Il Project Management oggi: al servizio della Digital Innovation

Valeria Urso
Hub dell'innovazione digitale
8 min readSep 9, 2019

Cosa sarebbe successo se il Vasari fosse vissuto 4000 anni fa nell’antico Egitto?

Verosimilmente oggi non potremmo leggere le “Vite de più eccellenti pittori, scultori e architettori” né ammirare il complesso degli Uffizi, ma avremmo a disposizione un trattato sulle metodologie di organizzazione, pianificazione e gestione dei progetti con tanto di caso studio annesso: “il complesso delle piramidi di Giza: come realizzare un progetto di successo”.

Il sillogismo retorico ora descritto vuole sottolineare come il back ground storico del project management, inteso in maniera semplicistica come gestione di progetti, sia stato praticato per migliaia di anni da organizzazioni più o meno complesse che esercitavano la gestione di attività sulla base di relazioni, connessioni e fiducia reciproca, tenendo traccia della documentazione su carta e assegnando la direzione dei progetti a persone tecnicamente esperte.

E se per diversi secoli questo schema si è riproposto pressoché invariato, è stato solo a partire dai primi anni ’50 del 1900 che il concetto di “Project Management” nella sua accezione moderna ha messo radici: molti conosceranno Henry Gantt, e avranno magari avuto a che fare con lo strumento, tutt’oggi largamente adoperato nelle organizzazioni, a cui ha dato gli annali e che prende il suo nome.

Basti pensare a software come Primavera PM e Microsoft Project, per i quali il Gantt Chart rappresenta l’interfaccia chiave.

Viene spontaneo a questo punto chiedersi cosa abbia innescato la nascita del Project Management e la sua rapida evoluzione in tempi recenti, segnando una netta spaccatura con quel modo di operare e gestire progetti che, seppur nella sua essenzialità, l’ha fatta da padrone per secoli.

La ragione va ricercata nella trasformazione industriale, prima, e nella nascita di innovazioni, poi, che hanno caratterizzato tutto il ‘900, per infine raggiungere un exploit con l’avvento dell’informatizzazione e dell’Innovation Technology.

Ma andiamo per gradi.

Se il concepimento di nuovi prodotti a partire dagli anni ’60 del secolo scorso ha permesso l’introduzione di strumenti gestionali quali il CPM e la matrice PERT, fornendo decisivi stravolgimenti nelle tecniche di pianificazione e controllo delle attività, una forte spinta al riconoscimento globale del Project Management è stata infusa dalle due maggiori organizzazioni internazionali del settore, nate proprio in questo periodo: l’International Project Management Association (IPMA), basata in Europa e stabilita nel 1965, e il Project Management Institute (PMI), istituito nel 1969 nel Nord America.

È però a partire dagli anni ‘80 che, con l’avvento delle prime divisioni IT e IS, i computer si prestano a fornire un contributo non indifferente nel migliorare il controllo e la supervisione dei progetti, grazie all’introduzione di software dedicati.

Questi cambiamenti rispondono alle moderne esigenze delle organizzazioni, che includono adesso nuove funzioni quali il tempo, i costi, il rischio, l’ambito d’azione, la comunicazione, e la qualità nella loro equazione di successo.

Accompagnare il cambiamento per sostenere la crescita dell’organizzazione

La necessità di tenere sotto controllo e organizzare al meglio questi processi e le attività che ne scaturiscono si sposa quindi perfettamente con la neonata idea di Project Management.

Un ulteriore tassello, decisivo nell’evoluzione e nell’affermazione di questa disciplina, è stato rappresentato dai vari cambiamenti nelle pratiche e procedure di business, dovute all’adozione e al miglioramento della tecnologia internet a livello globale: questo nuovo mezzo permette alle organizzazioni di essere più efficienti, profittabili e adeguate nello svolgimento dei loro compiti e allo stesso tempo contribuisce a supportare le operazioni di gestione eseguite dagli addetti al Project Management, rendendoli più produttivi.

Occorre sottolineare però che la strada del Project Management non è sempre stata spianata: in più di un’occasione esso ha rappresentato per le organizzazioni un task da effettuare a malincuore e spesso solo per placare le richieste dei clienti.

Oggi, per fortuna mi preme evidenziare, questa disciplina si è trasformata in una competenza strategica necessaria per la crescita e la sopravvivenza dell’organizzazione, e i Project Manager danno il loro contributo non solo nel capire quali progetti seguire, ma, grazie alle loro competenze, determinano la capacità innovativa e il successo di un’impresa.

Per portare a termine questo obiettivo la figura del Project Manager deve possedere il giusto mix tra una buona dose di soft skills, ossia quelle abilità comunicative e organizzative che poco hanno a che fare con la tecnica ma molto con la predisposizione personale dell’individuo, e di competenze tecniche, comunemente definite hard skills, che vanno adattate a seconda del progetto che ci si trova di fronte.

il PM deve possedere il giusto mix tra Soft e Hard Skills

A questo punto, avendo costruito un quadro più chiaro sulla disciplina e la sua affermazione, è doveroso orientare la discussione verso temi più pratici che ci porteranno a comprendere le ragioni che si celano dietro il titolo di questo articolo.

E per farlo, ancora una volta, bisogna guardare al contesto economico e sociale in cui si muovono le organizzazioni.

Per anni, quando si parlava di gestione di progetti, si pensava a progetti di tipo tradizionale, basati su una forma di ragionamento lineare, su modelli, linee guida e liste di controllo ben strutturate per ogni fase.

