Società Digitale Europea

Barbara Calderini
Hub dell'innovazione digitale
13 min readSep 30, 2019

Gli europei hanno una visione condivisa per il futuro digitale dell’Europa?
Oggi la top 10 della tecnologia globale vede contendersi il podio le aziende statunitensi ed asiatiche. L’Europa ne è fuori!

Società Digitale Europea

Nella competizione per il futuro digitale, l’Europa è spesso vista come un “deficit” dell’innovazione. Rallenta la crescita nell’Eurozona: secondo la stima preliminare flash di Eurostat. Il tasso di disoccupazione si riduce invece al 7,5% a giugno rispetto al 7,6% di maggio e all’8,2% di giugno 2018. Eurostat indica che si tratta del livello più basso registrato da luglio 2008. Il tasso di disoccupazione dell’Ue a luglio è al 6,3%, stabile rispetto a maggio e in calo rispetto al 6,8% di giugno 2018: resta il tasso più basso dall’inizio delle serie storiche europee, ovvero dal gennaio del 2000. Anche in Germania l’indice elaborato da GfK scende a 9,7 da 9,8, ovvero il livello più basso da aprile 2017. In Germania come nel resto d’Europa, con tutta probabilità il deterioramento della fiducia dipende molto dal contesto in essere determinato dalla guerra non solo commerciale tra USA e Cina come anche dalle ombre aperte dalla Brexit, ora più che mai dopo l’arrivo di Boris Johnson.

L’Italia non fa eccezione. Resta ancora in coda alla classifica europea in termini di crescita e competitività digitale.

È quanto emerge anche dalla relazione del Desi 2019 (Digital economy and society index), lo strumento attraverso il quale la Commissione europea monitora la competitività degli Stati membri in termini di digitalizzazione dell’economia e delle società, dal quale risulta che il Belpaese nell’ultimo quinquennio ha scalato un unico posto in classifica, passando dal 25° al 24° posto.
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In Europa, malgrado alcuni obiettivi ambiziosi, in linea con la strategia per il mercato unico digitale dell’UE, siano stati centrati da alcuni Paesi membri, le maggiori economie non sono ancora all’avanguardia nel digitale. La trasformazione digitale si muove lentamente, ad un passo inadeguato rispetto alle istanze imposte dalla competitività a livello mondiale. Se la Spagna (per la diffusione della banda larga ultraveloce), Cipro (per la connettività a banda larga), l’Irlanda (per la digitalizzazione delle imprese), la Lettonia e la Lituania (nei servizi pubblici digitali) sono esempi positivi di quanto investimenti mirati e adeguate politiche digitali possano contribuire al risultato ambito, tuttavia il mismatch che caratterizza l’attuale forza lavoro così come la fuga di svariate decine di migliaia di giovani (e non solo), diplomati e laureati, ogni anno oltre i confini dell’UE, sono le due facce di un fenomeno che è in crescita; oltre un terzo degli europei nella forza lavoro attiva non possiede competenze digitali di base a fronte di una crescente domanda di competenze digitali avanzate in tutta l’economia. Finlandia, Svezia, Lussemburgo ed Estonia si discostano in parte da queste stime ed in senso positivo.
Uno studio di Capgemini ha rilevato che il 54% degli intervistati crede che la mancanza di talenti digitali stia ostacolando la trasformazione causando la perdita di un rilevante vantaggio competitivo. Ipsos su novemila persone in nove paesi, ha rilevato che l’85% degli operatori economici intervistati dichiara di aver bisogno di competenze digitali nel proprio lavoro, ma solo il 32% degli intervistati, peraltro provenienti da Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Bulgaria e Svezia, ha riferito di averli arruolati per formazione universitaria e professionale, a fronte di un 67% che invece si proponeva in forma autodidatta. In termini di forza lavoro attiva, il gap generato dalla mancanza di formazione continua e mirata è altrettanto evidente: questa dovrebbe essere obbligatoria e correlata alle aspettative di carriera e remunerazione, ma ciò non è. In Europa siamo lontani dagli standard seguiti in altre realtà come Cina e India.
Certamente le aziende stanno diventando più digitali, ma l’e-commerce cresce lentamente, se non per Irlanda, Paesi Bassi, Belgio e Danimarca. Ungheria, Romania, Bulgaria e Polonia sono invece in forte ritardo.

