Basta luoghi comuni sulla leadership, per favore!

Marco Mazzucco
Digital Organization
7 min readMay 5, 2018

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“La leadership è azione, non posizione” — Donald H. McGannon

“Boss vs Leader”: ognuno di voi ne avrà incontrate una marea di immagini di questo tipo. Condivise orgogliosamente sui social, in particolar modo Linkedin, con un intento spesso fra il moralistico e l’autocelebrativo. Sono tutte variazioni del medesimo tema:

  • il Capo/Boss/Manager è brutto e meschino
  • il Leader è fantastico

Ho provato a fare una ricerca, e di seguito vi propongo quelle maggiormente diffuse (ma magari ne avete in mente altre e potremmo collezionarle…).

Non so voi, ma questa retorica mi innervosisce. Sarà per la scarsa originalità, o forse per l’utilizzo di stereotipi e semplificazioni degne del miglior film di Fantozzi, o forse per le forzature che sottende (come non pensare alla fantomatica storia del branco di lupi?).

Va beh, dirà qualcuno, ma cosa c’è di sbagliato? Tutti vorremmo vedere capi che agiscono diversamente, e siamo sicuri che un comportamento da “leader” porterebbe ad un ambiente di lavoro più sano e motivante. Pensandoci abbiamo tutti in mente figure di manager burberi, orientati a sé stessi e al controllo, incapaci di motivare e di far crescer le loro persone. Manager che rendono frustrante, difficile e privo di significato il lavoro delle persone che gli stanno attorno. E’ normale che chi ha subito capi di questa specie trovi fondamentale una visione nuova e una prospettiva diversa su quello che è e che deve fare un “capo”.

In questo ragionamento si nasconde però un pericolo: la colpa è sempre degli altri. Il mio capo dovrebbe comportarsi da “leader”, e invece fa il “boss”. Questo mi demotiva e non mi permette di esprimere il mio reale potenziale. Poi però occorre anche riflettere su noi stessi, su come ci comportiamo nel nostro ruolo, che sia manageriale o meno. Incarniamo o no quei valori che tanto vorremmo vedere nel nostro capo?

Ma per me il punto vero è un altro, ed è quello che mi irrita maggiormente quando vedo passare un meme “boss vs leader”. Vogliamo essere moderni e innovativi ma rimaniamo agganciati alla visione della vecchia organizzazione gerarchica, che ormai sta mostrando acqua da tutte le parti. E’ come stare a discutere di quale modello di carrozza a cavalli sia la più performante, mentre fuori qualcuno comincia ad andare in giro in auto. Subendo il condizionamento di più di un secolo di management, siamo portati ad associare in maniera diretta la leadership con le figure apicali di un’azienda. Quindi leader = capo.

Del resto abbiamo tutti in mente la retorica dell’uomo forte, del comandante, che ispirando gli altri diventa il “leader” per eccellenza. L’immaginario collettivo ne è pieno, e pensando ad un leader la prima immagine che ci viene in mente è di qualche uomo molto noto e molto carismatico. Da tempo però questo modello di leadership ha mostrato tutti i suoi limiti, perché i risultati sono sempre frutto di un lavoro di team. Non di quello di un uomo solo, per quanto eccezionale. La leadership non è più un atto eroico: questi leader lasciamoli ai film e alle serie TV, non sono quello che ci serve nelle nostre organizzazioni.

Per questo motivo già negli anni ’70 nasce il concetto di servant leadership (dal lavoro di Robert Greenleaf), che vede il leader come la persona che, rovesciando la piramide organizzativa, è alla sua base per mettere gli altri nelle condizioni di esprimersi al meglio. Questa metafora prende spunto dalla novella di Herman Hesse “Il pellegrinaggio in Oriente”, che racconta di un gruppo di viaggiatori che rimane insieme, nonostante le difficoltà, grazie all'operato del servo Leo, sempre pronto a supportare e facilitare il gruppo. Lavoro nascosto ma prezioso, tanto che, una volta sparito Leo, il gruppo cade velocemente in disgrazia (significativo che poi si scopra — spoiler — che Leo fosse in realtà il Capo Supremo). L’idea del servo rende bene, in completa opposizione con l’eroe, quali debbano essere i nuovi atteggiamenti e le nuove capacità da sviluppare.

