GERUSALEMME — ANCORA AGO DELLA BILANCIA TRA GUERRA E PACE

Daniele Amatulli
Diario di uno storico in erba
4 min readDec 7, 2017

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La spregiudicatezza, la tendenza ad isolarsi seguendo la linea de “i panni sporchi li si lava a casa propria”, si scontrano con la realtà ormai mondialista dei rapporti internazionali. Trump ficca il naso fuori dagli States e riesce a mettere in serio pericolo un equilibrio regionale già delicato e lungi dall’avviarsi verso un percorso di pacificazione.

Si limita — per così dire — a spostare la sede dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.

Uno strappo diplomatico che non ha di certo l’obiettivo di portare la pace. Difatti i risultati sono opposti: la tensione è palpabile, le posizioni nette e man mano che gli Stati Uniti si sfilano dal ruolo di apparente “garante della pace”, il vuoto creato viene occupato da qualcun’altro. Forse da quelle personalità che era meglio tenere lontano.

E questa non è nemmeno la prima volta: più gli Stati Uniti si isolano dal punto di vista dei rapporti e dagli obiettivi internazionali, paesi pressoché impensabili prendono il suo posto. Guardate il caso sul clima: allo sfilarsi degli Stati Uniti dagli accordi sul clima di Parigi, si aprì una voragine riempita in parte dall’Unione Europea e in parte dalla Cina. Impensabile che gli Stati Uniti da promotori degli accordi sul clima si sfilassero, ma la Cina capofila per la battaglia ambientale per eccellenza supera persino le più utopiche previsioni.

Erdogan, che mai ha smesso di promuovere la Turchia come perno del Medio Oriente, convoca un incontro tra i leader mussulmani della regione. Nel frattempo, organizzazioni palestinesi annunciano <<tre giorni di collera>>. In piazza a Gaza i manifestanti bruciano bandiere americane e israeliane.

Avviene anche una prima eppure importante scollatura, sino ad ora più o meno paventata ma mai realizzata: quella tra Stati Uniti e le Nazioni Unite, i cui obiettivi, oggi come mai prima, sono apparentemente opposti.

I membri dell’Alleanza atlantica sostengono una soluzione pacifica» e «negoziata» del conflitto tra israeliani e palestinesi.

Ma le divergenze con il mondo occidentale non finiscono qui: la reazione forse più inaspettata per la forma espressa, la più ferma e forse quella più politicamente precisa, viene da Papa Francesco. Nel vestire le vesti del Capo di Stato è bravissimo, e la serietà con cui si esprime fa intravedere l’importanza data al tema:

Dal dialogo scaturisce una maggiore conoscenza reciproca, una maggiore stima reciproca ed una collaborazione per il conseguimento del bene comune e per una azione sinergica nei confronti delle persone bisognose, garantendo loro tutta l’assistenza necessaria. Mi auguro che le vostre consultazioni conducano a creare uno spazio di sincero dialogo a favore di tutte le componenti della società palestinese, in particolare quella cristiana, considerata la sua esigua consistenza numerica e le sfide alle quali è chiamata a rispondere, specialmente per quanto riguarda l’emigrazione.

La guida spirituale di milioni di Cristiani, si sostituisce con grande capacità ai più blasonati leader. Inquadra subito la questione dell’incontro tra le istanze israeliane e quelle palestinesi, riconoscendo in Gerusalemme un valore fortemente simbolico, ideologico e religioso per tutte le comunità che abitano l’area. Ovviamente strizzando l’occhio alle comunità cristiane, che da quelle parti sono una piccola minoranza per altro spesso soggetta a persecuzioni. Il superamento dell’immagine di Gerusalemme come capitale di Stato a favore di una che la veda come capitale religiosa e di incontro tra i vari popoli, pare l’obiettivo primario del Pontefice.

Se da una parte Netanyahu si dice soddisfatto per il riconoscimento “dell’identità storica e nazionale di Israele”, dall’altra pare uno strappo piuttosto evidente; una decisione unilaterale che invece di appianare le divergenze, pare che non faccia altro che inasprirle. Invece di stare attenti al riconoscimento delle ragioni di tutti, o perlomeno delle posizioni più rappresentative, si prende una decisione fortemente schierata, che non può far altro che inasprire le posizioni più estreme, gli umori più intestini. Non sono qui a tentare di dettare la via giusta. La strada per la pace nella regione è lunga e sempre più turtuosa. Quel che è certo è che il ruolo di garante della pace è messo in discussione: non lasciare questo ruolo nelle mani di chi vuol distruggere o attrarre a se e guidare la diplomazia con l’obiettivo di portare la pace, devono essere gli obiettivi da perseguire.

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