Questo modo di procedere, all’interno del Project Management, viene definito metodologia Waterfall, ed è caratterizzata dal controllo del lavoro secondo protocolli specifici che prevedono una successione di operazioni in cascata (da qui il termine Waterfall) -nell’ordine organizzazione, pianificazione, monitoraggio e controllo di tutti gli aspetti di un progetto- che lasciano poco spazio a modifiche o cambi dell’ultimo minuto.

Team di lavoro ben coordinati da un PM accrescono le probablità di successo

Tutto ciò viene realizzato adoperando grandi gruppi di lavoro, all’interno dei quali ciascuno ha un ruolo ben definito e segue metodi di lavoro rigorosi, e in generale limitando la comunicazione con il cliente.

Ben presto però questa metodologia ha rivelato dei limiti spesso inconciliabili con le nuove esigenze espresse dal mercato.

In un mondo che viaggia ad alta velocità, dove le nuove tecnologie digitali, i big data e la dimensione internazionale sono diventati fattori chiave nello sviluppo, il Project Management assurge a ruolo di catalizzatore e assume una posizione di rilevanza: la crescente competitività e complessità con cui devono confrontarsi le aziende e la continua ricerca di personalizzazione e flessibilità come mezzi per emergere nel mercato, hanno sottolineato la necessità di acquisire, in tempi rapidi, le regole del gioco e del contesto in cui ci si deve muovere.

Come sottolineato anche da Mauro Mancini, professore di Project Management e Programme Management al politecnico di Milano:

“È bene aver chiaro che la gestione di un progetto è la gestione di persone e di informazioni, e l’era della digitalizzazione che stiamo attraversando sta cambiando approcci e metodi di interazione e comunicazione tra le persone. Quanto più un’azienda riesce a dotarsi di strumenti di gestione dei progetti che possano beneficiare di tutto questo, tanto più riuscirà a cavalcare efficacemente i continui cambiamenti del contesto in cui opera”.

In questo senso anche la recente diffusione dell’AI (intelligenza artificiale) è da considerarsi come un’utile alleata al lavoro svolto dai Project Manager: con una mole sempre crescente di dati da gestire e la necessità di interpretare con rapidità le situazioni, l’AI diviene uno strumento essenziale per valutare circostanze non previste ed elaborare velocemente il maggior numero possibile di informazioni.

Tra l’altro, l’accento posto dalla società sulla possibilità, offerta dalla tecnologia, di sperimentare soluzioni velocemente, sta portando alla diffusione dell’approccio noto come “Cultura del Fallimento”, che viene così descritto dal professor Mancini:

“In alcune culture, in particolare quella americana, se non hai mai sbagliato, non sei adatto a guidare dei processi particolarmente complessi e innovativi, perché non avere mai sbagliato vuol dire non avere mai rischiato. Ovviamente un progetto ha bisogno di tutti: persone che rischiano come di conservatori. E il Project Manager deve avere la capacità di capire quali sono le aree in cui è giusto sbagliare per imparare velocemente dall’errore e quali aree in cui muoversi con maggior attenzione”

E, in questo contesto altamente digitale e perennemente in evoluzione, dove la cultura del fallimento prende parte nei processi aziendali, anche la metodologia di organizzazione dei progetti non può che essere rivoluzionata.

I progetti si basano anche sul “Trial and Error”

La risposta a questa esigenza è stata data dall’introduzione della metodologia Agile, oggi ampiamente adoperata, e che si discosta fortemente dalle metodologie tradizionali.

Il suo manifesto chiarisce perfettamente gli obiettivi che si prefigge:

«Gli individui e le interazioni più che i processi e gli strumenti
Il software funzionante più che la documentazione esaustiva
La collaborazione col cliente più che la negoziazione dei contratti
Rispondere al cambiamento più che seguire un piano

Ovvero, fermo restando il valore delle voci a destra, consideriamo più importanti le voci a sinistra»

Questo si traduce:

  • nell’utilizzo di gruppi di lavoro multidisciplinari e autosufficienti, guidati da un Project Manager, dove ognuno è responsabile di una serie di attività concatenate tra loro in funzione di obiettivi specifici;
  • nel fissare obiettivi periodici con focus a breve termine, ovvero lavorare per Epiche, in modo da essere pronti e flessibili di fronte ai cambiamenti e ai bisogni che emergono del day-by-day dei progetti;
  • nelle comunicazioni frequenti con il cliente, che potrà valutare le deliverables di progetto sul breve periodo e richiedere eventuali modifiche o accorgimenti sui task.

Il metro di valutazione diviene così la soddisfazione del cliente e il valore che il team vi ha apportato.

Agile è quindi sinonimo di semplificazione, flessibilità, rapidità e collaborazione, e oggi ha raggiunto una maturità tale da essere applicato anche in contesti non IT.

È bene però sottolineare che non esiste una metodologia ideale, ma questa va scelta e adattata progetto per progetto, a seconda delle esigenze.

Il successo del progetto si misura nella soddisfazione del cliente

In conclusione, viene presentato un elenco dei migliori strumenti di Project Management, ciascuno di supporto a diverse attività con cui deve interfacciarsi il PM:

  • Trello/Meistertask: per la gestione e il coordinamento delle attività;
  • Basecamp: una piattaforma di collaborazione e tracking delle attività;
  • Workzone: per il project e il file management;
  • Microsoft Project: Prodotto della Suite Office per l’assegnazione dei task, la definizione del budget e la misurazione dello stato di avanzamento dei progetti;
  • SAP EPPM: l’enterpise portfolio management per gestire un vasto numero di progetti.

A questa lista si accodano molti altri strumenti, gratuiti e a pagamento, che rispondono alle esigenze di ciascun Manager e progetto, a testimonianza di come anche la Digital Innovation sia al servizio del project management.

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