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Nei servizi pubblici digitali, compresi la sanità elettronica e l’e-government, la situazione è del tutto non soddisfacente sebbene vi sia almeno un elemento positivo che emerge chiaramente anche dal quadro di valutazione Women in Digital pubblicato recentemente dalla Commissione Europea e che indica come quei paesi dell’UE digitalmente competitivi siano anche leader nella partecipazione femminile. Parliamo però solo di Finlandia, Svezia, Lussemburgo e Danimarca. A conclusioni praticamente analoghe giunge il Quadro di valutazione europeo dell’innovazione — European Innovation Scoreboard (Eis) 2019. Maggiori informazioni qui: https://ec.europa.eu/growth/industry/innovation/factsfigures/scoreboards_en
Di fatto, la costante pressione sulle organizzazioni europee affinché innovino e crescano in un ambiente competitivo dinamico ha reso la trasformazione digitale una priorità assoluta per le imprese di tutti i settori. Queste infatti stanno dedicando tempo, sforzi e capitali significativi alla trasformazione digitale: alcune ottengono risultati tangibili significativi da questi sforzi; altre ottengono un impatto minore. Alcuni settori tendono ad essere complessivamente più digitalmente maturi di altri. Ciò è in gran parte una funzione delle azioni intraprese (o non intraprese) dagli attori di quell’industria, spesso in risposta a sfide competitive influenzate da potenziali innovazioni tecnologiche disruptive.
Secondo un sondaggio Deloitte, inoltre i budget per la trasformazione digitale aumenteranno del 25 percento nel prossimo anno rispetto all’anno precedente e questo sarà destinato non solo all’implementazione di tecnologie discrete quanto piuttosto allo sviluppo di una vasta gamma di risorse e capacità aziendali legate alla tecnologia, i cosiddetti pivot digitali, in grado di guidare lo sviluppo digitale di successo. I perni digitali, ovvero, un’infrastruttura flessibile e sicura, la padronanza dei dati (strutturati e non) e una rete di talenti flessibile e digitalmente esperta, così come i fattori “soft” complementari tra i quali una leadership forte e una mentalità digitale sono necessari ma, evidentemente, non sufficienti, per la trasformazione digitale del sistema Europa che richiederà un rilevante sforzo globale e concertato.

Ma le organizzazioni devono iniziare da qualche parte.

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In tal senso le prestazioni dell’UE sono apprezzabili rispetto a USA, Brasile, India, Russia e Sudafrica, ma deludenti rispetto alla Cina che sta raggiungendo il triplo del tasso di crescita delle prestazioni di innovazione dell’UE. Anche Canada, Australia e Giappone mantengono un significativo vantaggio in termini di prestazioni rispetto all’UE.
Le performance di innovazione sono aumentate in 25 paesi dal 2011. La Svezia è il leader dell’innovazione dell’UE nel 2019, seguita da Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi. Lituania, Grecia, Lettonia, Malta, Regno Unito, Estonia e Paesi Bassi sono gli innovatori in più rapida crescita.
Un sondaggio Deloitte ha esaminato quali tecnologie sono state implementate e dove: è risultato che gli investimenti in analisi dei dati (69%) e cloud computing (62%) sono già ben avanzati, con un altro 26% delle aziende che prevede di investire nell’analisi dei dati nei prossimi due anni e il 29% nel cloud computing. L’88% circa prevede che il proprio budget per l’innovazione aumenterà nei prossimi due anni. L’altro 12% si aspetta che rimanga lo stesso.
La domanda è: dove verrà speso questo budget? Stando al sondaggio Deloitte, intelligenza artificiale (43%), realtà aumentata e virtuale (38%) e automazione dei processi robotici (36 %) saranno aree di interesse nei prossimi due anni.
Nel quadro appena descritto si inserisce da ultimo la Consultazione pubblica che il 25 LUGLIO 2019 la Commissione europea ha avviato con il proposito di ottenere un documento di orientamento per i primi due anni del programma Europa Digitale da essa proposto. Per partecipare è necessario rispondere ad un questionario online entro il 25 ottobre 2019.
Qui le relative informazioni per chi fosse interessato: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/have-your-say-future-investment-europes- digital-economy.