Recentemente, nel 2014, è emersa una nuova metafora, quella dell’host leader (grazie a Marc McKergow e Helen Bailey). Il leader è il padrone di casa, la persona che riceve e intrattiene gli invitati. In questo compito ha precisi diritti e doveri: creare le migliori condizioni perché l’evento sia un successo, partecipare attivamente all'evento, definire chi può o meno partecipare, oltre che assicurarsi che tutti rispettino le regole di convivenza nell'interesse del bene comune. Interessante perché implica azione e partecipazione, non solo supporto, nonché una certa dose di potere coercitivo. Questi due concetti, servant e host leadership, sono spesso associati a due ruoli specifici introdotti nelle aziende che seguono lo SCRUM, ovvero lo SCRUM Master e il Product Owner.

In tutte queste visioni, e in tutte queste metafore, per me però il limite è lo stesso: si confondono due cose distinte. Una cosa sono le responsabilità e le attività connesse con un ruolo organizzativo, altra cosa è il modo di comportarsi nei confronti degli altri. Figli di un mondo manager-oriented, confondiamo il ruolo che una persona ha nell'organizzazione (pur in figure non manageriali come ad esempio lo SCRUM Master) con la qualità con cui agisce questo ruolo, quando invece sono elementi ortogonali.

La leadership non è una posizione organizzativa, è una competenza organizzativa. La capacità di essere “leader” è una caratteristica della persona, non del ruolo gerarchico che ricopre. Chi è orientato ai propri interessi e alla gratificazione del proprio ego agisce sempre da “boss”, a prescindere dalle responsabilità manageriali che ricopre. E allora, se guardiamo nella nostra azienda, abbiamo molti capi che agiscono da “boss”, ma per fortuna anche tanti capi che agiscono da “leader”, così come tanti non capi che agiscono da “boss” (e magari ne danno la colpa ai propri capi).

La leadership non è qualcosa che pochi possono avere, relegata ai ruoli di comando: in tutta l’evoluzione del concetto di leadership purtroppo questa distinzione è ancora poco diffusa, ruolo e stile sono sempre interconnessi. In questo senso trovo più attuale il concetto di Pervasive Leadership (di cui scrive Jean Richardson), che assume che non possano esistere follower “forzati” e che chiunque possa avere il potenziale per essere un leader. Il salto è significativo: non guardiamo solo al comportamento dei “capi”, guardiamo al comportamento di tutte le persone dell’organizzazione.

Tutti possiamo essere “boss”, se scansiamo le responsabilità, non aiutiamo gli altri, usiamo e facciamo pesare il potere che abbiamo, limitiamo l’accesso alle informazioni o alle risorse che controlliamo. Tutti possiamo ispirare paura e demotivazione.

Tutti possiamo essere “leader”, se ci assumiamo le nostre responsabilità, siamo orientati alla condivisione , siamo coerenti e sempre a supporto degli altri. Tutti possiamo farci seguire, essere dei punti di riferimento positivi che motivano gli altri.

In questa visione la leadership ha delle caratteristiche che la rendono estremamente potente.

La leadership è diffusa, perché non è una competenza elitaria, è di tutti. Se non fosse solo appannaggio di un piccolo gruppo di “leader”, ma tutte le persone fossero capaci di ispirare e motivare i colleghi, vivremmo in ambienti lavorativi in grado di generare performance decisamente superiori.

La leadership è moltiplicativa, perché contagiosa. Un leader crea naturalmente altri leader, persone che seguono il suo esempio e da follower diventano elementi proattivi quando serve. Perché trasmette intraprendenza, assunzione di responsabilità, capacità di dare un senso.

La leadership è contestuale, perché è basata sulla capacità di ogni persona di essere efficace in una determinata situazione. Non è qualcosa che si aggancia ad una persona come fosse un job title. Nei diversi contesti emergono leader diversi, che per esperienza, competenze e capacità diventano punto di riferimento per gli altri.

Se la leadership non è una posizione, ma una competenza, diventa azione, qualcosa che deve essere agita per essere riconosciuta. E se questa competenza è diffusa possiamo utilizzare al meglio il potenziale di ogni persona, perché è motivata a farsi avanti e a valorizzare la propria unicità. E se questo accade… smettiamo di andare al ritmo delle tradizionali organizzazioni gerarchiche, possiamo ingranare una nuova marcia.

Il percorso verso un’organizzazione Agile non può prescindere dal ripensamento del concetto di leadership. Formare, crescere e gestire le persone per sviluppare in ognuno la capacità di leadership è forse il miglior passo che possiamo fare per abilitare un modello organizzativo più flessibile, rapido e proattivo.

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