L’organizzazione è una illusione

Marco Mazzucco
Digital Organization
8 min readFeb 1, 2017

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“Nella casa di Indra è detta esservi una rete di perle siffatta che se ne guardi una, tutte le altre vedi in lei riflessa: allo stesso modo, ogni cosa al mondo non è solo se stessa, ma tutte le altre raccoglie, e lei difatti è tutte le altre.” — Sutra del Diamante della Prajnaparamita

Lo scorso ottobre il Dalai Lama è stato in visita a Milano, due giorni colmi di insegnamenti e momenti di riflessione. Cardine del suo insegnamento è stato il concetto di interdipendenza, uno dei temi chiave del buddismo nonché uno dei più complessi. Mentre lo ascoltavo, nonostante abbia già molte volte ragionato su questa tematica, ho preso un intero quaderno di appunti. Mi sono reso conto di quanto il processo di apprendimento possa essere complesso e non avere mai una fine. E’ senz’altro uno sforzo non banale, uno sforzo che viene però ripagato da alcuni “momenti della verità”, che ti illuminano e ti fanno crescere. Sono i momenti in cui capisci di aver afferrato una nuova percezione della realtà, qualcosa che hai sempre avuto davanti ma che ora puoi guardare con occhi nuovi.

Ho riletto con attenzione quel quaderno, qualche giorno fa. Ad un certo punto mi è sembrato di trovare una risposta, un filo di pensieri in grado di allineare diversi concetti che vedo sempre più diffusi quando si parla dell’evoluzione dell’organizzazione aziendale e, più in generale, delle modalità di coordinamento del lavoro umano.

In questo percorso di riflessione ho fatto solo 3 passi, ma penso che ognuno di questi valga un momento di condivisione.

1° passo — Il vuoto

Tutto parte da noi stessi, dal modo con cui ci relazioniamo con la realtà e dal modo con cui la percepiamo. Per comprendere la realtà l’uomo ha sviluppato delle categorie mentali, dei linguaggi che gli consentissero di mettere ordine al mondo che lo circondava. Senza rendercene conto, pensiamo che tutte le parole e i concetti che utilizziamo abbiano un valore intrinseco, ossia descrivano pari pari la realtà. Ma se ci riflettiamo un attimo, vediamo subito che le parole che usiamo sono solo designazioni verbali, convenzioni che abbiamo artificialmente creato, comode etichette che ci danno l’illusione di conoscere le caratteristiche chiave della realtà. Se prendiamo un vaso, e guardiamo da cosa è composto e come è fatto realmente, ci accorgiamo che un vaso non è un vaso per sua natura, è un vaso solo per il significato che diamo noi ad un mix di argilla e acqua dalla forma concava. Questo è ancora più vero per i concetti astratti: modelli organizzativi, famiglie professionali, processi lavorativi, strategie, …., tutti elementi che esistono solo per nostra convenzione e all’interno della nostra mente.

Ogni parola rappresenta lo specchio particolare con cui stiamo guardando la realtà. Questo specchio spesso la semplifica e la deforma, ci impedisce di vederla nella sua interezza e complessità. Soprattutto, questo specchio è statico: anche se la realtà cambia, il modo di comprenderla tende a rimanere immutato, ci impedisce di capire e descrivere il cambiamento e ci fa rimanere attaccati allo status quo. Le categorie mentali sono fisse e statiche, la realtà no.

Abbiamo bisogno, quindi, di nuovi modi per descrivere la realtà delle nostre organizzazioni, nuove parole, concetti, metafore? In molti propongono ricette rinnovate e termini alla moda, e senz’altro questo ci aiuta a mettere in discussione quello che sappiamo. La visione nuova va però oltre, non si attacca ai concetti e alle mode, sa vedere la realtà per quello che è. Prende coscienza che i modelli che abbiamo in mente sono spesso il vincolo principale alla nostra comprensione. Capisce che ogni concetto che usiamo per parlare di organizzazione è vuoto, ovvero non esiste in quanto tale ma è una illusione che può allontanarci dalla comprensione.

Partiamo allora da qui: svuotiamoci dai significati, dalle convenzioni e dai pregiudizi che abbiamo dentro. Come dei vasi, che possiamo riempire solo quando sono vuoti.

2° passo — La causa e l’effetto

Dopo questo primo passo sembra difficile andare avanti, visto che vogliamo sbarazzarci di tutti i concetti che abbiamo sempre utilizzato. Ritorniamo allora alla base, a quella che nel pensiero buddista è la legge primaria: la legge di causa effetto. Ogni cosa è effetto di una serie di cause che l’hanno originata, non esiste quindi niente che possa prescidere da cause esterne. Un vaso, ad esempio, esiste per l’effetto di tanti fattori. Esiste per via della materia grezza che lo compone, acqua e argilla, esiste per le circostanze che hanno portato alla decisione di realizzarlo, esiste per via delle attività svolte per crearlo e curarlo. Senza tutti questi fattori, il vaso non potrebbe esistere.