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Nello specifico, tale programma, nell’ambito del prossimo bilancio a lungo termine per il periodo 2021–2027, con il preciso intento di accelerare il processo di trasformazione tecnologico digitale in UE, intende investire 9,2 miliardi di EUR in cinque settori chiave:
1. supercalcolo: il programma intende sostenere la realizzazione di un’infrastruttura di dati e supercalcolo, accessibile su base non commerciale agli utenti pubblici e privati, allo scopo di creare un ecosistema integrato a livello dell’Unione per il calcolo ad alte prestazioni
2. intelligenza artificiale: ovvero sviluppo e potenziamento delle capacità di base dell’intelligenza artificiale nell’Unione, con l’obiettivo di rendere queste capacità accessibili a tutte le imprese e alle pubbliche amministrazioni.
3. cybersicurezza
4. competenze digitali avanzate: collegato ai precedenti, intende promuovere una maggiore
professionalità, in particolare per quanto riguarda il calcolo ad alte prestazioni, l’analisi dei big data, la cybersicurezza, le tecnologie del registro distribuito, la robotica e l’intelligenza artificiale
5. utilizzo di tali tecnologie digitali in tutti gli ambiti economici e sociali: dalla sanità ai trasporti, sostenendo lo sviluppo di soluzioni digitali interoperabili a favore dei servizi pubblici dell’UE.
Si tratta, quindi, di fare rapidamente luce sulla cosa giusta da fare e costruire il progetto innovativo europeo, un progetto umano, per il ventunesimo secolo.
Non dovremmo perdere tempo a preoccuparci se dovremmo avere paura dei robot o diventare schiavi di Google. Ma dedicare tempo ed energia a capire come gestire, in modo coordinato, la società digitale. LUCIANO FLORIDI
Come ha più volte ribadito la Commissione Europea in ottica di Digital-single-market, “l’innovazione guidata dei dati è un motore essenziale per la crescita e l’occupazione, in grado di accrescere la competitività europea sul mercato globale. Investimenti, infrastrutture, formazione scolastica ed un quadro normativo coerente e flessibile saranno le direttrici attraverso cui recuperare la leadership tecnologica dell’UE ed orientarne la trasformazione in una logica di condivisione e garanzia dei diritti fondamentali, dalla privacy al diritto alla libera iniziativa economica.

Nessuna chance invece deriverà invece dalle note visioni sovrane e di singolo mercato orientate allo sviluppo di compartimenti tecnologici stagni, dal Cloud Nazionale al potenziamento frammentato della rete 5G (invero già nelle foreste del Brandeburgo sarebbero felici di avere anche solo un servizio 2G sulle strade di campagna) come all’IOT, senza dimenticare le tendenze dei leader polacchi e ungheresi orientate a politiche di isolamento economico. Le questioni relative alla cybersicurezza, alla sovranità dei dati, comprese le questioni etiche legate allo sviluppo dell’AI saranno prioritarie nello sviluppo tecnologico in corso e dovranno però essere coordinate con le altrettanto fondamentali questioni di libertà economica e concorrenza al di la delle logiche sovraniste. La fiducia nella sicurezza fungerà da fattore abilitante essenziale per l’accettazione e la credibilità dei nuovi modelli di business “data-driven” e della “sharing economy”.
In tale contesto, il Regolamento generale Europeo sulla protezione dei dati, sebbene costituisca la guida mondiale degli standard di protezione dei diritti connessi all’era digitale, pare tuttavia avere avuto maggiore successo proprio al di fuori dell’Europa piuttosto che all’interno dei nostri confini. Ciò significa che il raggiungimento di un equilibrio uniforme tra libertà e sicurezza rappresenta ancora un’enorme sfida per l’Europa ed il ritardo maturato rappresenta un freno importante nel salto di qualità e di velocità richiesto dallo sviluppo tecnologico in corso.
Il progetto del Digital-Single-Market Europeo è senza dubbio ambizioso ed oneroso ma è altrettanto l’unico in grado di instaurare un rapporto sostenibile (e redditizio) con gli altri attori globali, dalla Cina all’America: piuttosto che subire i condizionamenti dell’una o dell’altra superpotenza, l’UE dovrebbe dimostrarsi il terzo grande protagonista.
Se anche non manchino elementi per ritenere che l’UE abbia finalmente iniziato a porsi le grandi domande come in tema di Intelligenza artificiale, tuttavia, emerge ancora una certa riluttanza nel fornire le audaci e coraggiose risposte attese.
Il digitale rappresenta il vettore che determina la direzione dello sviluppo e, tanto più questo è evidente ed inarrestabile, tanto più si renderà necessario comprenderlo, modellarlo ed orientarlo nella giusta direzione affrontando i suoi impatti sociali, economici e politici per massimizzarne il potenziale e minimizzarne i rischi. Ciò genererà inevitabilmente dei compromessi che, ovviamente, saranno validamente sostenibili solo se fondati sulla fiducia. Penso al settore sanitario, bancario, al mercato del lavoro, alla valutazione del credito, dove l’IA necessita di enormi quantità di dati di altissima qualità e di elevati standard di protezione e sicurezza.

