Perché scrivi?

Sara Gavioli
Diario di una editor come tante
4 min readSep 15, 2017

L’idea, la passione, le domande

Lo avrete di certo già sentito dire: una volta condivisa, in qualsiasi modo, una storia cessa di appartenere soltanto al proprio autore e diventa patrimonio di chi la legge.

Pensate ai libri che vi hanno accompagnato durante la crescita, a quelli che leggete e rileggete in continuazione, ma anche alle storie che vi hanno raggiunto attraverso altri mezzi (film, serie televisive, fumetti, canzoni…). Non considerate quei racconti come parte di voi stessi? Non hanno influenzato la vostra vita in modo significativo, contribuendo a quel che siete ora? Non sentite che vi appartengono, pur venendo dalla mente di altre persone? Magari, di alcune non sapete nemmeno chi di preciso sia l’autore. E non ve ne importa più di tanto, perché è così: sono vostre.

Che siate d’accordo o meno, questa massima filosofica dovrebbe farci riflettere su un punto. Ovvero: perché scriviamo? Se le nostre storie nascono per appartenere a qualcun altro, come dovremmo vedere la nostra attività creativa?

Le risposte possibili sono molte. Oggi vorrei però spingervi a darne una che sia vostra, sincera, ma anche sensata. Vediamo un po’ se ci riesco.

Bene, l’idea l’avete. State per mettervi al lavoro, non vedete l’ora, fremete d’impazienza. Ok: fermatevi un attimo. Quando ci pensate, quando immaginate di aver finito, cosa vi rende più impazienti? La storia stessa, quel che avete da dire e che potrà appartenere, un giorno, ai lettori, oppure le conseguenze del successo di quella storia per voi?

Cosa vi spinge a scrivere, davvero? Immaginarvi autori pubblicati, che vagano da una presentazione all’altra, con le folle in delirio e le code per la firma? L’idea romantica di potervi definire “scrittori”, finalmente riconosciuti, finalmente ufficiali, visto che gli scrittori sono molto fighi, intelligenti e apprezzati? Adorate figurarvi che faccia faranno i vostri amici, la famiglia che vi stima troppo poco, il vicino di casa molesto e la zia Peppa che crede tanto in voi? Su, siate onesti: tutti i creativi sono dei narcisisti (qua potete ammetterlo, siete tra gente che vi capisce) e c’è sempre il momento in cui si pregusta l’effetto che farà avere quel libro tra le mani, per sentirsi… come? Come vi sentirete?

Orgogliosi. Fieri. Realizzati. Cercate realizzazione, non negatelo. Volete sentire che il pubblico vi capisce. Se apprezza, se vi sostiene, se la vostra pagina di Facebook conta migliaia di like, significa che valete parecchio. E avete bisogno di sentirlo. Sapete di valere, anche se la gente non lo vede. Perché è cieca. E stupida. E ignorante.

Ok, forse mi sono lasciata prendere la mano e certamente non tutti gli aspiranti scrittori si sentono proprio così (sicuri? Mah, fingiamo di crederci), però dai, ammettetelo: qualcosina, un pizzico, un pelino, ogni tanto, quando nessuno guarda… Dai, non vi vergognate. Su.

Il bisogno di riconoscimento e di stima, specialmente riguardo a una propria opera, è normale e lo avvertiamo tutti quanti. Chi più e chi meno, d’accordo, ma chi nega e basta, secondo me, sta mentendo.

Allora chiudiamo le tende, giriamo la chiave e sediamoci su una sedia al buio. Se ci tenete possiamo accendere una luce, ma che sia fievole. Bene, ora nessuno vi sente. Provateci: fermatevi un secondo, chiudete gli occhi e chiedetevi perché volete scrivere.

Perché? Come vi sentite, pensando a quando lo avrete fatto? Cosa intendete ottenere? Cosa vi aspettate, di preciso? A quale bisogno state rispondendo?

Se sarete sinceri con voi stessi, ci sarà una parte dedicata all’autocompiacimento. Ma scavate ancora: c’è altro, e cosa? Tendete a pensare alla storia, al tema, al significato, o ad altro? Immaginate già le recensioni a cinque stelle, o vi soffermate a domandarvi come potreste dipingere quell’idea, quella maledetta idea, su carta, con le parole? Siete convinti che, grazie a questo libro, potrete finalmente ottenere quel riconoscimento che vi meritate, oppure la vostra preoccupazione è il libro stesso?

Amate più la vostra idea o quello che la vostra idea può fare per voi?

Quando ci pensate, vi chiedete come rendere giustizia a quell’idea, o come rendere giustizia a voi e al vostro nome per poterne essere fieri?

Non serve che rispondiate a me, o ad altri. Queste domande sono per voi e le risposte possono rimanere un segreto. E va benissimo se scoprite di desiderare più il riconoscimento che altro: in realtà ci passiamo tutti, da quel momento, ed è forse necessario per giungere alla fase successiva. Non c’è nessuna vergogna nel voler essere capiti: si tratta di un bisogno umano, e non vedo alieni qui intorno.

Lasciatemi dire una cosa, però: se quell’idea non la amate abbastanza, talmente tanto da soffrirne, talmente tanto da essere pronti a lottare per realizzarla, talmente tanto che il vostro destino è in secondo piano rispetto all’importanza della voce che preme per venir fuori, non combinerete nulla di buono.

Ciò non vuol dire che non verrete mai pubblicati. Siamo seri: sappiamo tutti che il punto non è questo. O lo è, per voi? Chiedetevelo. E se vi domanderanno “perché scrivi?”, ricordate che ingannare voi stessi non serve a niente.

Sara Gavioli vive a contatto con le storie: ne legge, ne scrive e ne sceglie per diverse realtà editoriali. Lavora come editor freelance e nel tempo libero colleziona corsi di editoria. Da grande vuole diventare una vecchietta eccentrica.
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