IL LEADER HA DECISO.
Mettiamoci l’anima in pace: il leader non ha imparato nulla.
Non mi voglio sottrarre dalle analisi lucide su questo periodo storico convulso, ma nemmeno aggiungermi alla cloaca di detrattori a prescindere che infastano il web e l’informazione in generale. Quello che ha fatto Matteo Renzi con la composizione della liste, non è dissimile da quello che fanno e hanno fatto altri segretari di partito, anche rimanendo nell’area del centrosinistra. La composizione della squadra da mandare in Parlamento è ardua a prescindere, perché serve per vincere ma anche e soprattutto per governare. A torto o ragione, gli equilibri in politica sono importanti; in una situazione come quella di oggi, ahimè, forse anche di più.
Ma guardando proprio alla straordinarietà del momento storico, penso che bisognasse rispondere con un gesto altrettanto straordinario. Qui non si va’ solo a competere alle elezioni, non si governa a prescindere: c’è anche un Partito, una comunità, una base da tenere compatta, che lavori pancia a terra per la squadra, che di quest’ultima sia fondamenta eppure pungolo. Ora il “basta che sia del PD” o qualunque declinazione si voglia usare per far capire a tutti di aver indossato una casacca, poco è incline ad un periodo che richiede rappresentatività e — probabilmente mai come in questo periodo — di territorialità. Il legame con il territorio si sposa inevitabilmente con la rappresentatività; se ci pensate, la presenza del proprio nome su quella lista dovrebbe essere ad incoronamento di un lavoro fatto sul territorio, con il Partito/associazione/movimento come mezzo e con gli strumenti propri della politica.
Oggi i primi scontenti nel leggere i nomi in quella lista, in gran parte, sono proprio i componenti del Partito Democratico. Si passa dai soliti noti dai volti semi-sconosciuti, passando dai dirigenti schiacciati su posizioni di corrente, sino ad arrivare ai nomi che creano dibatitti nei gruppi di Coordinamento al sorgere della domanda “ma chi è?”. Questo, a parer mio, è sintomatico di una dirigenza sorda e lontana dai territori, dalle sedi di partito, dai luoghi della militanza. E su questo tema la colpa non è solo di Renzi. La minoranza non ha votato in direzione, ma in Puglia i candidati sono blindatissimi da Emiliano. I nomi che rispondono alla corrente si sprecano.
Lucida l’analisi di Federico Geremicca, che su La Stampa rilancia in punta di piedi la “mutazione genetica” del PD, probabilmente destinato a divenire — a suo dire — PdR (Partito di Renzi, banalmente).
È probabilmente una visione cruda, di parte (com’è la mia, dopotutto) ed esasperata. Anche Bersani, all’inizio di questa straziante legislatura, aveva la sua squadra di Parlamentari, poi democraticamente passata in altre mani. I deputati, successivamente, hanno fatto il resto: negli anni si sono registrate fratture, fuoriuscite e prese di posizioni. Non vedo perché non possa accadere lo stesso con e/o dopo Renzi. Immaginare un PD senza Renzi, non è impossibile. Pensare che possa nascere altro, è lecito. Tentare di prevedere le mutazioni post-elezioni, in tempi così incerti, è arduo. In primis dobbiamo attendere i risultati e soprattutto la successiva formazione del Governo. Dopo le votazioni, tutto è nelle mani del Parlamento. In poche parole, si dovrà comporre una maggioranza. Il primo importante passo sarà la nomina dei Presidenti delle Camere. Dall’esito di queste votazioni, potremmo dedurre un primo indirizzo politico, perlomeno un 'embrione' di maggioranza.
I tempi sono lunghi… e incerti.