• Sarebbe forse utile istituire un’agenzia di terze parti che garantisca la qualità degli algoritmi volta ad arginare il rischio “garbage in garbage out”?
• Dovrebbe essere chiaramente definito un modo per capire come vengono prese le decisioni algoritmiche, per correggerle se sono sbagliate e per presentare reclami?
• Potremmo stabilire qualcosa come l’equivalente dell’Agenzia europea per i medicinali, ma per l’IA?
• Potremmo studiare e promuovere l’applicazione delle tecnologie future a favore dell’ambiente?

Tante domande ma nessuna concreta risposta dall’Europa se non timide e lievi dichiarazioni sebbene apprezzabili. E ciò non tanto per mancanza di know-how nella classe politica in Europa, quanto più forse per la presenza di “problematiche” e logiche “sovraniste” ritenute più urgenti all’interno del proprio collegio elettorale.
L’economia digitale è a tutti gli effetti in grado di porsi in conflitto con i principi democratici così come con la libera iniziativa economica e le tecnologie digitali in essa insite appaiono spesso pericolosamente populiste. Le persone producono continuamente dati su sé stessi online e gratuitamente. Tuttavia, i dati che producono sfuggono al loro controllo e vengono utilizzati da terze parti in modi in cui gli utenti hanno una conoscenza scarsa, travisata o nulla. In cambio, ottengono app e servizi Internet apparentemente a costo zero e il mercato libero, semplicemente, non può funzionare. Il sistema così com’è si traduce nell’equivalente digitale della schiavitù dove al momento l’UE pare intrappolata nel braccio di ferro Cina-Usa, mentre all’orizzonte si profilano inoltre già nuovi competitor.
D’altra parte, non è neppure sufficiente concentrarsi esclusivamente sul carattere distintivo del percorso europeo, mentre le relative risposte sono in evidente ritardo rispetto ai tempi. L’Europa “deve diventare un sistema sempre più coeso e che impara più rapidamente” le cui tematiche prioritarie saranno:

• la necessità di eliminare gli ostacoli che limitano l’innovazione e l’imprenditorialità ripensando le normative e gli investimenti dell’UE;
• la necessità di approfondire i partenariati tra il settore pubblico e privato per concentrarsi congiuntamente sul progresso della digitalizzazione in Europa;
• la necessità di migliorare in modo significativo l’istruzione per fornire alle giovani generazioni le competenze di cui hanno bisogno, formando al contempo i lavoratori in modo che possano far fronte alla continua introduzione ed espansione delle tecnologie digitali sul posto di lavoro.