Ogni cosa dipende strettamente dalle sue cause e condizioni, niente può prescindere da quello che l’ha generato. Questo vuol dire spostare l’attenzione dai singoli elementi alle cause che li hanno generati. Se guardiamo alle nostre organizzazioni possiamo evitare di concentrarci sui singoli elementi, come fossero elementi isolati e autoconsistenti. E’ il processo di generazione l’elemento più importante, il flusso concatenato di decisioni e ragionamenti che ha plasmato ogni elemento che vediamo. Questo è il motivo per cui è così difficile copiare un’altra organizzazione sperando di ottenerne i medesimi successi: ci si concentra sui singoli elementi per replicarli, senza considerare che questi elementi non avrebbero senso senza il processo logico che ha portato a crearli. Questo flusso causale parte inevitabilmente da assunti e condizioni sempre differenti e non potrà dare i medesimi risultati. E’ possibile però capire quali siano le dipendenze di causa effetto, i ragionamenti che sono stati fatti, per aiutarci ad approfondire la nostra analisi e arrivare ad un processo di generazione migliore. Questo è importante perchè corriamo sempre il rischio di considerare i vari elementi della nostra organizzazione sconnessi dai motivi che li hanno generati, come esseri dotati di vita propria e autonoma. Non dimenticare che le cose esistono esclusivamente per un motivo ci spinge a riattivare il processo decisionale e a ripensare i nessi logici al variare del contesto esterno. Ci toglie dal pericolo di creare mostri che si ribellano alle logiche per cui sono stati creati e che diventano pericolosi nemici del buon senso.

La domanda chiave che possiamo farci non è quindi relativa alle caratteristiche di ogni elemento che vediamo, ma al motivo per cui è così. La Toyota da questo assunto ha sviluppato un metodo, quello dei 5 perchè, che consiste nel ripetere questa domanda per 5 volte consecutive, di modo da esplorare il concatenarsi delle cause e degli effetti e penetrare così nelle radici profonde di ogni problema.

Arrivati fino a qui, una cosa concreta possiamo farla: non stanchiamoci mai di chiedere perchè!

3° passo — L’interdipendenza

Partendo dal principio di causa effetto, facendo un passi avanti vediamo emergere il legame, il filo che lega ogni cosa con le altre. Risalendo infatti il flusso logico ci accorgiamo che, alla fine, ogni cosa dipende, in maniera diretta o indiretta, da tutte le altre. Questo è iI principio di interdipendenza, che vede la realtà come un insieme di legami che danno origine e senso ad ogni cosa. Ogni elemento non solo è legato con gli altri, ma da questi è dipendente. Poichè il contesto esterno cambia in continuazione, ogni elemento cambia di conseguenza, è impermanente. Ecco, è la concezione dell’impermanenza, del cambiamento come legge primaria dell’universo la cosa più interessante. Oggi questa visione serve più che mai, perchè ci spinge ad accettare il cambiamento come un elemento intrninseco e inevitabile delle nostre organizzazioni, non come un accadimento esterno ed episodico.

Pensare ad ogni unità organizzativa, ogni processo, e anche alla stessa azienda, come elementi separati e indipendenti, è una semplificazione che ci allontana dalla comprensione e ci rende ciechi al cambiamento. Non esiste parte di una organizzazione che non dipenda strettamente dal funzionamento di tutte le altre, così come non esiste un’azienda che non dipenda dal contesto esterno. Spesso però ce ne dimentichiamo, fissiamo obiettivi e cerchiamo responsabilità specifiche, pensiamo di dividire la nostra azienda in parti separate per gestirla meglio e attribuire le giuste responsabilità. La realtà è invece ben diversa, è fatta da elementi che si supportano e si condizionano a vicenda, creando un’unica fitta rete di legami. La nostra vera organizzazione è l’insieme di questi legami, che identificano flussi di comunicazione, collaborazione fra le persone, dipendenze reciproche, obiettivi comuni.

La comprensione del funzionamento di una organizzazione che nasce dall’analisi dell’interdipendenza ci mette di fronte ad una sfida importante. Ci porta a vedere ogni elemento meno in bianco e nero, ad abbracciare la complessità del nostro vivere e lavorare insieme, a capire la ricchezza delle relazioni fra gli individui. Ci porta a capire che ogni elemento non ha senso senza gli altri, e che quindi la capacità di connettersi con il resto dell’organizzazione è il fattore chiave. Ogni elemento di una organizzazione è tale infatti solo in rapporto con gli altri elementi dell’organizzazione stessa, la sua utilità deriva proprio dall’essere in relazione col resto. Isolarsi significa quindi negare la vera natura di ogni unità organizzativa, facendola diventare inutile e rigida di fronte al cambiamento.

Per concludere questo percorso, possiamo modificare il nostro modo di ragionare: analizziamo innanzitutto le relazioni fra le parti, le connessioni, perchè sono queste che spiegano come funziona realmente ogni sistema. E non dimentichiamo di connetterci: anzi, consideramo la capacità di connessione come la cosa più importante, quella che ci da un senso.

Al termine di queste riflessioni ritorniamo all’immagine iniziale, quella che descrive la rete di Indra. In essa l’universo è visto come una enorme rete che si estende all’infinito per includere ogni aspetto dell’esistenza. Ad ogni punto di intersezione c’è una gemma che riflette tutte le altre. Per quanto siano infinite, nessuna gemma esiste senza le altre o può essere considerata indipendente. Se appare una gemma, appaiono tutte, e se non ne appare una, non ne appare nessuna. Se su una qualsiasi gemma comparisse un puntino nero, comparirebbe immediatamente su tutte le altre. Questa immagine affascinante descrive la realtà di ogni nostra organizzazione, mettendo in luce il valore dell’interdipendenza per aiutarci a capire davvero come lavoriamo e come possiamo cogliere i nostri obiettivi.

Il nome completo del sutra da cui questa immagine è tratta è “Sutra del diamante che recide l’illusione”. L’illusione è la nebbia che offusca il nostro modo di conoscere e comprendere la realtà, che ci impedisce di vedere chiaramente che ogni cosa dipende da tutto il resto, che esistiamo perchè tutto il resto esiste, che la rete di Indra è la cosa più importante.

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