La Spagna è tornata indietro di 70 anni.

Un popolo chiede l’indipendenza. Uno Stato manganella i votanti e mette sottosopra i seggi. Siamo in Spagna, non in Siria.

Daniele Amatulli
3 min readOct 2, 2017

--

Non siamo nello Zimbabwe, ma in Spagna. Europa. Avete presente quando si fa riferimento alle “grandi democrazie occidentali “? Bene, la Spagna dovrebbe far parte di queste grandi democrazie, ma da ieri non ne sono poi così tanto certo.

Sullo sfondo abbiamo l’esasperazione di una separazione che è storica per la regione catalana; un referendum che per i contenuti è da ritenersi incostituzionale; nonostante ciò ha raccolto centinaia di migliaia di votanti catalani.

La Costituzione si basa sulla indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli, e riconosce e garantisce il diritto alla autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà fra tutte le medesime.

Approfitto delle conoscenze del mio amico e compagno Davide Montanaro, per ricostruire almeno da un punto di vista costituzionale la vicenda. Svisceriamo quegli articoli della costituzione spagnola che avrebbero concesso a Rajoy la facoltà di colpire i propri cittadini. Quello sopra è l’articolo 2 della costituzione. Non solo questo indica l’importanza politica e istituzionale che si dà a quelle regioni storicamente più o meno lontane dal governo centrale, ma si stabilisce a chiare lettere una divisione essenziale, accademica potremmo dire: inviolabile non è lo Stato, ma l’unità nazionale; l’unità di un popolo, quello spagnolo appunto. Va ben oltre l’ordinamento costituzionale o l’inviolabilità dello Stato. Nulla di sorprendente: la costituzione dovrebbe difendere e garantire i cittadini; di certo non fornisce strumenti ai governanti per trascinare gente inerme fuori dai seggi.

A questo punto, passiamo ad un secondo articolo della costituzione spagnola (art. 155 comma 1), che recita:

Ove la Comunità Autonoma non ottemperi agli obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi, […] il Governo, […] potrà prendere le misure necessarie per obbligarla all’adempimento forzato di tali obblighi o per la protezione di detti interessi.

E l’amico e compagno Montanaro si pone il quesito giusto quando si chiede <<cosa si debba intendere per “misure necessarie” >>. Atti coercitivi, come ci sono stati, oppure “misure [che] debbano rimanere all’interno degli strumenti legislativi”? È la differenza che si manifesta, a mio modesto modo di vedere, confrontando un Paese degli anni trenta con uno democraticamente evoluto nel 2017.

I poliziotti che in tenuta antisommossa sfondano le vetrate all’ingresso dei seggi, strappano schede elettorali, trascinano fuori votanti inermi, mettono a ferro e fuoco un intero paese. Sono atti di estrema violenza, come estrema è la gravità degli stessi. Se non dobbiamo ritenere in linea con la costituzione o democratico o, se lo credete, legittimo il voto referendario; se dobbiamo considerarlo solo come esasperazione di una rappresentanza indipendentista forse poco lungimirante, dovete poi motivare, allo stesso modo, come simili atti da parte del Governo centrale possano essere considerati legittimi, costituzionalmente riconosciuti e sanciti. A prescindere dalle parti in causa, dalle motivazioni storiche, dalle responsabilità politiche, penso che nulla possa risolversi con l’uso della forza contro i propri stessi cittadini, in nome dell’unità di un popolo che viene però colpito, ferito. A sgretolare quell’unità nazionale non è un referendum, ma un Governo che per ricucire usa i manganelli!

--

--