblica. Lavoro che bisogna imparare a comprendere come fenomeno storicizzato, che abbisogna di soluzioni necessariamente storicizzate.

Aprirci. Amici, vi rivelerò un segreto: il Circolo Cittadino è apertissimo, e lo è da sempre. Invitiamo tutti, cittadini e iscritti e quadri dirigenti; ci confrontiamo con tutti gl’interlocutori che c’interpellano. Siamo instancabilmente in ascolto. Benché, sia chiaro, non mi piaccia neanche poi tanto l’idea di un Partito atteggiato a consultorio. Ma per ora va bene anche così. L’unico, vero ed enorme rimprovero, che rivolgo a noi del Cittadino, è la estenuante, frustrante difficoltà nel passaggio dalla fase propositiva (belle idee, buone strategie, empatia) a quella finalmente operativa. Ma questa difficoltà, mi permetto di dirlo e di dirlo qui, credo sia solo in minima parte ascrivibile ai nostri limiti, veri o presunti, e cioè (come sostengono i detrattori) alla nostra inesperienza, o imperizia o ingenuità, persino. Va bene, accettiamo anche questo. Ma è soprattutto un problema di mancata, ampia, effettiva agibilità politica; di fiducia e di rispetto che dobbiamo conquistarci ogni volta, ogni volta costretti a convincere prima i nostri e poi gli altri; di incomprensioni anche con referenti di più alto ruolo ed esperienza, che dovrebbero invece esserci, proprio perchè tali, di guida e di sostegno; insomma, nei fatti e nelle scelte, è il problema di una non riconosciuta autorevolezza e non piena legittimazione che invece credo meritiamo, anche solo per l’impegno (e lo affermo senza enfasi) con cui abbiamo onorato appartenenza e militanza, soprattutto, e ripeto: soprattutto, sul nostro territorio, pur in momenti, come quelli attuali, di estrema difficoltà, di sconforto e di disaffezione politica. E quando parlo di impegno, parlo dei miei compagni e amici, più che di me. Parlo del mio Coordinatore, Giovanni De Lorenzo, la cui mozione programmatica, stilata ad ottobre, può segnare uno straordinario punto di ripartenza e di svolta, in questo senso, nella nostra politica cittadina. Credetemi.

Compito di un Partito, per me, in tutte le sue declinazioni territoriali, dev’essere quello di elaborare analisi, ma ancor più (da quelle analisi) avanzare proposte e puntare a realizzarle. Il che equivale a dire che anche il Circolo Cittadino deve avere l’onere e l’onore di contribuire a formare classe dirigente, preparata e responsabile, pronta per ogni tipo di sfida, anche di opposizione. Senza protagonismi, senza vanagloria, senza rimestare questioni personali o faide interne, senza improvvisazioni, passo dopo passo. Poi si può perdere, come abbiamo perso, su tanti fronti, purtroppo. Anche questo ci può stare. Può essere addirittura salutare, per paradosso. Ma aggiustare il tiro, abbandonare anche certa presunzione ed ostinatezza, non deve equivalere a tradire la linea e lo spirito (in una parola: il programma) che ci anima. Questo, beninteso, se vogliamo tornare ad essere governo e non limitarci ad essere esecutivo. Se vogliamo cioè davvero indirizzare, e non banalmente e disonestamente assecondare come fanno altri, le aspettative e le speranze della nostra gente, di questo nostro grande Paese, della nostra stessa città. Lo ribadisco: il consenso non è somma aritmetica, non si conquista, ma si raccoglie, si costruisce insieme.

Fatemi essere davvero fiero della mia militanza. Manteniamo, con tutta l’umiltà possibile, il coraggio di essere avanguardia, di testimoniare il futuro, indovinando però questa volta i modi e i tempi. E qualcuno ricomincerà a seguirci. Qualcuno ha già ricominciato a farlo.

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