Il grado di implementazione e la credibilità che caratterizzerà nei prossimi mesi il modus operandi degli attori istituzionali ed economici nei confronti delle normative afferenti alla strategia europea del Digital Single Market — il GDPR in primis ma anche la Direttiva 2016/680 (cd. Direttiva Polizia), la Direttiva NIS, il Regolamento eIDAS e la Direttiva PSD2 e le due norme recentissime, il Regolamento sui Dati Non Personali (cd. “Free Flow Data”) e il Cybersecurity Act, che rafforza la posizione dell’ENISA e introduce un sistema europeo di certificazione della sicurezza informatica dei prodotti e dei servizi digitali — sarà molto significativo.
La trasformazione digitale ha il suo lato oscuro, rappresentato dalla vulnerabilità dei sistemi e dei dati informatici. Cybersecurity e digital transformation rappresentano infatti un binomio inscindibile in grado di determinare la differenza tra un processo di trasformazione tecnologica di successo ed uno no: in assenza di un programma informatico ben organizzato, i nuovi prodotti e servizi saranno esposti a maggiori rischi finanziari, di reputazione e normativi, probabilmente rallentandone lo sviluppo e la penetrazione sul mercato. Questo è il motivo per cui il cyber oggi non è un semplice problema di gestione del rischio, ma è piuttosto un fattore abilitante per il core business e dunque per lo sviluppo digitale in atto. Molti operatori ancora oggi considerano il cyber come un mezzo per proteggere le informazioni: dati finanziari, proprietà intellettuale (IP) o informazioni di identificazione personale, relegandone la funzione all’interno del dipartimento IT. In realtà le implicazioni del cyber vanno ben oltre il dipartimento informatico. Un cyber avversario può colpire ovunque venga implementata la tecnologia connessa, che si tratti di hackerare un server in un data center, una piattaforma petrolifera nell’oceano o un pacemaker impiantato in una persona, e ciò rende il cyber non solo un problema per proteggere le informazioni, ma anche una necessità per proteggere i sistemi e soprattutto le persone, sia all’interno che all’esterno dell’azienda.
Il 2018 è stato l’anno peggiore di sempre in termini di evoluzione delle minacce “cyber” e dei relativi impatti, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche e soprattutto da quello qualitativo, evidenziando una tendenza di crescita degli attacchi, della loro gravità e dei danni conseguenti, mai registrati in precedenza. Il 2019 si presenta altrettanto allarmante. Tuttavia, anche in questo fonte la trasformazione digitale, seppure con segnali incoraggianti, non appare adeguatamente performante: aumentano gli investimenti in cyber sicurezza specie applicata all’IA ma in generale, all’incremento esponenziale degli attacchi, non sempre corrisponde una strategia di sicurezza informatica adeguata ed efficiente. La cultura della security by design stenta a decollare e questo, a dire il vero non solo in Europa. Nello specifico, da uno studio condotto dal Ponemon Institute, emerge che l’aumento percentuale del costo della sicurezza informatica è del 22,7% in più rispetto all’anno passato, con una media di 11,7 milioni di dollari all’anno sostenuti per fronteggiare i pericoli. Al cuore della questione non c’è solo un problema di tipo tecnologico quanto piuttosto culturale, economico e di framework normativo. Negli ultimi anni la sicurezza informatica ha infatti assunto il ruolo di indiscussa protagonista della scena politico-istituzionale ed economica attuale, impegnando gli attori pubblici e privati in un fronte comune contro i rischi provenienti dallo spazio virtuale. Un tema sempre più sentito a livello europeo ed internazionale, dove si registra ormai chiaramente la volontà degli Stati di rafforzare la cooperazione giudiziaria e investigativa per far fronte alle minacce cibernetiche.

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Le elezioni del Parlamento Europeo sono prossime. La pausa estiva servirà a portare consiglio e lucidità a chi sarà chiamato a prendere decisioni cruciali per il prosieguo della legislatura comunitaria. Il collegio dei commissari nella sua interezza dovrà essere votato a fine ottobre, per entrare in carica il 1° novembre. Prima di quella data tutti i commissari dovranno essere stati indicati e ascoltati dal Parlamento europeo, davanti al quale sono responsabili. Il ruolo dei futuri leader politici a guida dell’Europa nei cinque anni a venire sarà importante poiché tra le altre questioni li vedrà farsi interpreti ed artefici della trasformazione del Continente in un vero mercato unico digitale ispirato ed orientato verso la creazione di valore. L’innovazione in Europa dovrà proseguire con un importante e condiviso salto di qualità caratterizzato dal l’intuizione e dalla capacità di vedere le sfide in un modo nuovo, tanto da creare potenti opportunità per aiutare gli Stati membri e le loro organizzazioni a stare al passo con il cambiamento e trasformare il vantaggio delle disruptive in valore duraturo.

E l’Italia? Quali prospettive?

Le opportunità ci sono. Nella sfortuna di essere in ritardo, abbiamo forse una fortuna: possiamo saltare tutti gli errori compiuti dagli altri sfruttando abilmente il noto effetto leap frog. Al momento però non stiamo ancora sfruttando adeguatamente le opportunità offerte dalla trasformazione in atto. In generale l’atteggiamento sembra essere più quello di chi “insegue” il digitale piuttosto che “seguirne” le dinamiche da interpreti consapevoli.

Barbara Calderini

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Barbara Calderini
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Responsabile della protezione dei dati - Senior Consultant in Business Unit Privacy e Tutela delle Informazioni- Legal specialist @ Beenomio