Libertà di stampa, l’Italia scende al 77° posto

Mentre in Europa si approva una legge per limitare la diffusione di informazioni riservate

DIG Magazine
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3 min readApr 21, 2016

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«Profondo e allarmante declino rispetto alla libertà di informazione». È la denuncia di Reporters sans frontier che ha pubblicato l’annuale rapporto “World Press Freedom Index”. Una valutazione che riguarda da vicino anche l’Italia: il nostro paese scende al 77° posto (quattro posizioni in meno del 2015) su un totale di 180 stati compresi nella classifica. Meglio di noi anche Tonga, Burkina Faso, Nigeria e Botswana. Fra i motivi del posizionamento italiano, l’alto numero di giornalisti costretti sotto scorta e i procedimenti giudiziari che hanno colpito i giornalisti che si sono occupati dello scandalo Vatileaks.

Nel frattempo, nemmeno in Europa tira buona aria per la tutela del giornalismo di inchiesta.

La settimana scorsa, il Parlamento Europeo a Strasburgo ha votato la direttiva sui segreti commerciali con 503 voti a favore, 131 contrari e 18 astenuti. La direttiva, che ha come oggetto la protezione «delle informazioni commerciali riservate contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti», rischia in realtà di colpire collateralmente giornalisti e whistleblower. Durante la Cerimonia di Premiazione di settembre 2015 anche DIG Awards ha rilanciato con un flash-mob la petizione della giornalista di France 2 Elise Lucet, che ha raggiunto 536.680 firme.

Nonostante la bozza proposta nel 2013 abbia subito significative modifiche grazie alle pressioni dei gruppi di attivisti, potrebbe non essere abbastanza per tutelare la libertà di informazione. «La direttiva ha come scopo di contrastare lo spionaggio industriale — ci spiega Martin Pigeon, ricercatore e attivista del Corporate Europe Observatory, in prima linea fra le Ong che contrastano la normativa — Tuttavia, secondo la nostra analisi, la direttiva fornirà alle compagnie mezzi legali per perseguire molte altre persone che non sono competitori o spie ma cercano semplicemente di fare il loro lavoro di giornalisti o di seguire la propria coscienza, come gli informatori. Questo avviene a causa delle ambiguità contenute del testo che stabilisce la definizione di segreto commerciale in maniera decisamente ampia». Secondo l’articolo 2 della direttiva, infatti, si intendono come segreto con valore commerciale tutte le informazioni interne all’azienda che non siano «generalmente note o facilmente accessibili», la cui acquisizione è illegale se avviene senza consenso (art.4). Potenzialmente anche dati riservati su conti off-shore, licenziamenti, infrazioni dei regolamenti europei sull’ambiente e la salute rientrerebbero nella categoria.

«La proposta originaria era molto più pericolosa, ma il nostro e altri gruppi hanno lavorato duro per limitare i danni e credo che in una certa misura ci siamo riusciti» continua Pigeon. Secondo la versione definitiva, le misure comprese dalla direttiva non dovranno applicarsi nel caso in cui l’acquisizione e divulgazione delle informazioni riservate siano avvenute «nell’esercizio del diritto alla libertà di espressione e d’informazione come previsto dalla Carta, compreso il rispetto della libertà e del pluralismo dei media» e «per rivelare una condotta scorretta, un’irregolarità o un’attività illecita, a condizione che il convenuto abbia agito per proteggere l’interesse pubblico generale». Abbastanza per evitare che i giornalisti e “gole profonde” vengano condannati ma non per prevenire cause intimidatorie da parte delle aziende. «L’idea di base è che siano coinvolti attori molto potenti ma il rischio di questa incertezza legale è che si finisca in una situazione in cui gli individui siano minacciati da pene di grave entità, quali sono quelle previste per le compagnie». Già l’anno scorso il governo francese ha cercato di anticipare la trasposizione delle direttiva in legge nazionale aggiungendo misure penali fino a 3 anni di carcere e una multa di 375.000 per chi avesse violato la norma. Il dibattito pubblico attivato dai giornalisti francesi aveva convinto il governo a ritirare il progetto di legge.

«Dobbiamo tenere vivo l’interesse nell’opinione pubblica. Che cosa accadrà in quegli stati che hanno governi più repressivi e non vedono l’ora di utilizzare il testo europeo per legittimare gli arresti dei giornalisti?» conclude Pigeon. Il Corporate Europe Observatory e i gruppi associati continuano la mobilitazione per contrastare la direttiva che dovrà ora essere trasposta dalle assemblee parlamentari dei singoli stati membri.

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